Marco de Martino, Il Messaggero 13/7/2013, 13 luglio 2013
COLLINS, L’EROE RIFIUTATO
«Come mi sento? Come quel tipo che ha avuto tre settimane di vacanza, due le ha fatte e per la terza è previsto brutto tempo». Jason Collins è un simpaticone. Ha 34 anni, è alto 2 metri e 13, pesa 116 chili, gioca a basket nell’Nba, in dodici anni di carriera ha cambiato sei squadre viaggiando dai New Jersey Nets ai Washington Wizards, ma adesso non trova più lo straccio di un team disposto a ingaggiarlo. Forse è colpa della crisi, oppure dell’età, o dei piani tecnici delle squadre; ma forse dipende anche dalla dichiarazione di Collins di qualche mese fa, quando a un giornalista venuto a intervistarlo disse improvvisamente: «Vuol sapere due cose? La prima è che sono nero, la seconda è che sono gay». In America sono 314 milioni, eppure Collins è entrato nella storia dello sport per essere stato il primo a fare outing, a rendere pubblici i suoi gusti sessuali. Una schiacciata al sistema, un terzo tempo al machismo dell’Nba, a quei frigoriferi che fanno la faccia cattiva e menano come fabbri. Lui ha avuto solo il coraggio di dire quello che pensava, per istinto e voglia di libertà. Ma sembra che gli sia andata malissimo.
LA TELEFONATA DI OBAMA
Curioso. Quel 29 aprile tutte le star dell’Nba, da Kobe Bryant a Kevin Durant, lo chiamarono per fargli i complimenti. E persino il presidente Obama gli telefonò per congratularsi per la sua difficile scelta. Di colpo, Collins sembrava diventato un eroe, il primo capace di raccontarsi, lui così forte, fragile, sbagliato, giusto. Poi però la realtà è stata diversa, Washington non gli ha rinnovato il contratto, i draft della Nba sono cominciati da una settimana ma a casa Collins il telefono non ha squillato nemmeno una volta. In un momento chiave della sua carriera, potrebbero passare mesi prima che Jason venga a conoscere come sarà il suo futuro. «So che devo essere paziente - ha detto - ma spero di avere ancora un lavoro, non mi sembra che il mondo sia così indietro». Ecco.
IL PROBLEMA DEI FAN
Collins non è una superstar, l’età gioca contro di lui e le sue prospettive di rinnovo erano incerte anche prima della confessione. Ma a dispetto delle limitazioni tecniche, Jason nel mondo del basket è rispettato per la sua intelligenza, per la sua lealtà e la forte etica di lavoro accompagnate da un gran senso dell’umorismo, tratti che lo rendono un eccellente leader negli spogliatoi. Da qui a tornare in campo, in ogni caso, il passo è ancora lungo: perché se è vero che alcune squadre potrebbero ingaggiare Collins per dimostrare di essere una finestra aperta sul mondo, in altri team la sua presenza potrebbe creare tensioni tra giocatori o alienare gruppi di supporter.
Dal punto di vista di Collins, l’outing di aprile è stato un momento di grande significato. Se e quando firmerà con una nuova squadra, sarà un nuovo passo avanti verso la piena accettazione dei gay nella società. Ma capovolgendo la storia, se Collins non troverà un contratto sarà un passo indietro per tutto il movimento omosessuale, quali che siano le vere ragioni del rifiuto. Quando fece outing Matthew Mitcham, l’oro alle Olimpiadi di Pechino dalla piattaforma di 10 metri, l’unico a battere i cinesi nei tuffi, il primo australiano a vincere dopo 84 anni, disse solo: «Bisogna sempre provare a realizzare le proprie idee. Perché non è il corpo, ma la testa che comanda tutto».