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 2013  luglio 13 Sabato calendario

L’EREDITA’ IMPOSSIBILE NEL PARTITO BLOCCATO DA LOTTE INTESTINE (2- FINE)

Forza Italia è già rinata a Schio, in provincia di Vicenza: cinque giorni fa il gruppo consiliare del Pdl ha cambiato nome e ha ripescato quello d’origine, amatissimo, e il perché ce lo racconta Marco Tolettini, storico consigliere comunale e coordinatore cittadino: «Avevo un vice proveniente dall’estrema destra, uno che ricordava con simpatia Giorgio Almirante. Nulla da dire, ma con noi c’entrava poco: noi abbiamo un’anima laica, cattolica e socialista. Nel Pdl quell’anima non spiccava più e perdevamo voti». In poche righe la questione è chiarita e universalmente. I fatti di Vicenza, poi, raccontano il dettaglio visto un po’ ovunque: per il congresso provinciale del 2010 si raccolsero circa 16 mila tesserati di cui la metà circa a loro insaputa. Non avevano idea di essersi iscritti al Pdl, eppure contribuirono all’elezione del segretario provinciale, uno di An. Sono i miracoli della nuova politica d’ispirazione antica, ed è anche a questa ispirazione a cui si è rifatto il partito della fusione, con la pretesa di levare la plastica da Fi, nata come comitato elettorale permanente, quasi senza gerarchie, se non quella suprema e messianica. Di colpo tessere, correnti, congressi, guerre intestine, familismo. Il punto è: il ritorno a Forza Italia è un’operazione nostalgica oppure il tentativo di ricominciare, magari senza Silvio Berlusconi (se la Cassazione lo sentenzierà), e però tenendosi il fondatore come luce nella notte?

Macché. Qualcuno (lo abbiamo scritto ieri), e non pochi, aspettano come una liberazione l’accantonamento del sire, e che sia santo subito, santo sempre. Ma la parte predominante non ne vuole sapere. Non è lui il problema, dicono. Ecco un consigliere comunale di Milano: «E’ impossibile pensare a un centrodestra senza Berlusconi. Continuo a sperare che le cose si risolvano, ma non sparirebbe anche se fosse condannato: resta lui il nostro leader. Anzi, paradossalmente ne uscirebbe rafforzato. Non voglio invece immaginare la sorte del partito, che oggi campa di individualismi e di sanguinosa spartizione del potere». C’è un ribaltamento della prospettiva: non è che il partito è bloccato per le cause giudiziarie di Berlusconi, ma le cause giudiziarie di Berlusconi sono bloccate perché il partito non c’è più. Un dirigente del Pdl napoletano: «Se perdiamo questa guerra è perché da un certo punto in poi abbiamo rinunciato a costruire un esercito sul territorio. Abbiamo litigato, perso identità e consensi. E ora ci ritroviamo disarmati a subire l’assalto a Berlusconi e al governo che lui ha voluto».

Se qualche ricostruzione appare fantasiosa, non è importante: importante è come la base vive l’attesa. Che lo si desideri o meno, si deve cominciare a pensare al Pdl, o a Forza Italia, senza il Capo in pieni poteri. Da Schio, Tolettini non lo ammette («se Forza Italia torna è perché lo vuole lui. E noi la facciamo pensando che lui ci sarà»), ma la sua mossa sembra una mossa buona anche per il dopo Cassazione, comunque vada, se si rifiuta il concetto di eternità del Cavaliere. Un concetto ben chiaro ai vertici del Pdl. Quello che si diceva nei giorni scorsi («non è il momento di distinzioni ornitologiche, siamo tutti con Silvio») non è ipocrita, ma quel gruppo sa benissimo che il momento della spartizione si avvicina. Un parlamentare che ha partecipato alle riunioni di martedì e mercoledì racconta: «Si guardano tutti con diffidenza, come i figli del patriarca che pensano di essere turlupinati nell’eredità. Litigano, si accusano. Daniela Santanché ha detto che chi è al governo e ci resta è un nemico di Berlusconi. Le hanno risposto che lei con loro non c’entra niente, che è appena arrivata».

L’aria che tira la si intuisce dalla sequenza di anonimi di cui è corredato il pezzo: una volta era vietato parlar male di Berlusconi, ora pure dei suoi colonnelli. Ed è un’aria di cui si sente bene l’odore nella periferia dell’impero. Dice un ex parlamentare ora sindaco: «La dirigenza del Pdl è costituita per cooptazione. È tutta gente senza consenso. Che voti ha Denis Verdini, uno fisso in sede a far la conta dei fedeli e degli infedeli? Che voti ha la Santanché, sempre in giro con la faccia della vedova allegra? Che voti ha Sandro Bondi, rifugiato in campagna a studiare, credo, i testi di politologia? E secondo voi una dirigenza del genere si occupa di noi, che stiamo qua nei comuni e nelle regioni a tirare la carretta? O del loro piccolo dominio?».

Ancora il consigliere comunale di Milano: «Lo schema romano si è trasferito nelle città e nelle province: nel partito si va avanti se lo vuole un capo. In Forza Italia portavamo dentro chiunque volesse darsi da fare. Adesso è impossibile. È tutto fermo, inchiodato. E non credo che sia soltanto una questione di Berlusconi sì o Berlusconi no: è questione del partito in cui stiamo e di come è amministrato. Se un domani Berlusconi non ci fosse più, diventerebbe terreno di carneficina». Alla Camera molti - e sono quadri suoi - dicono che Angelino Alfano è uno che si è occupato di «botteguccia» o di «piccolo cabotaggio». Eccolo il «preludio alla faida». «Tiriamo avanti soltanto perché il capogruppo Renato Brunetta è bravissimo, uno sgobbone che coinvolge ognuno di noi. Ma sappiamo che, appena cadrà il governo, si sfalderà tutto. Non sapremo chi resterà sotto i nostri piedi. Qualcuno mi ha detto che deciderà se stare con Matteo Renzi o con Enrico Letta, perché nemmeno ipotizza un futuro immediato nel centrodestra. La verità è che Berlusconi è stato il nostro parafulmine per venti anni, e se il parafulmine non c’è più siamo finiti».