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 2013  luglio 12 Venerdì calendario

IO SCOMMETTO CHE NON SARÀ CONDANNATO

Parte dell’opinione pubblica è convinta che la sorte di Silvio Berlusconi sia se­gnata: la condanna definitiva in effetti è nell’aria. Ne parlano in parecchi co­me se fosse già stata scritta la sentenza. Alcuni giornali disinvolti non hanno difficoltà a usare un linguaggio crudo e offensivo. Anche ieri ho let­to un articolo in cui il nome del Cavaliere era ac­costato a un sostantivo da brivido: delinquente. Evidentemente l’autore del testo non ha dubbi sull’orientamento della Cassazione. Ma secon­do me sbaglia. I giudici del terzo grado di giudizio spesso riser­vano delle sorprese, e sono persuaso che anche stavolta saranno in grado di deludere coloro i qua­li vivono da anni con la voglia ossessiva di assiste­re all’arresto (e alla scomparsa dalla scena politi­ca) del fondatore di Forza Italia e del Pdl. Non dico questo per il piacere di andare controcorren­te, ma in base a un ra­gionamento logico presumibilmente identico a quello che farà il difensore del­l’imputato, l’avvocato Franco Coppi. Cerco di esporlo con sempli­cità, scusandomi in anticipo se il mio lessi­co non è ortodosso sotto il profilo giuridico. Berlusconi, si sa, è accusato di frode fiscale. Quale grande azionista di Mediaset, egli avrebbe autorizzato o addirittura promosso una azione truffaldina dell’azienda allo scopo di costituire fondi neri per 5 o 6 milioni di euro. Fondi neri che in verità fanno sempre comodo a qualunque im­prenditore, perché il denaro contante non conta­bilizzato consente di eseguire operazioni all’in­saputa dei soci. Molte imprese vi hanno fatto ri­corso in passato, ad esempio per pagare tangenti ai partiti politici. Non mi sorprenderebbe se tra queste ci fosse anche Mediaset. Nell’eventuali­tà, quale responsabilità potrebbe avere in propo­sito Silvio Berlusconi, dato che il reato sarebbe stato commesso nel 2002-2003, cioè quando egli si dedica­va da un paio di lustri alla politica e non aveva alcun ruolo nella società?
Conviene ricordare che il Cavaliere, avendo vinto le elezioni nel 2001, al­l’epoca dei fatti delittuosi era presiden­te del Consiglio, si occupava (bene o male) del governo del Paese e non di Mediaset, come d’altronde risulta da qualsiasi documento. Egli non era né presidente né amministratore delega­to del Biscione. Non era lui il capo delle emittenti televisive né avrebbe avuto la facoltà di metterci becco. Altre erano le persone incaricate formalmente e so­stanzialmente di controllare che nelle aziende tutto si svolgesse regolarmen­te, ovvero senza violazioni della legge.
È noto che la responsabilità penale è personale. Se il Cavaliere era impegna­to nella sua veste di premier, conte­stualmente non poteva stare al timone di Mediaset. I magistrati invece pensa­no il contrario: stando a loro, Berlusco­ni aveva i piedi a Palazzo Chigi e la testa a Milano 2. In pratica, essi affermano che lui, per quanto immerso nella poli­tica, e preso da compiti istituzionali,so­vrintendesse anche all’impresa televi­siva. Il che non è provato, oltre che alta­mente improbabile. Lo dico con cogni­zione di causa.
Nel 2001, pochi mesi prima delle con­sultazioni per il rinnovo del Parlamen­to, ricevetti una telefonata. Era il lea­der di Forza Italia. Mi propose di con­durre un programma su Canale 5 simi­le a quello di Enzo Biagi, Il Fatto , tra­smesso ogni sera su Raiuno dopo il tg. Inutile precisare che l’idea mi allettas­se. Cosicché approfondimmo il discor­so. L’accordo era che l’indomani avrei incontrato Fedele Confalonieri con il quale avrei perfezionato il progetto. L’appuntamento venne fissato al risto­rante Savini, in Galleria a Milano, ore 13, dove mi presentai eccitatissimo, dando per certo che le trattative sareb­bero andate a buon fine, considerata la determinazione manifestatami il gior­no precedente dal padrone. Errore.
Confalonieri, accompagnato dal suo «secondo», Mauro Crippa, trac­cheggiò. Tra molti ma e altrettanti pe­rò, mi prospettò l’ipotesi di avviare la trasmissione non su Canale 5, che era zeppo di pubblicità, bensì su Italia 1. Mi accennò anche a problemi interni alla redazione del Tg5 che non avreb­be gradito la mia invasione in prima se­rata. Compresi che nulla sarebbe fila­to liscio. Infatti la strada che mi porta­va a Mediaset fu cosparsa di ostacoli. Chiesi soccorso a Berlusconi e questi si mostrò più imbarazzato di me, invi­tandomi a tenere duro quasi che i miei avversari fossero anche i suoi.
Ero assai pessimista sugli sviluppi del negoziato. A un certo punto conve­nimmo c­he il programma sarebbe sta­to ospitato da Italia 1. Meglio di niente. E passammo a studiare la struttura del «prodotto». E qui rischiai di impazzi­re. Servivano due squadre, una di gior­nalisti e una di tecnici. Scoprii che non c’era né l’una né l’altra. Avrei dovuto utilizzare uomini di Mario Giordano, direttore del telegiornale, il quale tut­tavia aveva la precedenza su di me per motivi di ordine organizzativo e di pa­linsesto.
Non vi dico quanto dovetti penare per ottenere la firma del contratto. Vi ri­sparmio altre e varie traversie e arrivo al dunque. La data delle elezioni si av­vicinava ed eravamo ancora in alto ma­re. Basta. L’imperativo era comun­que: andare in onda. Mi trascinano in uno studio del Palazzo Dei Cigni, mi fanno sedere dietro una scrivania sgombra, accendono l’unica teleca­mera disponibile ( una sorta di videoci­tofono), azionano uno strumento che scandisce il tempo e mi avvertono: 180 secondi, non uno di più. Che cosa avrei potuto fare in tre minuti se non re­citare un pistolotto in puro stile predi­catorio?
Altro che fare concorrenza a Biagi, come aveva comandato il Cavaliere; non mi diedero i mezzi neanche per es­sere all’altezza del parroco di Milano 2. La trasmissione di punta pretesa dal presunto dittatore si risolse in una bu­fala. È la dimostrazione che a Media­set Berlusconi non aveva alcun peso; peggio, lo prendevano in giro. Ogni suo desiderio faceva scattare in azien­da l’ordine di non realizzarlo. Come si fa a supporre che il Cavaliere,comple­ta­mente estromesso dalla cabina di re­gia dell’impresa, fosse in condizioni di imbastire una frode fiscale? La Corte di cassazione non può credere a una baggianata del genere, e si pronunce­rà per una assoluzione sacrosanta.