Enrico Arosio, l’Espresso 12/7/2013, 12 luglio 2013
WAGNER CONTRO WAGNER
Un elegante indirizzo di Monaco cela da molti anni un tesoro storico inaccessibile: il carteggio tra Adolf Hitler, dal 1923 (agitatore putschista) al 1945 (suicida a Berlino) e Winifred Wagner, la nuora di Richard Wagner, zarina del Festival di Bayreuth e fervente hitleriana sino alla morte, avvenuta nel 1980. È custodito da una nuora di Winifred, Amélie Lafferentz, figlia di Bodo Lafferentz, ex dirigente del partito nazista, Obersturmbannführer delle SS, marito di un’altra Wagner, Verena. Vietato avvicinarsi, da sempre.
«È uno scandalo. Uno scandalo che questo materiale, che è di rilevanza storica e non più solo un segreto familiare, nel 2013, bicentenario di Wagner, non sia accessibile almeno agli studiosi». Chi parla, con tono febbrile e gestualità latina, è il bisnipote del compositore, Gottfried Wagner, 66 anni, musicologo e scrittore. È, da sempre, «l’altro Wagner». La «pecora nera». Il «Wagner di sinistra». Intellettuale segnato dalla drammatica rottura con il clan familiare, a cominciare dal padre Wolfgang, il direttore di Bayreuth scomparso nel 2010. Dopo lunghe peregrinazioni, tra New York, Israele, docenze e impegni in mezzo mondo, Gottfried ha messo radici in Italia, e ora ha ottenuto la cittadinanza. «Sono il Gottfried errante», scherza. Il volto espressivo alterna cupezze ai più calorosi sorrisi. Vive a Cerro Maggiore, vicino a Milano, in un appartamento senza lussi, sposato a un’italiana, Teresina Rossetti, che è vicesindaco per una lista civica. Del sistema di potere dei Wagner lui ha rifiutato tutto, in primis il denaro sonante intorno al feudo di Bayreuth. E si è caricato sulle spalle il peso di una storia parentale intrecciata al nazionalismo antisemita sino al Terzo Reich. E oltre.
«Sono cresciuto lì, nella casa del giardiniere. La mia finestra dava sui resti di Villa Wahnfried bombardata. A quattro anni vedevo aggirarsi gli ufficiali americani in divisa. Che ci fanno qui?, chiedevo. Perché è tutto distrutto? Non ricevevo risposta, era tutto troppo vicino e terribile». Ora, in Germania, è uscito un suo saggio che divide gli animi, "Non avrai altri Dei all’infuori di me", sottotitolo "Richard Wagner, un campo minato" (Propyläen Verlag). La biografia del musicista, la famiglia, il sistema Bayreuth sono sottoposti a fatti e confronti impietosi. Il tema è scottante, anche perché al Festival, appuntamento cultural-mondano dei wagneriani di mezzo mondo, manca poco. Apre il 25 luglio, con "L’Olandese volante" diretto da Christian Thielemann.
"L’Espresso" ha incontrato Gottfried Wagner due volte, a Milano in campo neutro. La prima in un sontuoso palazzo anni Trenta, di fronte a casa Mondadori, ospiti di un brillante avvocato tedesco; la seconda, davanti a un francescano bicchier d’acqua, in una casa di collezionisti d’arte. Il racconto che segue è il sunto di tumultuosi colloqui.
Wagner bisnonno, è la tesi, non fu solo innovatore nelle forme musicali. Fu un carrierista e un misogino, un profittatore del re bavarese Ludwig II e un razzista antisemita che avversò i rivali Mendelssohn e Meyerbeer. Del resto Nietzsche, che in origine l’aveva sostenuto, in "Ecco Homo" bollò la sua musica come «arte narcotica». Quanto al bisnipote, se la prende anche con "Apocalypse Now" di Coppola che estetizza le Valchirie al napalm. Il clan Wagner, spiega, ha celato per puro calcolo il suo lato oscuro: dall’appoggio a Hitler all’aggiramento dei processi di denazificazione post 1945, alle lotte di potere in corso: le sorelle di Gottfried, Katharina e Eva, esautorato il padre anziano, guidano oggi il Festival. Il fratello che narra e denuncia è visto come un traditore.
«Alla morte di mio padre, tre anni fa, non fui avvertito né invitato ai funerali. Fui ignorato. Lui aveva rotto con me nel 1989, prima del mio viaggio in Israele, in cui parlai delle colpe della famiglia. Da allora non sono più stato al Festival. Non ci riconciliammo mai, né lui volle mai conoscere mio figlio Eugenio. Sono fatti dolorosi». Chi parla è un uomo ferito. «Mi dichiararono persona non grata, ma fui io stesso a rifiutare il sistema Bayreuth. Io non voglio», scandisce le parole, «essere parte del sistema di potere dei Wagner». E cioè: le pregiate royalties, il rito mondano intorno alla cancelliera Angela Merkel, il sostegno del gotha dell’economia tedesca. E 7 milioni di euro di fondi pubblici dal governo, dalla Baviera e dal Comune.
Gottfried racconta episodi straordinari. Come quando scoprì 27 filmini amatoriali che il padre Wolfgang aveva girato negli anni della Bayreuth nazista, dei compleanni del Führer, delle svastiche sulla facciata del Festspielhaus. «Li scoprii in una rimessa, nascosti nel sidecar della sua Bmw 1000. Li esaminai, per un po’ li nascosi a mia volta. Mi confidai con mia sorella Eva (Wagner-Pasquier, manager di cantanti, ndr). Quando mi trasferii in Italia, li lasciai a lei. Eva mi ha poi detto: li ho perduti. Si figuri, ci sono ancora. L’ho raccontato anche ai Chaplin, a New York».
Il bisnipote ha viaggiato molto. È stato un pioniere del dialogo con i musicologi israeliani sul tabù Wagner (la cui musica fu a lungo vietata), stringendo legami con Herzl Shmueli, Noam Sheriff, lo scultore Dan Reisner. A New York, intorno al 1977, diresse la Kurt Weill Foundation (su Weill si era laureato a Vienna) per conto della leggendaria Lotte Lenya, la diva dell’"Opera da tre soldi" alla prima berlinese del 1928, che poi recitò anche l’agente della Spectre in "Dalla Russia con amore", e fece amicizia con Louis Armstrong quando cantava "Jack the Knife". «Lotte Lenya era una donna ricca, ma mi sfruttava come uno schiavo, negli squallidi locali della Foundation nella West Side. Dormivo sul materasso, io che mi battevo per il recupero dall’oblio dei musicisti proibiti dal Terzo Reich. Un bel giorno l’ho mandata al diavolo».
Gottfried si occupò dei "musicisti degenerati" anche a Wuppertal, con Pina Bausch, coreografa agli inizi di una folgorante ascesa. Il suo navigare nei ricordi, puntiglioso ma in disordine, tradisce un’ansia di fondo. Ricorda le visite di Theodor W. Adorno, vate della Scuola di Francoforte, presso un’amica di famiglia: «Adorno prendeva lezioni di piano dal maestro Jung e Lotti Jung era amica della mamma. Era un professorino sempre incravattato, molto fine e cortese, che scherzava sull’essere ridiventato allievo». Poi rievoca Londra intorno al ’68, quando studiava inglese, e vide i Beatles andare in studio a Abbey Road. Quindi salta a Parigi. «Una mia cugina francese, Blandine Jeanson, era una musa del movimento. Ebbe un figlio con Serge July, e fu con lui co-fondatrice di "Libération". Si faccia raccontare da Daniel Cohn-Bendit la volta che si nascose nell’armadio in casa di Blandine».
In quegli stessi anni, in collina a Bayreuth, sua nonna Winifred Wagner, che era stata denazificata in gran fretta nel 1948 per «colpe minori», continuava a esprimersi come i nazisti («ebrei, mezzi ebrei, quarti di ebrei»). Mostrava, vantandosi, la copia di "Mein Kampf" con la dedica del Führer «da Wolf a Winnie»; in casa lo chiamavano zio Wolf. «Winifred viveva come se dal 1945 non fosse cambiato nulla», testimonia il nipote: «Ogni 20 aprile festeggiava nella Siegfried-Haus il compleanno di Hitler. Invitava Edda Göring e Ilse Hess (vedova del gerarca Rudolf Hess, ndr), frequentava l’ex dirigente Nsdap Adolf von Thadden, l’ex leader dei fascisti britannici Oswald Mosley. Fece scolpire busti di familiari ad Arno Breker, lo scultore preferito di Hitler, quello della celebre foto del 1940, Hitler, Speer e Breker sullo sfondo della Tour Eiffel. Continuò a vedere Hans Severus Ziegler, che era stato l’ideatore della rassegna "Musica degenerata"».
Gottfried Wagner tiene a dichiarare: «Su tutto questo devono cadere i veli e le omissioni. Nell’anno del bicentenario chiedo che alla famiglia Wagner venga sottratta, per indegnità, la gestione dei Festspiele. E dalla cancelliera Merkel mi aspetto che intervenga perché l’archivio, gli epistolari, foto e filmati siano messi a disposizione della ricerca storica indipendente. Altrimenti dovrebbe smettere di partecipare al Festival».
In famiglia, lui un’alleata ce l’avrebbe anche: sua cugina Nike Wagner, drammaturga, nata nel giugno 1945, figlia di zio Wieland (fratello di Wolfgang, padre di Gottfried): «Siamo in contatto, la rispetto sul piano intellettuale e morale. Ma quando arrivo a toccare il tema Wieland, lì si blocca e si chiude». Si tratta di un segreto custodito a lungo, che l’autore richiama nel libro: negli anni di guerra Wieland Wagner fu esentato dai doveri militari e piazzato come dirigente di un piccolo "Aussenlager" a Bayreuth dipendente dal famigerato campo di Flossenbürg. «Questo fatto fu taciuto durante la procedura di denazificazione nel 1949. Si fosse saputo, mai lo zio Wieland avrebbe potuto ottenere la direzione di Bayreuth».
Un groviglio di fatti storici e di emozioni. Ombre infamanti nel cuore dell’élite culturale della Germania democratica di oggi. «Non dimentichiamo», sottolinea il bisnipote, «che la nuova Bayreuth fu ricostruita con denaro del governo e della crema dell’economia tedesca. Deutsche Bank. Krupp. Siemens. Volkswagen. Bayreuth è puro made in Germany, articolo da export mondiale».
Tra le figure con lui intrecciate c’è anche il maestro Daniel Barenboim. Premessa: Gottfried frequenta poco la Scala; men che mai in queste settimane del ciclo del "Ring" curato dal direttore argentino. Anche se vede con favore l’arrivo da Salisburgo del futuro sovrintendente Alexander Pereira («professionista ottimo, adatto al ruolo richiesto»). Con Barenboim, circa il purismo razzista di Wagner, ebbe a polemizzare in passato. «Oggi lo vedo sulla strada giusta», riconosce: «Finalmente ammette che l’opera di Wagner, dal "Rienzi" che ispirò Hitler fino al "Crepuscolo degli Dei", contiene elementi pericolosi. Barenboim, che mia zia Friedelind, l’unica a emigrare in America durante il nazismo, aveva conosciuto quand’era bambino, ha un buon rapporto con mia sorella Eva. Che posso dire?», e si apre a un sorriso: «Le lascio il suo Barenboim».
Prima di congedarci il Wagner di Cerro Maggiore fa all’"Espresso" una richiesta. «Ci tengo molto che lei lo scriva, anche se tanti amici mi pregano di non espormi. E cioè che io, Gottfried Wagner, cittadino italiano, sono un antiberlusconiano radicale. Mi raccomando: ra-di-ca-le».