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 2013  luglio 13 Sabato calendario

MARGINALI NEL MONDO MA IN ITALIA PIACE COSÌ

LA LVMH di Arnault acquista Loro Piana (dopo Bulgari e Fendi) e parte il solito lamento sull’Italia in svendita. Sarebbe ora di considerare le acquisizioni transfrontaliere di aziende la normalità nel regime di libera circolazione dei capitali. Il problema è un altro: la crescente marginalizzazione del nostro paese nel mondo. Le aggregazioni di imprese, alla ricerca delle efficienze che solo le grandi dimensioni possono assicurare, sono nate col capitalismo. Le tecnologie cambiano e vince chi è più rapido ad adottarle e capace di sfruttarle. Negli Stati Uniti nel 1900 le case automobilistiche erano 500; otto anni dopo, 200; oggi, 3. Processi simili hanno coinvolto il settore aereo, media, telecomunicazioni,
computer, il mondo internet. Non c’è solo la tecnologia. In molti altri settori ci sono le economie di scala e il volume degli investimenti necessari per operare con successo: chimica, materiali da costruzione, farmaceutica, informatica, grande distribuzione, servizi finanziari, eccetera.
Con la globalizzazione, la dimensione rilevante per molte imprese si è ingigantita, dando impulso ai processi di aggregazione. Così molti settori sono oggi guidati da pochi grandi “aggregatori”, con una dimensione che valica i confini e la logica nazionali. Tanti beni che usiamo regolarmente, dal telefonino al dentifricio, dalla carta di credito al soft drink, dalla medicina al televisore hanno marchi diversi, ma sono prodotti e venduti da questi grandi aggregatori. In tutti questi settori nessuna azienda italiana è stata capace di competere e crescere dimensionalmente fuori dei confini nazionali fino a diventare un aggregatore globale. Il caso Loro Piana è l’ennesimo segnale che anche l’industria del lusso non è più una nicchia e che il futuro è degli aggregatori: il mercato dei ricchi è diventato globale e ci vogliono tanti capitali per raggiungerli nel mondo. Ma nessun italiano di grande successo (Tod’s, Armani, Prada) vuole o può trasformarsi in aggregatore. Temo che in futuro, per quanto lontano, finiranno per vendersi all’aggregatore di turno. Anche nel lusso di massa, un’invenzione Benetton,
ormai dominano Zara, H&M, Ikea, Nike. Luxottica è l’eccezione.
La marginalizzazione delle nostre aziende è sinonimo di irrilevanza economica per l’Italia. Una condanna per le aspirazioni e aspettative dei giovani: la domanda di specialisti e manager dipende dalla dimensione delle aziende e dai settori in cui operano (alla piccola industria manifatturiera a conduzione familiare non servono gli ingegneri). Ecco il vero declino. Accapigliarsi per Imu e Iva significa avere gli occhi bendati.
Da molti settori, come detto, siamo usciti definitivamente per incapacità di crescere. In tanti casi l’azienda italiana punta alla leadership in una nicchia troppo piccola per essere obiettivo di un aggregatore
(le famose multinazionali tascabili): una strategia valida per l’azienda, non per il paese. In altri, si punta ad attività che dipendono dal rapporto con un’entità pubblica (banche, assicurazioni, servizi di pubblica utilità, reti, infrastrutture) dove la “conoscenza del sistema” costituisce una formidabile barriera per l’aggregatore straniero.
Innumerevoli poi i tentativi fallimentari di espansione delle nostre aziende (pubbliche e private): basti ricordare le deludenti campagne acquisti all’estero di Rcs, Mediaset, Enel, Finmeccanica, Barilla, Unicredit, Telecom; o quelle mancate di Ferrero o Parmalat quando era italiana. E si allunga l’elenco delle nostre “grandi” che rimangono però nettamente sottodimensionate rispetto agli aggregatori che dominano i rispettivi settori: Pirelli, Esselunga, Fincantieri, Campari, Alitalia, Impregilo-Salini. Ci stiamo marginalizzando, ma non ci dispiace. Il caso Fiat è, in questo, esemplare: solo 8 anni fa la nostra ultima grande industria era destinata farsi assorbire dal colosso di turno; Marchionne, con scelte azzardate, forse spregiudicate, ma coraggiose e per ora vincenti, ha cercato di ribaltare la situazione facendo di Fiat un aggregatore globale, svincolata quindi dalle logiche nazionali. Per questo Marchionne all’estero è considerato un grande manager; da noi è opinione diffusa che sia solo un pericoloso ciarlatano.