Paolo Lepri, Corriere della Sera 13/7/2013, 13 luglio 2013
SE LA MERKEL SI DIPINGE COME IL BUON TEDESCO VITTIMA DELL’AVIDITA’ DEI VICINI
«La donna più potente del mondo», come indica ormai da tre anni la rivista di economia e finanza Forbes . La leader «riluttante», secondo l’analisi del settimanale Economist . La protagonista di un’educazione tedesca, costruita con l’acquiescenza durante la giovinezza trascorsa nella Ddr e la comprensione dei meccanismi del potere nell’epoca di Helmut Kohl, come ha sostenuto senza farsi molti scrupoli lo scrittore Günter Grass, ex volontario delle Waffen-Ss. Ai tanti volti di Angela Merkel, veri e presunti, se ne è aggiunto un altro, uscito dalla penna dello storico Niall Ferguson.
L’autore di «Occidente. Ascesa e declino di una civiltà» si chiede se la cancelliera non sia l’ultima incarnazione del «Deutscher Michel», il tedesco-simbolo (si pensi al John Bull britannico), raffigurato in particolare nella vignettistica della seconda metà dell’Ottocento come una vittima delle macchinazioni dei Paesi vicini, come una brava persona a cui gli altri mettono le mani nelle tasche. A giudizio di Ferguson, la percezione dei tedeschi del loro ruolo sulla scena della crisi europea rende possibile questo paragone. Per sostenerlo cita l’economista Hans-Werner Sinn,il nemico dell’euro che ha puntato il dito contro la Banca centrale europea davanti alla Corte costituzionale di Karlsruhe.
Secondo Ferguson, interpretare la parte di chi è minacciato dall’avidità dei vicini può essere una buona scelta ai fini interni e potrebbe addirittura aiutare la cancelliera a essere riconfermata nel suo incarico. Ma siamo certi che l’auto-rappresentazione dei tedeschi, e di chi oggi li guida, sia in linea con il profilo delle vittime? Le critiche ai comportamenti poco virtuosi nelle politiche di bilancio di molti aderenti al club europeo sono state accompagnate da una forte pressione ideologica. Sarà anche riluttante ad assumere un ruolo di leadership a pieno titolo (e c’è chi, come l’ex cancelliere Helmut Schmidt sostiene che a causa del suo passato non lo deve fare e non lo farà mai), ma la Germania si è trovata sempre più a indicare a tutti le decisioni da prendere. E non si fa niente in Europa senza che Berlino non voglia, come è accaduto recentemente a Bruxelles per quanto riguarda il cammino verso l’Unione bancaria.
Il problema forse è un altro. C’è bisogno oggi di una Germania che torni molto europea, che riprenda a dare un contributo rilevante alle prospettive di una maggiore integrazione, economica e politica, attraverso il consolidamento e la riforma delle istituzioni esistenti. È questa la leadership che manca. Le critiche tedesche sono legittime, meno la volontaria assenza di una visione. Vorremmo sentire ancora una volta la cancelliera dire che l’Europa «deve uscire più forte dalla sua crisi».