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 2013  luglio 12 Venerdì calendario

FIGLI DI UNA GIUSTIZIA MINORE

Il peso della crisi si scarica sulle famiglie. E le famiglie in difficoltà scaricano i loro problemi sui tribunali. Che entrano in crisi. Tra genitori e figli, tra le migliaia di coppie che si separano o devono convivere per necessità, aumentano le liti che si trasformano in cause giudiziarie. E in queste controversie, sempre dolorose, oggi si registra una tendenza preoccupante: sta crescendo il livello di conflittualità, cattiveria e violenza familiare. Così i giudici si trovano oberati da un sovraccarico di lavoro che manda in alta tensione il diritto di famiglia. E in Italia rischia di spezzarsi un altro architrave della giustizia. Quello chiamata a rispondere alle domande basilari della convivenza civile, a prendere le decisioni con cui lo Stato entra nelle case e incide negli affetti più intimi. Tra due coniugi in lite, chi ha diritto di vivere accanto ai figli? Quel minorenne che ha commesso quel reato va chiuso in carcere, in comunità o lasciato libero? Come governare l’ennesimo sbarco di immigrati con bimbi e mamme che non parlano italiano? Quella coppia può adottare? Quella ragazzina va sottratta d’autorità alla sua famiglia perché è davvero è vittima di abusi?
«Il numero dei giudici minorili è molto contenuto, mentre stanno aumentando la quantità e soprattutto la difficoltà delle questioni trattate, per motivi legati ai grandi cambiamenti della società», spiega Adriano Sansa, da otto anni presidente del tribunale dei minori a Genova. «Qui ad esempio siamo sei giudici e dobbiamo occuparci dell’intera Liguria più la provincia di Massa. Le risorse e il personale sono sempre più scarsi. I cancellieri mancanti non vengono sostituiti, i Comuni tagliano le spese per educatori, assistenti sociali e comunità. E nei tribunali siamo al collasso: in maggio avevamo già esaurito la dotazione per carta e inchiostro». A quanto ammontava? «Millecinquecento euro l’anno».
L’aumento dei casi problematici è una tendenza generale, come conferma Caterina Chinnici, già procuratore dei minori a Caltanissetta e poi capo del Dipartimento nazionale per la giustizia minorile: «C’è un incremento preoccupante sia della criminalità minorile che della litigiosità familiare, che è legato al disagio economico ma anche a una condizione diffusa di perdita dei valori». La dirigente, che è figlia del giudice siciliano assassinato vent’anni fa con un’autobomba da Cosa Nostra, segnala due emergenze: «L’inserimento dei minorenni nelle organizzazioni mafiose è un fenomeno sempre più drammatico». Ma ora anche i tribunali civili del Nord risentono di una crisi che mette a dura prova le famiglie: «La conflittualità, con o senza matrimonio, è sistematicamente alta e ricade sui figli. La giustizia minorile sembrava un’isola felice, con pochi problemi di eccessiva durata dei processi e di sovraffollamento carcerario. Ma ora siamo al limite».
Tra il 2006 e il 2012 gli imputati minorenni presi in carico dagli "Uffici di servizio sociale" sono cresciuti da 14.744 a 20.342. Al 31 marzo scorso risultavano accusati di 37.856 reati, tra cui 203 omicidi volontari, 3.725 lesioni dolose, 804 violenze sessuali, 9.078 furti, 3.857 rapine, 3.643 traffici di droga, 1.848 illeciti con armi. L’escalation non è legata all’immigrazione: i minori stranieri con guai giudiziari aumentano di poco (da 2.972 a 3.769), mentre è impressionante l’incremento degli italiani: da 11.772 a 16.573. Negli ultimi tre anni sono aumentati anche gli ingressi nelle carceri minorili (da 1.172 a 1.252) nonostante la tendenza dei giudici a concedere misure alternative o la "messa in prova": una sospensione del processo e della pena, che in ottanta casi su cento funziona.
A tutte le decisioni sui minorenni residenti in Italia devono provvedere 198 giudici, che con i vuoti di organico scendono in realtà a 180. Un numero insufficiente: ogni anno nei tribunali minorili arrivano più di 35 mila procedimenti penali e 75 mila civili, per un totale di oltre 111 mila.
Le difficoltà maggiori si registrano al Sud. A Caltanissetta la procura dei minori, per un distretto con 451 mila abitanti, ha un solo magistrato in servizio. Si chiama Simona Filoni e fa una vita impossibile. «Da tre anni ho il telefonino acceso 24 ore su 24, semplicemente perché devo gestire da sola tutte le urgenze», testimonia la pm-factotum. «Il carico di lavoro continua a crescere, purtroppo. Le nostre carceri e comunità minorili sono oltre i limiti di capienza. E la situazione sta peggiorando». Complice la crisi, sono raddoppiati i furti in appartamento, ad esempio, ma in zone come Gela la mafia usa i ragazzini anche per traffici di droga, delitti, estorsioni, rapine a mano armata. Oltre a fare indagini e udienze, l’unico magistrato è oberato da circa 4 mila provvedimenti civili l’anno. E alle quattro di un pomeriggio qualsiasi la pm non ha ancora pranzato: «Dovevo interrogare dei minorenni arrestati. Non si possono scaricare i disservizi della giustizia sui ragazzini».
A Reggio Calabria, che ha competenza su mezza regione, i pm dei minori sono due, per cui dividersi il lavoro è facile: il procuratore si occupa di tutte le cause civili, mentre il suo sostituto, Francesca Stilla, gestisce l’intero carico penale. Anche lei conferma che «la criminalità minorile sta crescendo in tutta Italia, ma al Sud aumentano i reati più gravi, con ragazzini di 15 o 16 anni addestrati a usare pistole, mitra e perfino bazooka».
La procura calabrese, cioè la dottoressa Stilla, deve affrontare anche problemi inediti: figli usati come armi per far tacere il genitore pentito. Dopo casi tragici come quello di Maria Concetta Cacciola, spinta a suicidarsi con l’acido muriatico, l’intervento giudiziario sui minorenni è diventato prioritario per salvare le inchieste antimafia ed evitare nuovi delitti. In passato lo Stato arrivava sempre tardi: un boss poteva perdere la patria potestà solo dopo tre gradi di giudizio. Ora le procure più attive si muovono subito: «In Calabria dal 21 marzo 2012 c’è un protocollo d’azione tra magistrati civili e penali che permette di intervenire sui minori già durante le indagini. E i risultati si vedono: alcuni ragazzi di San Luca e Platì, ad esempio, sono stati collocati in comunità del Nord, dove hanno meritato l’estinzione dei loro processi per buona condotta». La svolta è combattuta: una parte della Chiesa calabrese si è schierata contro l’allontanamento dei figli dai genitori, anche se si tratta di boss sanguinari. Il pm Stilla rifiuta ogni polemica e osserva: «Nella faida di San Luca, che ha originato anche la strage di Duisburg, abbiamo cinque imputati minorenni. E il tribunale può anche riavvicinare i figli ai collaboratori o testimoni di giustizia».
Prima della giustizia, ai minori dovrebbero pensare i servizi sociali, che in molte aree del Sud però non esistono. Uno studio dell’Istat documenta che la spesa dei comuni per le famiglie in difficoltà è al minimo in Calabria (25 euro per abitante), al massimo in Trentino (295). Ma ora la crisi ha l’effetto di una scure anche per le città del Nord. Osserva il giudice Sansa: «Anche a Genova subiamo gli effetti dei tagli di educatori, assistenti e psicologi. Le comunità ci chiedono di rinviare l’ingresso dei minori, perché non hanno più risorse. C’è qualcosa di profondo che si sta sfibrando».
L’allarme è scattato anche nella giustizia civile, come conferma Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, per anni capo dei giudici minorili: «La recessione ha ripercussioni pesanti su tutte le controversie familiari. Un dato vistoso è il calo delle procedure giudiziarie di separazione: è il segno che molte coppie sfasciate sono costrette a non dividersi solo per motivi economici. Per la stessa ragione aumentano, del 6 per cento solo nell’ultimo anno, le richieste di modifica degli alimenti, perché un genitore non ce la fa più, oltre ai pignoramenti e agli sfratti». L’alto magistrato segnala anche la maggiore problematicità delle cause: «I giudici minorili e le sezioni famiglia dei tribunali ordinari devono affrontare molte questioni nuove: coppie di fatto, fecondazioni assistite, adozioni internazionali, masse di rifugiati e asilanti, minori senza cittadinanza, genitori che chiedono di riconoscere sentenze straniere...».
La situazione preoccupa anche gli avvocati più impegnati. «La famiglia è un contenitore delle tensioni sociali che ora si scaricano sui tribunali», riassume la penalista Laura De Rui, consigliere della Casa della Carità di don Virginio Colmegna. «Sono in aumento le violenze in famiglia, ma anche i casi di disoccupazione cronica, indigenza, malessere psicologico. Fino a dieci anni fa i tribunali riuscivano a guidare le famiglie in difficoltà, appoggiandosi su servizi sociali forti. Oggi la regola è una procedura conflittuale, mentre i servizi sono allo stremo».
L’avvocata Laura Hoesch, specialista della materia, conferma «l’aumento del livello di litigiosità che si scarica sui figli: l’idea di transigere, di cercare un accordo, sembra venuta meno». Colpa della recessione? «La crisi acuisce il conflitto dove c’è già. Due buoni coniugi possono superare una povertà estrema. Oggi invece c’è come un incattivimento in tutti gli strati sociali. E la nostra categoria non è immune da colpe. Proprio perché i conflitti tra coniugi si sono incancreniti, noi avvocati dovremmo essere capaci di far ragionare le parti. Invece spesso non c’è un minimo di terzietà: ci si identifica nella volontà di vittoria di una parte, che poi diventa catastrofe, perché la pagherà per tutta la vita».
Magistrati e avvocati parlano di figli «strumentalizzati contro il coniuge». E non mancano legali senza scrupoli che denunciano reati inventati per incassare più soldi (vedi box). Come e quando la giustizia debba entrare nelle famiglie, è una questione che divide gli stessi giudici. A Bologna non si è ancora risolta un’aspra polemica tra un gruppo di magistrati che accusano altri di «eccessivo interventismo» nel sottrarre i figli a coppie in difficoltà. Con «provvedimenti sommari» che aumentano il rischio di errori. E riducono le richieste di aiuto: genitori in crisi che non dicono più nulla per paura di perdere i bambini.
Gloria Servetti, presidente della sezione famiglia del tribunale di Milano, è consapevole di queste difficoltà: «La più grave sentenza penale, l’ergastolo, si fonda su prove certe e verificate in tre gradi di giudizio. Nelle liti familiari invece non si può aspettare: bisogna decidere subito, in base a un quadro parziale. E spesso il disagio dei figli è la spia di problemi degli adulti che in passato non esistevano: l’alcolismo anche femminile, l’abuso di cocaina pure in strati sociali più umili». Anche l’immigrazione sta cambiando la società e il diritto. «Gli stranieri residenti si separano come gli italiani, ma scontano problemi maggiori», esemplifica Servetti: «Che legge si applica a un padre nordafricano sposato a una russa? Come far accettare l’affidamento del figlio alla madre, se il padre è cresciuto in una cultura patriarcale? In queste situazioni il giudice è costretto a diventare quasi un sociologo».
Tra le coppie italiane, allo stesso tempo, aumenta l’incapacità di accettare qualsiasi soluzione. «Il numero di separazioni e divorzi è stabile, a Milano esaminiamo circa ottomila procedure all’anno, ma oggi le famiglie sono molto più conflittuali. Vent’anni fa in tribunale si discuteva quasi solo del mantenimento dei figli. Oggi dobbiamo scrivere motivazioni iper-dettagliate su tutto: i genitori non si parlano più e chiedono a noi giudici di scegliere perfino la scuola per il bambino». Nella sezione famiglia, almeno a Milano, i tempi dei processi sono ragionevoli, ma da gennaio questi uffici sono invasi da nuovi "fascicoli gialli": le coppie di fatto. Una nuova legge infatti ha concentrato qui tutte le decisioni sui figli naturali o legittimi. Ma il numero di magistrati e cancellieri è rimasto lo stesso. E il carico di lavoro si è solo spostato dai tribunali minorili ai magistrati ordinari.
Di fronte a tanti problemi, e alla necessità di giudici esperti, alcuni studiosi propongono di riunire tutte le competenze (penali e civili, sui coniugi e sui minori, colpevoli o vittime) in un unico "tribunale della famiglia". Una riforma fattibile? «Personalmente sarei molto favorevole», dice la Pomodoro, «ma ho poche speranze».