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 2013  luglio 11 Giovedì calendario

QUELLA BOMBA MPS PIAZZATA A SINISTRA CHE NON SCOPPIA MAI

L’inchiesta esplosiva sul­la «banca rossa» ha una miccia a lenta, len­tissima, combustione. Mai una procura aveva sparato tante mic­cette prima di sganciare la bom­ba. In quel di Siena i concittadini correntisti attendono da mesi il botto sul Monte dei Paschi ac­contentandosi, per il momento, del mortaretto all’ultimo Palio che ha premiato la contrada del­l’Oca. E pure nei palazzi della po­litica che conta, lo stress di dover contare a breve morti e feriti eccellenti, coi mesi ha lasciato spa­zio a una serena indifferenza do­po la presa d’atto che nessun onorevole è finito indagato, men che meno in manette,stret­te unicamente all’amico di tanti papaveri del Pd, il presidente Giuseppe Mussari. Arrestato so­lo per questioni collaterali (il mi­liardo e otto dei derivati Nomu­ra) rispetto al Grande Imbroglio di Antonveneta (valutata addi­rittura 2,3 miliardi, pagata 9 mi­liardi a Santander che l’aveva comprata pochi mesi prima per 6, con un ulteriore aggravio di 8 miliardi per ripianare i debiti). L’atomica doveva detonare più di un anno fa, era lì lì per deflagra­re a gennaio scorso, poi prima delle elezioni, quindi subito do­po (per non turbare il voto), allo­ra meglio fra giugno e i primi di luglio, ma siccome i pm son vola­ti in Spagna a interrogare Emilio Botin del Banco Santander, s’è capito che stiamo ancora ai fuo­chi d’artificio nonostante i toni tuonanti delle dichiarazioni del procuratore Salerno che, il 29 gennaio 2013, annunciava pre­occupato: «La situazione è esplo­siva ».Alla fine,nemmeno s’è do­vuto affannare a «sbranare» chi chiedeva chiarezza sugli intrec­ci Pd-Mps, Pier Luigi Bersani. Da quanto si appren­de in ambienti inve­stigativi ci si è preoc­cupati poco di appro­fondire ruolo e in­fluenza del Pd sulla banca malgrado tan­ti di quegli indizi che ne basterebbe la me­tà. A un certo punto hanno provato pure a mettere di mezzo Verdini e la sua ban­ca, per dire che sono tutti uguali, ma gli effetto si sono rivelati tragi­comici. Non un’intercettazio­ne, una sola, è trapelata (record italiano di sempre). Nessun poli­tico di livello è stato ascoltato. Nessun decreto di sequestro da centinaia di pagine (come avvie­ne in ben altre inchieste politi­che, con grande gioia dei giorna­listi) è stato notificato. E se non fosse stato per il Giornale che per primo ha scritto dell’inchie­sta nell’ottobre 2012, su Siena nessuno avrebbe prestato atten­zione fino al successivo scoop del Fatto Quotidiano relativo ai «derivati». Non occorre scomo­dare il gip Clementi­na Forleo per intuire i pericoli mediatico­giudiziari che s’in­contrano andando a sfiorare i fili dell’alta tensione della finan­za rossa. In particola­re quella senese, da cui oggi la sinistra si sfila prendendone le distanze dopo averla direttamente o indi­rettamente «governata», soprattutto dopo aver plaudito all’ope­razione­monstre di Antonvene­ta. A sinistra, quando s’è tenuto il peggio, son volati gli stracci. Tutti contro tutti, con accuse in­crociate e messaggi da brivido tra ex Ds e Margherita. Franco Bassanini, presidente della Cas­sa depositi, che all’epoca disse trattarsi di un’operazione ecce­zionale, è arrivato a dichiarare, apertis verbis, che la banca era sotto il controllo dei Ds, tanto che D’Alema aveva fatto «pres­sing su Siena perché si alleasse con Unipol» nella prima scalata di Consorte (poi fallita) ad An­tonveneta. Aggiungendo che «chi difese l’autonomia di Mps, come me e Amato, venne emar­ginato ».Amato è l’ex presidente del Consiglio, si è detto grande sponsor di Mussari nonché idea­tore della legge sulle fondazioni bancarie. Di Mussari era uomo di fiducia Gianluca Baldassarri, il capo della banda del 5 per cen­to, ritrovatosi a scalare il mana­gement di Mps dai ranghi meno nobili della Bna dopo l’acquisi­zione per 2500 miliardi di lire nel 1999 della Banca del Salento (poi 121), situata nel cuore del feudo elettorale di Massimo D’Alema.Operazione quest’ulti­ma voluta da Vincenzo de Bustis, non a caso soprannomina­to «banchiere Maximo». A Bas­sanini ha risposto il tesoriere Sposetti, evocando compassi e grembiulini, scatenano reazio­ni sdegnate, a catena. Se l’è pre­sa Bersani, la Bindi, l’ex rettore­senatore Luigi Berlinguer per ac­costamenti inopportuni finan­che al suo periodo all’Università che ha una poltrona nella «deputazione generale» della Fonda­zione del Monte che controlla politicamente l’istituto di credi­to, e dove il Comune, la Provin­cia e la Regione, tutti a guida Pd, esprimono propri membri. C’è Pd ovunque, dappertutto, tran­ne che nelle carte dell’inchiesta.
Le polveri bagnate del procedi­mento esplosivo hanno di fatto «salvato»il partito in caduta libe­ra, che pur perdendo voti è riu­scito a conservare il sindaco (con uno scarto di appena 930 voti, col 30% in meno dei votan­ti) mettendoci Bruno Venturini, ex Pci, Pds, Ds, Cgil bancari, pd ed ex dirigente Montepaschi, succeduto al dalemiano Franco Ceccuzzi, caduto sul voto di bi­lancio e indagato a Salerno per il crac del pastificio Amato insie­me all’onnipresente Mussari. «Sa chi, 13 anni fa, mi disse che Mussari era perfetto per la Fon­dazione Mps? Proprio quel Cec­cuzzi lì» ha ricordato con perfi­dia Bassanini. C’è talmente tan­ta sinistra nell’inchiesta più ab­bottonata d’Italia che nelle carte non emerge. Non si trovereb­bero più al­cune devastanti inter­cettazioni contenute in un’inda­gine parallela, quella in cui Mus­sari e il referente del Pd a Siena, l’ex deputato Pd Ceccuzzi, si par­lano in continuazione facendo scrivere agli investigatori come «Giuseppe Mussari, espressio­ne dell’anima diessina del Pd, si confrontasse pressoché quotidianamente su temi politici na­zionali e locali, e in particolare quindi sulle decisioni da assu­mere in seno alla banca da egli presieduta (...) con l’onorevole Ceccuzzi». L’ex avvocato cala­brese (iscritto prima ai Ds e poi al Pd) non ha aperto bocca sui suoi sponsor politici, anche perché nessuno gliene ha chiesto conto. È caduto in disgrazia, s’è fatto il carcere,ma chi s’aspetta­va rivelazioni bomba è rimasto deluso. Ufficialmente il partito l’ha scaricato, gli ha tolto la tesse­ra dopo aver intascato per anni robuste donazioni (ha firmato assegni per 600mila euro) e dal top manager del Monte. Non se lo fila più nessuno, nemmeno Veltroni, col quale, confessò Mussari, «stiamo al telefono ore a parlare di basket». Persino il presidente Napolitano, a un cer­to punto, ha sentito il bisogno di mettere il bavaglio alla stampa che provava a raccontare quel che la procura - che lamenta ora una carenza d’organico - non fa­ceva trapelare. Adesso, visti i precedenti e le 34 inchieste su Berlu­sconi, provate a immaginare co­sa sarebbe accaduto se Mps fos­se stata una «banca azzurra». Persino il misterioso suicidio del povero ufficio stampa David Rossi lo avrebbero accollato a Sil­vio.