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 2013  luglio 12 Venerdì calendario

LA FABBRICA DEGLI ORGANI

Kaiba Gionfriddo aveva passato i suoi primi venti mesi di vita rischiando di morire soffocata. La cartilagine della sua trachea e dei suoi bronchi non si era sviluppata bene e tendeva a collassare impedendogli di respirare. Dopo l’ultima grave crisi respiratoria, era stata ricoverata al Mott Children’s Hospital di Ann Arbor, nel Michigan, ma i medici disperavano che ne sarebbe uscita viva: troppo estesa era la parte dei bronchi incapaci di rimanere aperti da soli. Così, come ha raccontato il New England Journal of Medicine, l’otorinolaringoiatra Glenn Green e l’ingegnere biomedico Scott Hollister, dell’Università del Michigan, hanno deciso di provare a salvare Kaiba con un intervento che rimarrà nella storia della medicina.
Basandosi sulle immagini prese con una risonanza magnetica della trachea e dei bronchi della bambina, Hollister ha ricostruito con una stampante 3D una protesi da inserire al loro interno, usando un polimero plastico, il policaprolattone, in grado di dissolverei lentamente nel corpo umano. Ricevuta la copia in plastica, Green l’ha inserita nei condotti naturali dell’apparato respiratorio della piccola, in modo da rinforzarli e tenerli aperti, consentendo a Kaiba, per la prima volta nella sua vita, di respirare a pieni polmoni. La protesi sarà riassorbita nel giro di tre anni, un periodo che darà al corpo della bambina il tempo di rinforzare la cartilagine. Il salvataggio di Kaiba è un passo decisivo per la medicina rigenerativa, quella che crea in laboratorio organi su misura per i pazienti, che così per il trapianto non devono più attendere un donatore. E non è stato neanche un exploit isolato. Poche settimane prima, al Children’s Hospital di Peoria, Illinois, una trachea in plastica porosa, stampata su misura per Hannah Warren, una bambina di due anni che era nata senza, era stata trapiantata dal chirurgo italiano Paolo Macchiarmi (fino all’autunno scorso lavorava anche all’ospedale Careggi di Firenze, ma si è dimesso dopo essere stato accusato di aver chiesto denaro a pazienti per farli operare all’estero. Lui si difende parlando di una «normale offerta di opzioni curative»).
Nel caso di Hannah l’impalcatura in plastica era stata saturata per settimane con cellule staminali provenienti dalla piccola. Le staminali endoteliali, prese da midollo osseo, che sono capaci di ricostruire il rivestimento dei vasi sanguigni, avevano prodotto il rivestimento interno della trachea artificiale, mentre staminali mesenchimali, che vengono sempre dal midollo, ma costruiscono ossa, cartilagine, muscoli, grasso, avevano formato lo strato esterno di cartilagine. Una volta nell’organismo, le cellule sull’impalcatura plastica ne richiameranno molte altre, che porteranno a termine la ricostruzione dei tessuti e della rete di capillari per alimentarli. Con questa tecnica si possono ottenere organi metà artificiali e metà naturali, che si integrano permanentemente nel corpo.
«Ormai dalle staminali si ottengono di routine varie parti del corpo» dice Paolo Vezzoni, dell’Istituto di tecniche biomediche del Cnr di Milano, «in genere gli organi strutturalmente più semplici. L’esempio più noto è quello del midollo osseo, ma si possono anche ricostruire su misura ossa, pelle, cornee e cartilagini. Ora si tenta di andare oltre».
L’obiettivo è superare la carenza di organi da trapiantare (oggi in Italia settemila persone sono in attesa di un rene, mille di un fegato, settecento di un cuore, e in genere quasi il 2 per cento dei pazienti che aspettano un organo muoiono prima di riceverlo). In questi casi l’impalcatura di base non può però essere in plastica: bisogna usare quella dell’organo da ricostruire, utilizzando la tecnica decell-recell, che consiste nell’eliminare con un detergente da un organo donato le sue cellule originarie e sostituirle con le staminali prese dal paziente. Quel che resta dopo l’eliminazione delle cellule originarie dell’organo è una struttura di inerte collagene, che permette di usare come «stampo» organi inutilizzabili, danneggiati, vecchi o persino di origine animale. La matrice di collagene viene poi saturata del giusto mix di cellule staminali del paziente, che ricostruiscono un organo che non suscita la reazione di rigetto.
Usando questo metodo l’Università Wake Forest di Winston Salem (North Carolina) sta mettendo a punto (e in parte già produce) surrogati di 30 diverse parti del corpo umano, inclusi organi complessi come intestino e fegato. Nel 1996 il suo direttore Anthony Atala fu il primo ad aprire la strada agli organi rigenerati, creando vesciche che ormai vengono impiantate di routine. Atala e colleghi hanno ora realizzato un mini fegato umano di 6 grammi, che dovranno però riuscire a far crescere fino al mezzo chilo, prima di poterlo impiantare.
Molto avanti sulla strada della rigenerazione di organi complessi sembra essere anche il team di Haraid Ott, al Massachusetts Generai Hospital di Boston, che ad aprile ha presentato il primo rene rigenerato funzionante. Per realizzarlo hanno decellularizzato un rene di ratto e poi l’hanno ricostruito, facendo scorrere cellule staminali di tipi diversi nei condotti dell’organo, in modo che ricomponessero la complicata architettura di membrane che permette il filtraggio del sangue. Impiantato in un ratto, il rene rigenerato ha prodotto urina, anche se un decimo della quantità normale.
Forse, anche in questo caso, solo una lunga permanenza nel corpo del ricevente porterà le cellule staminali dell’organismo a completare la ricostruzione dei tessuti.
«Bisogna però dire che non si sa con esattezza come si formino gli organi negli embrioni» frena Vezzoni, «quindi la loro ricostruzione in laboratorio procede abbastanza a tentoni, empiricamente. Mi sembra difficile per ora immaginare che si arrivi a riprodurre un fegato, un cuore o un rene in grado di resistere per decenni alla pressione dei fluidi e al lavoro continuo richiesto dall’organismo».
C’è chi vuole comunque provarci, puntando particolarmente in alto, come il cardiologo Francisco Aviles, che con i suoi colleghi dell’Ospedale Gregorio Maranón di Madrid è il più avanti nel tentativo di riprodurre il più complesso degli organi trapiantabili: il cuore. Dopo aver decellularizzato un cuore umano inutilizzabile per trapianti, lo hanno posto da pochi giorni in uno speciale reattore che pomperà per settimane nelle cavità cardiache una soluzione nutritiva ricca di cellule staminali dei tipi necessari a ricostruire i vari tessuti. La speranza, come hanno mostrato precedenti esperimenti su cuori di ratto, è che le staminali si indirizzino spontaneamente nelle aree giuste, ricostituendo la corretta struttura dell’organo. Alla fine potrebbe però mancare un tassello decisivo: i cuori di ratto rigenerati non erano in grado di produrre autonomamente lo stimolo elettrico che induce il cuore a battere. «Ma è un problema che si può superare» dice Aviles «usando un apposito pacemaker elettronico».
Certo, indurre il battito non sarà il solo ostacolo, e infatti lo stesso ricercatore prevede che serviranno almeno dieci anni prima che uno dei suoi cuori venga impiantato in un paziente. «Nel frattempo però» conclude Vezzoni «nel campo della sostituzione degli organi competeranno approcci scientifici molto diversi, ognuno con i suoi pro e contro: organi elettromeccanici, organi da animali geneticamente modificati per evitare il rigetto, nuove tecniche e terapie per ampliare il numero di organi buoni per i trapianti». Vedremo chi, alla fine, vincerà la gara e riuscirà a riparare meglio il nostro corpo.