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 2013  luglio 12 Venerdì calendario

GRAZIA A SILVIO CI STA ANCHE LETTA


Letta approva il «piano G». Quello, anticipato sotto forma di appello dall’editoriale di Libero di ieri, che prevede la grazia a Silvio Berlusconi in caso di condanna sul caso Mediaset. Un’atomica politica, che come la bomba ha anzitutto un potere deterrente. Giorgio Napolitano, da almeno mezzo secolo convinto sostenitore - Carta alla mano - del fatto che l’ultima parola sulle sorti del Paese sia la politica e non la giustizia, secondo informazioni in possesso di Libero ha prospettato la soluzione esplosiva nel colloquio di due giorni fa con il premier. Il quale ha sostanzialmente opposto un silenzio-assenso. Napolitano - non è un mistero - è rimasto urtato dall’accelerazione a sorpresa della Cassazione, intuendo le immediate ricadute su un governo fragile ma irrinunciabile, per avviare il quale si è sobbarcato l’impegno di rinnovare il settennato.
Il cervello politico dell’88enne prima carica dello Stato ci ha messo poco a trarre le conseguenze di una condanna con interdizione ai pubblici uffici: governo a pezzi per tensione uguale e contraria tra i due principali azionisti Pd e Pdl, e - come alternativa alle urne - un’intesa tra due forze, grillini e democratici, che giusto due giorni fa sono venute fisicamente alle mani a Montecitorio. Le perifrasi sulle questioni-giudiziarie-distinte dalle- sorti-del-governo non hanno più senso all’ora della resa dei conti. Il centrodestra è Berlusconi, Berlusconi è il centrodestra, se Berlusconi va agli arresti il governo salta e il paese piomba in una situazione da delirio mentre è sotto gli occhi di mezzo mondo finanziario e politico. Nessuno lo sa meglio di Napolitano, che meno di due anni fa si è inventato l’esecutivo Monti. E dopo l’investitura del Professore, l’avvio del suo secondo mandato e l’imposizione al Pd di Letta, il capo di Stato ha fatto trapelare l’ipotesi della grazia: quarto colpo di disinvoltura istituzionale assoluta in una manciata di mesi. Come la genesi, anche la permanenza in vita del governo è integralmente nelle sue mani: e i messaggi fatti trapelare in due direzioni lo confermano. Da un lato il Colle, mettendo di nuovo sul piatto la minaccia di dimissioni a fronte della possibilità di sciogliere le Camere, ha fatto capire a Berlusconi che la minaccia di staccare la spina è scarica. Dall’altra, con la pazza idea della grazia, ha mandato a dire al Pd che questo governo non si tocca, e che se per difenderlo c’è da fare scudo al Cav, quello scudo sarà tirato fuori dall’armeria del Quirinale. Dall’esperienza (e dal potere incontrastato) di Napolitano non c’è ormai da stupirsi neppure di questo. Merita invece sondare la reazione di Letta.
Per il profilo che ha preso il suo governo, è chiaro che il premier è divenuto da subito qualcosa di molto diverso dal vicesegretario del Pd. Né può sfuggire a un politico giovane ma ultra-accorto come l’attuale presidente del consiglio il fatto che la grazia al Cavaliere salverebbe il suo governo assestando uno sberlone modello Cossiga all’equilibrio dei poteri per come ha preso forma negli anni della Seconda repubblica. Masoprattutto risulterebbe un colpo d’ascia per un Pd che si è aperto come una mela alla sola decisione di sospendere per poche ore le attività parlamentari: figurarsi cosa può accadere in caso di un presidente della Repubblica esponente storico del Pci che annulla l’arresto del capo del centrodestra e ne garantisce la permanenza al governo. Per trovare un esempio simile probabilmente bisogna andare all’amnistia voluta da Togliatti nel ’46; un provvedimento che non a caso costò allora veri e propri assalti al segretario comunista da parte dei suoi.
Cosa accadrebbe a un partito che giusto ieri ha portato allo scoperto un correntone di 70 senatori che si sono clamorosamente dissociati dalla linea ufficiale, in mano a un segretario reggente, con una rosa di candidati più lunga dei tesserati del Milan e i cui capigruppo sono stati votati da poco più della metà dei parlamentari: scissione rischia di essere un eufemismo. Ecco, questo Enrico Letta l’ha messo in conto, e di questo hanno parlato i suoi collaboratori nelle recenti ore. Anche se il premier è conscio al pari di Napolitano che la sola circolazione dell’ipotesi della grazia ha un potere deterrente enorme, che sarebbe disinnescato (o forse, insieme, confermato) dall’eventualità di una assoluzione. Ieri all’ufficio di presidenza e tra i collaboratori del Cav giravano voci incontrollate su un verdetto positivo, dove c’era molto wishful thinking e poca sostanza. Il vero motivo della (relativa) calma che diffondevano ieri tanto Berlusconi quanto i partecipanti dell’incontro romano è da ricercarsi altrove: nell’intesa implicita tra Colle e palazzo Chigi, i cui echi sono confermati a Libero da un ex ministro del Cav che parla di «tranquillità surreale».
Per questo Berlusconi ieri ha voluto legare, in chiaro, l’«accelerazione» giudiziaria alle frange più a sinistra del Pd, desiderose di spaccare le larghe intese. È un modo sì per collegare le sorti del governo alle sue, rinforzando a suo vantaggio l’impatto politico della sentenza, ma che riposa sulla consapevolezza della mossa del capo dello Stato. L’ultimo tassello che motiva la silenziosa acquiescenza di Letta si chiama Matteo Renzi. Che il rapporto di cordialità tra i due sia minato dal fatto che il secondo ha bisogno di andare costantemente all’assalto del primo è cosa nota. Non è un caso che proprio la truppa d’aula del sindaco di Firenze si sia rapidamente dissociata dallo stop ai lavori votato anche dal Pd. E il fatto che ieri Napolitano abbia ricevuto Epifani la dice lunga sulla possibile origine di guai per il premier. Da un superamento senza sfracelli della sentenza sul Cav, Letta ha tutto da guadagnare e nulla da perdere; Renzi, il contrario. Guardando un po’ più in là, poi, il mite premier che pratica l’arte del rinvio sogna che il suo governo passi non solo i diciotto mesi, ma qualcuno in più. Compie 47 anni il prossimo 20 agosto. Nel 2016 ne farà 50, età minima per salire al Colle, dove è ormai convinzione comune che Napolitano non completerà il settennato. A quel punto,perché non darsi il cambio, a suggello ritardato del «piano G»?