Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 12/7/2013, 12 luglio 2013
SE IL BICCHIERE È MEZZO PIENO
Come è già accaduto in passato, il fatto che il Tesoro non abbia raccolto l’importo massimo in asta ha fatto storcere il naso. «Domanda fiacca» è un’etichetta data al collocamento dei BTp triennali e trentennali, venduti rispettivamente per 3.384,578 milioni contro il top di 3,5 miliardi e per 1.460,752 milioni contro 1,5 miliardi. In realtà, il Tesoro - che ha inventato la forchetta - si concede questa flessibilità per spuntare il tasso migliore: trovandosi già attorno al 65% del programma di raccolta a medio-termine 2013, non ha necessità di finanziare l’importo massimo. In un contesto difficile, complicato da fattori endogeni ed esogeni, il bicchiere delle aste può essere visto mezzo pieno. La volatilità dei titoli di Stato resta elevata, per il via-vai di dichiarazioni dei principali banchieri centrali; i "fondamentali" italiani sono rabbuiati dalle continue revisioni al ribasso del Pil 2013; il processo Mediaset agita le acque della politica (lo fa da anni); il declassamento di S&P dalla "BBB+" alla "BBB" ha suonato l’allarme sul credit crunch che stronca le PMI, sulle mancate liberalizzazioni, sulle ridigità del mercato del lavoro e della pressione fiscale che penalizzano competitività e produttività. Per non parlare del polverone Pdl sul futuro del Governo Letta. In questo quadro, il Tesoro si è finanziato a tre e 30 anni pagando rendimenti più bassi rispetto ai picchi di fine giugno. Prima della "forward guidance", servita a inizio luglio alla Bce per indicare pubblicamente la prospettiva di tassi bassi e in calo se necessario nell’Eurozona, sul secondario i BTp a tre e 30 anni avevano toccato il 25 giugno il 2,93% e il 5,30 per cento. A inizio maggio, prima che il presidente della Fed Bernanke iniziasse a fare il "lavoro sporco" per uscire dal QE3 (quantitative easing), i BTp triennali e trentennali erano calati all’1,78% e al 4,60%. Insomma, chi opera in titoli di Stato dell’Eurozona periferica, alla luce di quanto accaduto non solo negli ultimi giorni, settimane e mesi ma anche negli ultimi tre anni, sta ancora tentando di "prezzare" correttamente il rischio-Paese. Tutto pesa: la bancarotta e il salvataggio di Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro; i 40 miliardi di aiuti alla Spagna per ricapitalizzare le banche; gli strumenti straordinari delle LTRO a importo illimitato, del SMP e delle OMTs dalla Bce; gli interventi dei fondi di stabilizzazione Efsf e Esm; il ramificato bail in (perdita per i privati) nei salvataggi bancari futuri dell’unione bancaria. La mossa di S&P, infine, enfatizza un aspetto tecnico delicato del declassamento: l’uscita dagli indici sui bond governativi. L’Italia, da questo punto di vista, è messa meglio della Spagna. Madrid è sull’orlo del baratro, per S&P e Moody a un solo gradino dalla "BB" dei rating speculativi, junk. L’Italia ha due "notches" di distanza ma non può dormire sonni tranquilli, perchè rischia di risvegliarsi in mezzo alla spazzatura.