Sandro Orlando, Il Mondo 12/7/2013, 12 luglio 2013
TUNISIA – BEN ALI DIVENTA PRIVATO
Due anni e mezzo dopo la «rivoluzione dei gelsomini», primo atto della primavera araba, la Tunisia continua a restare impantanata nelle sabbie di una difficile transizione. Complice anche la pesante eredità di Ben Ali, l’ex presidente tunisino costretto a fuggire in Arabia Saudita nel gennaio 2011, dopo che per 23 anni si era arricchito, impadronendosi insieme alla moglie e alla sua famiglia delle principali industrie di Stato: concessionarie d’auto, compagnie telefoniche, linee aeree, banche, catene alberghiere e di grande distribuzione, giornali e televisioni, imprese di costruzioni e immobiliari. Un sistema di rapina istituzionalizzato, paragonabile al saccheggio sistematico di beni pubblici perpetrato da altri regimi del mondo arabo, dalla Libia di Muammar Gheddafi all’Egitto di Hosni Mubarak. Con la differenza però che, a più di due anni dal rovesciamento del vecchio tiranno e del suo numeroso clan, il nuovo governo del premier Ali Laarayedh, un’alleanza tripartitica espressione dell’Assemblea costituente, guidata dal partito islamico Ennahda, una via per la riconciliazione nazionale ancora non l’ha trovata. Il nuovo esecutivo nato lo scorso marzo ha oggi altre priorità, a partire dal ristabilimento dell’ordine pubblico e dalla lotta alla disoccupazione. Poi, quando sarà pronta la bozza di una nuova Costituzione, si andrà al voto. Le prime elezioni democratiche dopo la rivoluzione si potrebbero tenere entro il 2013.
Eppure è proprio l’incapacità di chiudere i conti con il passato, trovando una «soluzione politica» a oltre un ventennio di malversazioni di Stato, che rischia di trasformarsi in una bomba a orologeria per il futuro della Tunisia. In gioco c’è il destino delle 500 aziende confiscate all’entourage dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, e di sua moglie, Leila Trabelsi. Realtà produttive attive in settori strategici, spesso anche quotate alla Borsa di Tunisi, che prima della rivoluzione erano finite nelle disponibilità di una quarantina di generi, cognati e nipoti vari, ripartiti tra i due rami delle famiglie Ben Ali e Trabelsi, più quelli acquisiti attraverso il matrimonio delle figlie (El Mateli, Mabrouk, Chiboub, Zarrouk). Una vera e propria tribù.
I più famelici si erano rivelati proprio i parenti della first lady. Dieci tra fratelli e sorelle, che con la loro ambizione e voracità avevano finito col mettere le mani in tutti gli ambiti dell’economia nazionale, per mezzo di gare pilotate, concessioni di Stato e altre regalie. A cominciare dal maggiore dei fratelli di Leila, lo spregiudicato Belhassen Trabelsi, vero asso pigliatutto della famiglia, che era arrivato a possedere due compagnie aeree (Karthago Airlines, Nouvelair) più una società di servizi aeroportuali (Tunisia Airport Services), una catena di alberghi (Karthago Hotel) e un operatore di telefonia (Global Telecom Networking), ma anche una fabbrica di camion (Alpha Ford International), una radio e una tivù privata (Mosaique Fm, Carthage Tv), una quota di controllo in una banca di primaria importanza (Banque de Tunisie) e una licenza per l’importazione di veicoli Ford, Jaguar e Hyundai.
Non da meno si era dimostrato Mohamed Sakhr El Materi, uno dei generi di Ben Ali, che dopo aver sposato la più grande delle figlie di secondo letto, Nesrine, si è ritrovato proprietario di una concessionaria con l’esclusiva sui marchi Volkswagen, Audi, Renault e Porsche (Ennakl Automobiles) e di una compagnia di crociere (Goulette Shipping Cruise), oltre che di un quotidiano (Dar Assabah), una radio e una tivù religiosa (Zitouna), e anche della prima banca islamica tunisina (Ezzitouna).
Tutte, con un decreto legge del luglio 2011, sono state confiscate e trasferite a una commissione nazionale istituita in capo al ministero delle Finanze, con l’incarico di gestire i beni sequestrati a oltre un centinaio di soggetti, tra i familiari del dittatore e i suoi più stretti accoliti. Asset valutati in più di una decina di miliardi di euro, che comprendevano anche 370 proprietà immobiliari, tra ville e resort turistici, campi da golf e palazzi sparsi tra il Sudamerica e la Francia, più centinaia di conti bancari rintracciati tra la Svizzera e Malta, il Libano e Dubai. Per recuperare questi beni il governo di Tunisi ha avviato rogatorie in 25 Paesi, finanche in Congo.
Nel frattempo più di trenta componenti del clan presidenziale sono stati arrestati e processati per truffa e altre malversazioni. Un nipote di Ben Ali si è anche preso una condanna a 40 anni. Belhassen Trabelsi ha provato a ottenere asilo politico in Canada, senza riuscirci; Sakhr El Materi è invece prima scappato in Qatar, che però ha congelato i beni della sua famiglia, trovando poi rifugio alle Seychelles.
CACCIA AL TESORO
Mentre il dittatore e sua moglie si sono nascosti in una località non precisata della penisola arabica. Ma la privatizzazione delle aziende e banche confiscate si è rivelata più difficile del previsto. Dalle 500 società un tempo controllate dalla famiglia del presidente dipendono almeno 2 milioni di posti di lavoro: come comportarsi con manager, dirigenti e quadri collusi con il regime? La Tunisia conta meno di 11 milioni di abitanti, con un tasso di disoccupazione vicino al 17%, e punte del 50%. Una modifica degli assetti proprietari che portasse a epurazioni si tradurrebbe in una minaccia per l’ordine sociale: e l’attuale maggioranza non può permetterselo. Il precedente esecutivo è saltato proprio a causa di un disegno di legge contro la corruzione e l’arricchimento illegale che non ha riscosso molti consensi. Così a oggi sono state vendute solo sette società confiscate, con un incasso per lo Stato di appena 450 milioni di euro.
Sandro Orlando