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 2013  luglio 12 Venerdì calendario

ROMA —

«Lo sa quando mi son proprio cadute le braccia? Quando un ragazzo di 22 anni, che aveva superato le selezioni, ha detto: qui da voi tutto bello, grazie, ma preferisco rinunciare, se no perdo l’indennità di disoccupazione... Ha capito bene?».
Stefano Cigarini, 45 anni, è l’amministratore delegato di due dei più grandi parchi di divertimenti in Italia, il «Miragica» di Molfetta e il «Rainbow MagicLand» di Valmontone, «per numero di biglietti venduti la terza attrattiva turistica della Capitale, dopo il Colosseo e i Musei Vaticani», dice lui. Ieri, su «La Gazzetta del Mezzogiorno» Cigarini è uscito allo scoperto con una clamorosa denuncia: «In un momento così grave di disoccupazione giovanile è difficile trovare ragazzi disposti a lavorare sacrificando le vacanze estive». A Molfetta, ha raccontato l’ad di «Miragica», su 50 ragazzi già selezionati per lavorare fino a settembre solo 10 hanno accettato, gli altri si son tirati indietro: «C’era chi non voleva lavorare nei weekend, chi non voleva sacrificare il Ferragosto, chi l’uscita del sabato sera con la fidanzata». Come diceva l’ex ministro Fornero? Generazione choosy. Giovani schizzinosi. Sarà vero? Sul web l’intervista ha scatenato un putiferio. I social network ribollono già dei commenti più svariati («A Molfetta non pagano i contributi» oppure «Vergogna! In Italia non c’è lavoro e c’è chi lo rifiuta»). Il sito stesso della Gazzetta è andato in tilt. «Ma va — scrive PincaPallina — a Miragica ti propongono il contratto a voucher, che non ti dà diritto a un bel niente! Perché noi giovani dobbiamo sempre accontentarci?». Cigarini giura che lo stagionale medio di «Miragica» guadagna 800 euro netti al mese per 40 ore settimanali. Ma non arrivano a tanto i contratti voucher (cioè gli occasionali pagati coi buoni lavoro per non più di 5 mila euro l’anno), gli intermittenti, quelli con l’apprendistato. L’ad però non ci sta: «Noi siamo come i preti, il prete lavora quando gli altri vanno in vacanza. Sono d’accordo che è un lavoro duro, faticoso, intermittente e non può essere il contratto della vita, ma io credo che un giovane con un progetto di futuro davanti a sé non dovrebbe pensare all’indennità di disoccupazione, piuttosto a 22 anni dovrebbe pensare a comprarsela, la mia azienda. Questa però mi sembra la generazione del tutto e subito: si è persa la cultura della fatica, del lavoro, della gavetta». Il manager chiude con un aneddoto: «Avevo 22 anni, studiavo al Dams di Bologna, mi stavo per laureare in marketing discografico. Un giorno per strada incontro Lucio Dalla, lo fermo e gli chiedo un’intervista per la mia tesi. Lui mi dice: adesso o mai più. Io mi butto e passiamo insieme il resto della giornata. Alla fine mi saluta: vedrai Stefano, lavoreremo insieme. Io penso a una sbruffonata, invece qualche settimana dopo mi chiama, dice di vestirmi bene e andare da lui. Arrivo lì e trovo una decina di persone che comincia a interrogarmi su tutto. Era il cda al completo della sua casa discografica. Poi esco, viene Dalla e mi annuncia: sei dei nostri. Per due anni feci il garzone di bottega, gratis, ma tre anni dopo ero il direttore marketing di Universal. Anch’io pagherei di più i ragazzi, ma ci sono le regole del mercato. Nella vita, però, bisogna mettersi in gioco».
Fabrizio Caccia