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 2013  luglio 12 Venerdì calendario

TASSE CHE NON TORNANO, I «GLOBETROTTER» DELL’EVASIONE FISCALE

Il paradiso, per gli evasori fiscali italiani, non può attendere. Soprattutto quando è a due passi dall’Italia o a portata di mouse. Tra trasferimenti di comodo delle residenze di persone fisiche e società, spostamento all’estero di capitali attraverso atti negoziali e operazioni di ristrutturazione societaria formalmente ineccepibili e, infine, operazioni di transfer pricing (vale a dire trasferimenti di beni e servizi tra imprese di uno stesso gruppo residenti in Stati diversi), negli ultimi cinque anni la Guardia di Finanza ha scovato e recuperato a tassazione 49,7 miliardi. Detto con un parametro di riferimento, si tratta del doppio del Pil che Expo 2015 - la cui strategicità è stata ancora una volta ricordata nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - produrrà in 8 anni secondo il presidente della Camera di commercio di Milano Carlo Sangalli. Un’escalation senza fine Ogni anno la situazione diventa più preoccupante di quello che lo precede. La fuga di capitali continua imperterrita se è vero che nei primi cinque mesi del 2013 le Fiamme Gialle hanno recuperato altri 5,5 miliardi da sofisticate manovre elusive (di cui 4,5 da residenze fittizie e il Paese maggiormente coinvolto è il Lussemburgo). Per dare un’idea dell’escalation basti pensare che nel 2008 la maggiore base imponibile (e si parla delle sole imposte dirette) scoperta attraverso 65 verifiche fu di 5,2 miliardi. Il 2012 - ultimo anno di riferimento - è stata di 17,1 miliardi. In mezzo, un’impennata che parla da sola: 5,8 miliardi nel 2009, 10,5 nel 2010 e 10,9 nel 2011. Nel 2005 - basta sfogliare il rapporto annuale - la Guardia di Finanza non segnalava neppure i dati da evasione internazionale limitandosi a parlare di "internazionalizzazione delle strategie" di contrasto ma già dall’anno dopo cambiò registro: nel 2006 gli illeciti fiscali di rilievo internazionale furono quantificati in 2,3 miliardi e l’anno successivo in 1,9. Dal 2007 a oggi una vera esplosione di ricavi o compensi non dichiarati. Un altro parametro di riferimento può dare l’idea: la lotta della Gdf all’economia sommersa in Italia (tra imposte dirette e indirette) nel 2012 ha portato alla luce 25,2 miliardi, quella all’evasione internazionale 17,1, vale a dire il triplo di quella quantificata nel 2008 e quasi nove volte quella rilevata nel 2007. Dei 17,1 miliardi, due riguardano casi di esterovestizione della residenza di persone fisiche e società, 13,4 sono relativi a stabili organizzazioni non dichiarate di imprese estere che operano in Italia e i rimanenti 1,7 sono riconducibili a triangolazioni con Paesi offshore e altre manovre elusive. Che fa, concilia? I casi di evasione fiscale internazionale scoperti nel corso delle indagini del 2012 hanno riguardato operatori economici con sedi in Lussemburgo (93 casi), Irlanda (59), Svizzera (45), Gran Bretagna (41), Usa (38), Principato di Monaco e San Marino (in entrambi in 26 casi) ed in altri 27 Paesi tra i quali gran parte dei paradisi fiscali delle black list italiane. Al termine delle verifiche a contrasto dell’evasione fiscale internazionale i contribuenti visitati dalla Gdf hanno aderito integralmente al contenuto dei verbali redatti dagli uomini delle Fiamme Gialle, con proposte di recupero a tassazione per 2,5 miliardi, versando, al momento, nelle casse dell’Erario oltre 106 milioni. Gli italiani si accorgono degli evasori internazionali, veri o presunti, solo quando salgono alla ribalta della cronaca mondiale personaggi come Domenico Dolce e Stefano Gabbana. I due stilisti il 19 giugno sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Milano a un anno e otto mesi per evasione fiscale. In attesa dell’appello, spicca l’accusa della giustizia tributaria, vale a dire una «condotta di un abuso di diritto posta in essere al solo scopo di procurarsi un vantaggio fiscale». Il contenzioso parte da lontano: marzo 2004, quando Dolce e Gabbana costituirono una società - guarda caso - in Lussemburgo, la Dolce & Gabbana Luxemburg sarl, che a sua volta costituì la Gado sarl. Nel 2010 l’Agenzia delle Entrate accusò gli stilisti di aver messo in funzione una «cassaforte costituita ad hoc», cioè la Gado sarl, per «attuare una pianificazione fiscale internazionale illecita finalizzata al risparmio d’imposta». Morale della favola: secondo l’accusa un percorso creato per non pagare in Italia oltre un miliardo di tasse. La fantasia (fiscale) al potere La realtà, però, è fatta di "gocce" quotidiane di operazioni milionarie, che toccano tutta Italia ma che vedono spesso Milano come motore della "fantasia" applicata all’evasione. Lo scorso anno, ad esempio, la Gdf di Milano ha eseguito 4 verifiche fiscali nei confronti di stabili organizzazioni non dichiarate in Italia di fondi di private equity esteri. Uno spettro di analisi nuovo e stimolante solo che si pensi che al fine 2011 il portafoglio complessivo degli operatori monitorati in Italia dalla Guardia di Finanza era di 1.100 società per un controvalore delle partecipazioni detenute, valutate al costo di acquisto, pari a circa 20 miliardi. Le verifiche hanno svelato l’esistenza di organizzazioni stabili ma occulte in Italia dei 4 fondi esteri che attraverso gli investimenti avevano generato profitti per 900 milioni che però sfuggivano a tassazione. La tecnica usata? Il cosiddetto leveraged by out, ossia l’acquisizione di un’azienda - detta "target" - attraverso il finanziamento di terzi. In questo modo gli oneri del debito necessario per perfezionare l’acquisto, vengono trasferiti sulle società "target", regolarmente in condizioni economiche floride che, in questo modo, abbattono il reddito imponibile realizzato in Italia. La Gdf ha scoperto che le attività di gestione del fondo venivano svolte completamente in Italia mentre la realizzazione degli investimenti, che non rispondeva ad alcuna ragione economica, serviva solo per indirizzare i flussi di reddito in Paesi a fiscalità privilegiata e in particolare in un’isola del canale del Regno Unito attraverso una società di partecipazione finanziaria di diritto - guarda ancora il caso - lussemburghese. I fondi hanno aderito integralmente al contenuto del verbale della Gdf versando direttamente nelle casse dell’Erario 80 milioni tra imposte e sanzioni. Paravento del riciclaggio Ad aprire gli occhi sugli incroci criminali dell’evasione fiscale internazionale è il colonnello Giuseppe Arbore, capo dell’Ufficio tutela entrate del III reparto - Operazioni del Comando generale della Guardia di Finanza. «L’esperienza investigativa ha evidenziato che l’evasione fiscale è sempre più connessa con i fenomeni di riciclaggio - dichiara Arbore al Sole-24 Ore - la cui diffusione è agevolata dalla possibilità di trasferire ingenti capitali da un Paese all’altro, utilizzando anche sistemi sofisticati, mascherati da operazioni di pianificazione fiscale internazionale, che in realtà nascondono vere e proprie metodologie per evadere le imposte e per riciclare i proventi ottenuti. Basti pensare che nel quadriennio 2009-2012, i nostri reparti hanno scoperto 8,7 miliardi oggetto di riciclaggio, di cui circa il 50% deriva proprio da delitti di evasione fiscale. Per queste ragioni, la Guardia di Finanza continuerà l’azione di contrasto all’evasione internazionale, concentrando le attività investigative anche sull’utilizzo strumentale dei trust». E che questi incroci criminali siano ormai dilaganti lo testimonia - solo per restare a quanto accaduto pochi giorni fa ma la lista è incredibilmente lunga - il decreto di confisca dell’8 luglio emesso dalla Corte di appello di Roma, quarta sezione penale - Misure di prevenzione, a firma del Presidente Claudio Cavallo ed eseguito dalla Dia di Roma, nei confronti di Nicola Defina. La confisca per un valore di 20 milioni rientra nell’ambito di un’operazione contro i tentacoli nella Capitale della cosca di ’ndrangheta Gallico e le indagini, come dichiara il direttore della Dia, Arturo De Felice al Sole-24 Ore hanno svelato che «il trust garantisce, oltre a vantaggi fiscali in ambito Ue, il trasferimento della proprietà, consentendo l’anonimato e rendendo così estremamente difficoltoso individuarne l’effettiva titolarità». Parola all’Ocse Il confine tra quella che gli strateghi della tassazione chiamano international tax planning (pianificazione fiscale internazionale) e la pianificazione che gli organi repressivi dei vari Stati definiscono con l’aggettivo ("aggressive", cioè aggressiva) è sottilissimo e bene lo sanno i Paesi del G8 e del G20. Il 17 maggio a Mosca, per l’8° Forum on tax administration, si sono ritrovati i vertici delle Agenzie fiscali di 45 Paesi, che hanno convenuto sull’evidenza: la lotta all’evasione è sempre più globale. Dal summit russo è arrivato l’impegno a rafforzare la cooperazione tra amministrazioni finanziarie, da realizzare anche attraverso lo scambio di informazioni su operazioni finanziarie transnazionali, per la decodifica di operazioni bancarie e per l’individuazione dei beneficiari effettivi di strutture complesse. Anche il G8 e il G20 (prima e dopo questo incontro) avevano applaudito allo scambio automatico di informazioni come nuovo standard internazionale ma non era (e non sarà) la prima volta e la sensazione è che le parole volino e i fatti languano. Che fare presto e bene sia impellente a livello internazionale - soprattutto nei confronti dei grandi gruppi, nazionali o multinazionali, veri e propri motori delle pratiche "aggressive" - lo testimoniano anche casi (per ora) fuori dai confini italiani. È solo di un mese fa la notizia della levata di scudi in Gran Bretagna contro il colosso Google che ha fatturato 18 miliardi di dollari nel Regno Uniti tra il 2006 e il 2011 ma ha pagato solo 16 milione di tasse perché ha sede in Irlanda. L’azienda ha replicato che c’è il massimo rispetto di tutte le leggi inglesi. Scetticismo fondato Certo, a esporsi sulla possibilità di aggredire veramente l’evasione fiscale internazionale sono in pochi (meglio assecondare l’onda ottimista) ma quei pochi che hanno il coraggio, lo fanno per aver maturato sul campo un’esperienza lunghissima. È il caso di Fabio Di Vizio, sostituto procuratore della Repubblica a Pistoia, che a Forlì, sua precedente sede, ha dato scacco matto a decine di pianificazioni fiscali "aggressive". Di Vizio, nel dialogare con il Sole-24 Ore, paragona lo scambio di informazioni che vivono sulle convenzioni bilaterali tra Stati a «battute di pesca con prede selezionate nei confronti delle quali già si dispone di consistenti elementi per ipotizzarne l’infedeltà fiscale. Senza porre a rischio di estinzione la specie. In tal modo non si può dimostrare che è stato commesso un illecito e tantomeno un crimine finché non si ottengono le informazioni ma non si possono ottenere le informazioni finché non si dimostra che è stato commesso un illecito. Scambi automatici sì ma a certe condizioni e certo entri limiti». Anche tra i politici c’è chi non si preoccupa di dire come stanno davvero le cose. Ma non tra quelli italiani. Bisogna andare in Svizzera, dove la consigliera federale Eveline Widmer-Sclumpf l’11 maggio, in un’intervista ai quotidiani Taiges Anzeiger e Bund ha dichiarato che «la questione decisiva su come debbano essere scambiate le informazioni fiscali e su come si possa giungere ad uno standard internazionale rientrano nell’area di competenza dell’Ocse», organizzazione nella quale la Svizzera ha diritto di parola. La consigliera dei Grigioni ha aggiunto: «Noi non ci accorderemo con tutti i Paesi sullo scambio automatico di informazioni ma solo con una cerchia di Stati definiti e nel rispetto di determinate condizioni». La Corte dei conti critica E così, se anche provi minimamente a cercare tra gli addetti ai lavori una conferma su questo "pessimismo cosmico" sulla volontà reale di combattere l’evasione fiscale internazionale, nessuno ha il coraggio di esporsi ma - tutti - rimandano alla stessa pagina, la 25, del rapporto 2013 della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica, in cui si cita la frase magica, vale a dire quell’«abuso del diritto» che in materia fiscale, come sembrerebbe dimostrare il caso degli stilisti Dolce e Gabbana, diventa imponente se applicato oltre i confini nazionali. Nel paragrafo intitolato semplicemente "Il contrasto all’evasione e all’elusione" al punto 4 si legge che «relativamente all’azione di accertamento in senso proprio, va detto come i risultati conseguiti negli ultimi anni siano in buona misura ascrivibili all’azione condotta dall’amministrazione nei confronti dei grandi contribuenti, soprattutto al fine di contrastare sofisticate forme di elusione e artificiose costruzioni giuridiche riconducibili nel cosiddetto abuso del diritto...Va ricordato che il tentativo di conciliare attraverso lo strumento legislativo il doveroso contrasto dei comportamenti elusivi con le esigenze di certezza del quadro normativo, ripetutamente segnalate dal mondo delle imprese, non ha sortito finora effetti stante la mancata conclusione dell’iter del disegno di legge delega sulla riforma fiscale esaminato dal Parlamento nella passata legislatura». Come dire: senza riforme serie e condivise, innanzitutto, in Patria non si va da nessuna parte, altro che convenzioni bilaterali e accordi in sede Ocse.