Federico Rampini, il Venerdì 12/7/2013, 12 luglio 2013
I MARZIANI SIAMO NOI
NEW YORK. Se lo sviluppo sostenibile non è di questo mondo, andremo a cercarlo su mondi più lontani. Marte, per esempio? Sembrò farci un pensiero Barack Obama, in un discorso al Kennedy Space Center il 15 aprile 2010: «Entro la metà degli anni Trenta di questo secolo, sono convinto che potremo inviare degli esseri umani in orbita attorno a Marte e poi farli tornare con tutta sicurezza sulla Terra. Seguirà una missione sul suolo di Marte. E mi aspetto di essere ancora qui per vederla». Un discorso che a molti, non addetti ai lavori, sarà sembrato come una fuga in avanti. Non ci era stato spiegato che l’esplorazione dello spazio è un cantiere in via di smantellamento? Che le ricadute in applicazioni tecnologiche civili non giustificano i costi? Che l’austerity ha ridimensionato drasticamente la Nasa, rispetto alla sua Età dell’Oro (i gloriosi anni Sessanta e Settanta)? E poi, chi ha qualche capello bianco ricorda che i marziani sono stati a lungo sinonimo di extraterrestri: come a dire che la distanza del Pianeta Rosso da noi è talmente immensa da farne una categoria dello spirito più che un luogo fisico.
Fantascienza a parte, le missioni robotizzate su Marte non sono una novità, gli americani mandarono Viking 1 e Viking 2 già a metà degli anni Settanta. Tuttavia anche i più tecno-ottimisti fra noi sono cresciuti con l’idea che, al di là della nostra sorella Luna, solo le missioni non umane sono realistiche, fattibili. Ma chi la pensa cosi è irrimediabilmente retro. Si è distratto per alcuni anni, anni cruciali in cui il progresso scientifico e tecnologico ha cambiato le carte in tavola. Ha ragione Obama: Marte è alla nostra portata. Basti pensare a questo, in tempi di percorrenza: l’attuale sonda che sta esplorando il Pianeta Rosso fu lanciata da Cape Canaveral il 26 novembre 2011 e si posò nel cratere Gale (che significa «raffica di vento») il 6 agosto 2012. Cioè 566 milioni di chilometri (sic!) in poco più di otto mesi di viaggio. Ci sono equipaggi di sottomarini nucleari che fanno trasferte più o meno equivalenti...
In quanto alle comunicazioni, viaggiano da là a qua in meno di un quarto d’ora. Certo, per adesso ne gli americani ne altri possiedono un missile-vettore in grado di trasportare a quelle distanze una missione umana. La sonda attuale, Curiosity, ha le dimensioni e il peso di una piccola automobile. Non a caso viene chiamata rover, il nome che un tempo (prima de Suv) designava i fuoristrada. Ma il programma della Nasa che si chiama Space Launch System ha già iniziato lo sviluppo di una navicella spaziale chiamata Orion che potrebbe trasportare degli astronauti fino a metterli in orbita attorno a Marte. E un articolo del New Scientist sostiene che un missile Vasimr a base di plasma argon potrebbe ridurre i tempi di trasporto a 40 giorni. Un mese e dieci giorni per essere su Marte, incredibile.
Già, ma sento l’obiezione: a quale costo? Riecheggia la stessa critica che venne rivolta alle missioni spaziali negli anni Sessanta e Settanta. Noi ragazzi di sinistra dicevamo: è inaccettabile sprecare risorse per andare sulla Luna, mentre mancano per combattere la fame nel Terzo mondo. Oggi la critica potrebbe essere perfino più interessata: in tempi di austerity, in Europa e perfino negli Stati Uniti i tagli di spesa pubblica hanno colpito tanti servizi sociali. In un’intervista a Wired Italia, l’esperto di esplorazione spaziale Giovanni Bignami ha stimato che per andare su Marte ci vorrà un trilione di dollari, cioè mille miliardi. È immorale, oltre che politicamente inaccettabile, dirottare fondi che oggi fanno crudelmente difetto alla scuola, alla sanità, alla ricerca contro il cancro o l’Alzheimer, alla lotta contro il cambiamento climatico? La risposta che ci daranno i fautori della conquista di Marte è questa: si tratta di un investimento. Sul nostro futuro. Sulla sopravvivenza dell’umanità. L’idea, che molti hanno cominciato a ventilare, è che su Marte si possano trovare risorse minerarie essenziali. La nostra fame di materie prime potrebbe finalmente trovare uno sbocco altrove. Riusciremmo cosi a liberarci dall’incubo di vivere su un pianeta finito, cioè con risorse scarse che a un certo punto si esauriranno.
Questo spiega perché il campo delle esplorazioni su Marte si stia affollando. Gli americani sono all’avanguardia, grazie al lavoro che sta facendo Curiosity, ma dietro di loro ci sono parecchi inseguitori. La European Space Agency ha già inviato delle sonde robotiche, e ha discusso la possibilità di trasformare uno dei suoi Automated Transfer Vehicle perché possa trasportare astronauti. Nel 2016 lancerà la missione ExoMars (ancora robotizzata). La Russia ha inviato diverse sonde e ha «simulato» un lancio di astronauti in laboratorio nel novembre 2011, col nome Mars-500. Il Giappone ha lanciato una sonda, mentre Cina e India hanno in programma di fare altrettanto. La logica è la stessa che spinge le potenze emergenti come la Cina e l’India a investire nelle risorse minerarie e naturali dell’Africa. Il Pianeta Rosso è un po’ più lontano, ma autoescludersi dalla corsa potrebbe essere un errore strategico. Tutti ricordiamo che la storia avrebbe potuto imboccare un percorso diverso, se Colombo avesse trovato dei finanziatori a Genova anziché essere costretto a rivolgersi al trono di Spagna.
Quanto è credibile l’idea che Marte possa diventare la Nuova Frontiera, l’equivalente di quel che fu la California ai tempi della febbre dell’oro, nel 1848? In parte la risposta potrebbe darcela proprio Curiosity. Uno dei compiti di questo rover robotizzalo, che pesa appena 900 chili ed è lungo tre metri, consiste appunto nel preparare il terreno ad una missione abitata, umana. Curiosity è un tassello del progetto Nasa chiamato Mars Science Laboratory. È un progetto a geometria variabile che potrà espandersi se il responso di Curiosity sarà incoraggiante. Responso per cosa, esattamente? Ecco un elenco dei compiti assegnati a questo robot-esploratore.
Investigare il clima e la geologia di Marte. Valutare se il cratere Gale scelto per il suo sbarco abbia potuto offrire (anche in un passato molto remoto) delle condizioni ambientali favorevoli a qualche forma di vita (microbi), includendo ovviamente la ricerca di tracce di acqua.
In sostanza, dunque, Curiosity dovrà consentire alla Nasa di raccogliere elementi consistenti sull’abitabilità di Marte in vista dell’arrivo di futuri astronauti. Curiosity trasporta 80 chili di apparecchiature, con mansioni molto specializzate. Dal punto di vista dei test biologici: bisogna determinare la natura di tutti i «componenti organici a base di carbonio», appurare la presenza di quelli che sono chiamati i «fondamenti elementari per la chimica della vita» e cioè carbonio, idrogeno, nitrogeno, ossigeno, fosforo, zolfo. Scoprire se ci siano bio-tracce di processi di vita che abbiano avuto luogo su Marte anche in epoche remote.
Un’attenzione particolare va consacrata all’esame delle radiazioni: galattiche, cosmiche, solari. Già nella sua navigazione spaziale dalla Terra a Marte, la sonda ha raccolto dati su queste radiazioni, che ovviamente possono influire sulla fattibilità di una missione umana. La questione delle radiazioni si porrà anche per l’energia prodotta al fine di alimentare la missione stessa. Curiosity ha un generatore termoelettrico a radioisotopi alimentato da 4,8 chili di plutonio, costruito dalla Boeing con l’Idaho National Laboratory.
Per quanto riguarda l’interrogativo principale che Curiosity deve sciogliere, la risposta l’ha già trovata. A marzo, gli scienziati della Nasa hanno stabilito che nella zona del cratere Gale per la precisione, in un sito battezzato Baia del Coltello Giallo sono esistite le condizioni di abitabilità biologica e quindi presumibilmente delle forme di vita, sia pure miliardi di anni fa. Forse soltanto microbi, ma è pur sempre una scoperta di enorme rilevanza.
Il lavoro più recente di Curiosity si è fecalizzato su Fobos e Deimos: così si chiamano le due piccole lune di Marte. Piccole davvero: Fobos ha un diametro di soli 22 chilometri, Deimos ancora meno. Gli astronomi sono convinti che Fobos e Deimos siano stati degli asteroidi vaganti nello spazio, finché furono catturati dalla forza di gravita di Marte, che li ha messi in orbita. L’interesse ci riconduce alla motivazione economica di queste missioni: gli asteroidi sono considerati come delle potenziali miniere, riserve di materiali rari da sfruttare. Il futuro potrebbe quindi riservarci delle sorprese.
A un certo momento era parso che le missioni spaziali sarebbero diventate poco più che una forma di entertainment per straricchi in cerca di nuove emozioni, con varie società private pronte a portare, per dirla con Bignami, «turisti facoltosi a vomitare a 100 chilometri di altezza, su una specie di ottovolante gratificato». Ora scopriremo che lassù andranno i minatori del futuro? O magari i loro surrogati, androidi come il celebre Roy Batty, il replicante del film Blade Runner, che al ritorno potranno dirci: «Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser...».