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 2013  luglio 11 Giovedì calendario

FUGA DA AL JAZEERA I REPORTER ACCUSANO: «FAZIOSA SULL’EGITTO»

C’era una volta Al Jazeera. Il suo nome significava isola e la sua immagine illuminava co­me un astro nascente l’univer­so dei media. Oggi è l’isola che non c’è. Una stella spenta e ca­dente emblema di un’informa­zione partigiana e asservita.
Il volto più becero dell’emit­tente pagata e manovrata dall’ emiro del Qatar incomincia a far capolino all’inizio delle primavere arabe. L’uscita allo sco­perto arriva con il crepuscolo di Mohammad Morsi quando Al Jazeera non esita a trasforma­re gli inviati in un esercito me­diatico incaricato di puntellare la traballante credibilità del presidente e dei Fratelli Musul­mani. Grazie a una sfilza di re­portage e interviste rigorosa­mente a favore di Morsi, Al Jaze­era si gioca anche l’ultimo quar­to di credibilità.
Non a caso i ge­ne­rali dopo aver liquidato il pre­sidente fanno subito perquisi­re la redazione dell’emittente televisiva. Non a caso un grup­po di giornalisti egiziani butta fuori a calci gli inviati della tv presentatisi a una conferenza stampa.
Tutto questo potrebbe an­che essere la prova della buona fede di Al Jazeera . Potrebbe. Ma non lo è. E a dimostrarlo ar­rivano le dimissioni di 22 fra giornalisti e impiegati della re­dazione del Cairo che abbando­nano la tv accusandola di co­stringerli a manipolare pezzi e notizie. «Ci istruiscono in conti­nuazione sui servizi da mettere in onda» - spiega Karem Mah­moud, uno dei volti della sede del Cairo, puntando il dito contro i capi di Doha. «Punta­no solo a creare delle divisioni, seguono un’ agenda contra­ria agli interessi dell’Egitto e di altri paesi ara­bi» - dichiara il conduttore già passato nella schiera degli ex. E Haggag Salam, un corrispon­dente da Luxor, licenziatosi do­menica, rincara la dose accu­sando gli ex datori di lavoro di «mettere in onda bugie e sviare gli spettatori». Accuse confer­mate da Alaa Al Aioti e da altri tre redattori egiziani della sede centrale di Doha che seguono l’esempio dei 22 colleghi del Ca­iro e firmano una lettera di di­missioni in cui spiegano di non voler più collaborare all’ «infor­mazione di parte» dell’emitten­te.
Al Jazeera rispedisce l’accu­sa ­al mittente li­quidando di­missioni e accu­se come il frutto delle pressioni esercitate dai militari egizia­ni. «A seguito delle recenti pressioni sui media, in Egitto alcuni membri dello staff di Al Jazeera Egitto hanno deciso di lasciare. Comprendiamo - spie­ga un comunicato - tutte le ra­gioni per cui sentono il bisogno di trasferirsi, comprese quelle di chi segue opinioni politiche di parte». La piccata e acida dife­sa d’ufficio non basta però a re­stituire all’emittente un’imma­gine di affidabilità e imparziali­tà. Anche perché il caso egizia­no è la punta di un iceberg che agita i mari dell’informazione sin dall’inizio delle primavere arabe. Nel dicembre 2010 Al Ja­zeera trasmette parossistica­mente l­e immagini delle prote­ste di Tizi Bouzit in Tunisia fino a quando non accende la rivol­ta che travolge Bel Alì e porta al potere i Fratelli Musulmani. Lo stesso avviene con Mubarak in Egitto e con Gheddafi in Libia. Già allora i disinvolti inviati di Al Jazeera non esitano a trasfor­mare in notizie autentiche bu­fale. I resoconti libici sono il lo­ro capolavoro. Grazie ai servizi dell’emittente, le tombe di un cimitero si trasformano in fos­se comuni e la leggenda urba­na degli aerei mandati a mitra­gliare i manifestanti di Tripoli diventa comprovata realtà.
Ancor più gravi delle falsifica­zioni sono le omissioni. Mentre dipinge Ben Alì, Mubarak e Gheddafi come signori del ma­le, l’emittente di Doha «dimen­tica» di raccontare le stragi di manifestanti sciiti firmate da un sovrano del Bahrain assai amico dell’emiro del Qatar. Le malefatte politiche e giornali­stiche di Al Jazeera rischiano di
avere pesanti ripercussioni economiche in terra america­na. Dopo essersi comprata per 500 milioni di dollari la fallimentare Current Tv di Al Gore, Al Jazeera sperava di conquista­re gli spettatori musulmani d’America e far concorrenza a Fox Tv e alla Cnn. Ma per una tv sbugiardata persino in Egitto, la conquista del pubblico ame­ricano appare ora una missio­ne decisamente impossibile.