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 2013  luglio 11 Giovedì calendario

La prima guerra finanziaria mondiale di Alessandro Politi «Inzwischen ist der Euro zur zweitwichtigsten Währung der Weltwirtschaft geworden

La prima guerra finanziaria mondiale di Alessandro Politi «Inzwischen ist der Euro zur zweitwichtigsten Währung der Weltwirtschaft geworden. Diese europäische Währung ist nach innen wie auch im Außenverhältnis bisher stabiler als der amerikanische Dollar - und stabiler als die D-Mark in ihren letzten 10 Jahren gewesen ist. Alles Gerede und Geschreibe über eine angebliche “Krise des Euro“ ist leichtfertiges Geschwätz von Medien, von Journalisten und von Politikern» (Helmut Schmidt, 2011 discorso al Congresso della Spd) [1]. L’allora ministro delle Finanze Giulio Tremonti ha impiegato tempo fa due metafore la cui sostanza è stata comodamente ignorata: «Finita la crisi bisognerà erigere nelle piazze italiane, accanto al monumento ai caduti, il monumento alla figura eroica dei risparmiatori italiani» (18/9/2009); «La crisi non è finita. È come vivere in un videogame: compare un mostro, lo combatti, lo vinci, ti senti rilassato e spunta un altro mostro più forte del primo» (6/1/2011). I termini sono chiari: guerra mondiale, massacro, monumento ai caduti, mostro, vittoria, altro mostro. Fuor di metafora, stiamo vivendo la prima guerra mondiale finanziaria ed è un videogame solo perché combattuta nei quartier generali più moderni da reti informatiche con reazioni al millesimo di secondo, addestrate a reagire in modo largamente automatico, proprio come il terribile Skynet nucleare del film Terminator. Lo schema del contributo è in due parti: nella prima, sintetica e propositiva, spiegheremo le premesse analitiche e geopolitiche della guerra, gli attori ed il suo svolgimento, le prospettive future e le proposte politiche; nella seconda gli eventi sono sviluppati sotto forma di cronologia ragionata in modo da non appesantire la parte precedente. Alcune premesse di base Non è possibile capire la situazione attuale se si stanno a sentire una larghissima parte di media e commentatori consciamente o inconsciamente condizionati dal pensiero unico del capitalismo finanziario (finanzcapitalismo) e non si guarda ad alcuni fatti semplici che riassumeremo in tre punti: 1. il mercato non esiste: a livello finanziario c’è un oligopolio; 2. le agenzie di rating sono un oligopolio anch’esse; 3. il controllo economico si concentra in pochissime entità significative a livello globale attraverso una rete di controlli azionari, la posizione e i rapporti delle quali hanno chiare implicazioni geopolitico-economiche; 4. il sistema è talmente concentrato da essere intrinsecamente instabile [2]. Secondo l’Ocse ci sono 10 attori che controllano oltre il 90% dei mercato dei derivati (credit default swaps, collateral debt obligations, exchange rate swaps), divisibili in due gruppi geografici (americano ed europeo) cioè: J.P. Morgan, Bank of America-Merrill Lynch, Citibank, Goldman Sachs, Hsbc Usa; Deutsche Bank, Ubs, Crédit Suisse, Bnp-Paribas, Société Générale (Sg). Lo stesso tipo di monopolio condiviso è presente anche riguardo le agenzie di rating (Moody’s, Standard&Poor’s, Fitch) due americane e la terza franco-americana, le quali rappresentano l’85% del mercato delle valutazioni finanziarie [3]. Peraltro anche le grandi case di auditing finanziario e di bilancio sono pochissime: PricewaterhouseCoopers (Usa), Deloitte Touche Tohmatsu (Usa), Ernst & Young (Uk), Kpmg (Paesi Bassi), con una quota stimata complessiva di mercato pari all’80% [4]. È dato empirico accertato che, dove la competizione è manipolata da oligopoli, non esiste libero mercato e, se bisogna essere conseguenti, nemmeno libera democrazia, ma si crea invece una ambiente dove pochi decidono in modo opaco ed il resto degli attori sono sotto una reale tutela più o meno pesante. Un’analisi statistico-matematica condotta sul database di compagnie transnazionali Orbis 2007 rileva che su 30 milioni di attori economici, secondo parametri Ocse, vi sono 43.060 Tnc (TransNational Company) sulle quali è stata fatta una ricerca in grado di ricostruire per la prima volta la rete delle proprietà risalenti a queste ditte. Si arriva ad un insieme di 600.508 nodi e 1.006.987 nodi di proprietà, dati che sottoposti a strumenti di analisi delle reti danno questi risultati: le sue componenti con le maggiori connessioni contengono tutte le Tnc ai vertici della classifica per valore economico, quantificabili per il 94,2% dell’intero reddito operativo delle Tnc; il centro di questa struttura a papillon è fatto da una componente con legami forti dove tutte le compagnie hanno legami reciproci, con il risultato che i 3/4 della proprietà non escono mai dal nodo del papillon. In sintesi vi sono relativamente poche Tnc nel mondo che hanno un controllo pari alla schiacciante maggioranza dei ricavi d’esercizio prodotti da tutte le altre Tnc e all’interno di questa élite vi è un gruppo ancor più ristretto che è blindato dal punto di vista dell’azionariato [5]. Se si prende la graduatoria delle prime 50 Tnc e la s’incrocia con i 10 attori principali dell’oligopolio finanziario individuato dall’Ocse si cominciano a delineare degli equilibri di potere che spiegano alcuni eventi contenuti nella cronologia annotata in allegato. Questa graduatoria è ulteriormente illuminata da uno schema semplificato di collegamenti azionari in cui sono evidenziate con un ovale le prime dieci compagnie finanziarie. (qui tabella e grafico) Per concludere le premesse di base e cominciare a capire come si è sviluppata la prima campagna di questa guerra finanziaria mondiale, bisogna ritenere alcuni punti: 1. sinora al vertice della rete di controlli aziendali, c’è una pattuglia di conglomerati finanziari appartenenti ai citati 10, composti da tre società americane, due svizzere, una britannica ed una tedesca. Tenendo presente tutte le top 15, ve ne sono due britanniche, due svizzere, una francese ed una tedesca contro nove statunitensi [6]; 2. Merrill Lynch è al centro di una rete di cicli azionari che controllano Axa e Goldman Sachs; 3. la rete di relazioni è fatta in modo tale da poter facilmente eludere ogni esistente legislazione antitrust; 4. la Germania ha creato un legame più stretto fra Deutsche Bank, Commerzbank e Credit Suisse, ma Deutsche Bank è partecipata da Barclays, la più potente Tnc del mondo, la quale a sua volta partecipa Axa. Il fatto che Deutsche Bank abbia una partecipazione nella Barclays non diminuisce lo squilibrio nella relazione con Barclays; 5. in questo mondo le idee politiche di asse franco-germanico o entente cordiale franco-britannica sono assai relative, mentre contano molto di più le alleanze delle rispettive borse. Nyse-Euronext è la prima borsa mondiale e la seconda europea, Nasdaq Mx è la prima europea, Londra la prima regionale europea seguita dalla Deutsche Börse a Francoforte [7]; 6. L’unica impresa statale che è Tnc ed è tra le prime 50 è un conglomerato petrolifero cinese (peraltro l’unico paese con un’agenzia di rating nazionale, Dagong). Dunque il campo del teatro di guerra non ha delle linee di fronte definite e nemmeno degli avversari concettualmente facili da distinguere come nelle guerre armate tradizionali, perché in queste il nemico può essere difficile da individuare e discriminare, può talvolta cambiare atteggiamento, ma si sa chi sono gli amici più affidabili anche se mancano dei fronti definiti, come sempre nei conflitti di guerriglia e controguerriglia. Qui invece bisogna partire dall’idea che vi sono degli attori delle forze “rosse” fortemente trasversali, che praticamente non hanno alcun interesse a seguire logiche statali o di bandiera, mentre sono guidati da ragioni essenzialmente di aspettativa, positiva o negativa, e profitto. Si potrebbe pensare che gli stati sono i protagonisti delle forze “amiche” o meglio “azzurre”, ma, se si guarda all’azione concreta di governi, è difficile immaginare una controparte così confusa, inerte, connivente o acquiescente. Le loro classi politiche sono state formattate sul pensiero unico del finanzcapitalismo e non sono capaci d’immaginare altra distinzione ideologica che l’allocazione di soldi verso l’alto o verso il basso della società. Mentre il detonatore della crisi è stata la bolla speculativa statunitense sull’immobiliare, largamente favorita dalla presidenza G. W. Bush in modo da rastrellare ulteriore debito privato negli Usa, visto che quello pubblico è a livelli allarmanti e normalmente insostenibili, la causa strutturale è nella relazione creditore-debitore dei gemelli siamesi Cina-Usa nel Pacifico. Pur essendo entrambi partecipi dell’economia globalizzata, anche attraverso la partecipazione all’Omc (Organizzazione Mondiale del Commercio, Wto), i due paesi non sono assolutamente così integrati a livello economico come lo spazio economico transatlantico: questo significa che da entrambe le parti, specie quella cinese, lo stato ha una funzione di filtro molto forte nella gestione del problema. L’altra faccia della crisi sull’Atlantico è data invece dall’abdicazione sinora totale della politica all’economia sin dalle deregulation Reagan-Thatcher del 1981 e persistentemente sviluppata da tutti i vertici europei, inclusi quelli apparentemente meno filoatlantici. È qui che la guerra è stata dichiarata da interessi eminentemente privati e che è stata condotta con l’acquiescenza più o meno attiva delle autorità politiche. Gli attori e la guerra Abbiamo già visto i grandi attori multinazionali che obbiettivamente influenzano, controllano e determinano il cosiddetto mercato, ma l’ordine di battaglia degli attaccanti non sarebbe completo senza quelli che sono spesso stati agenti di primo piano nello sviluppo delle crisi borsistiche e valutarie da più di un decennio: gli hedge fund. Tecnicamente sono fondi che nascono come hedge (assicurazione, riassicurazione, protezione d’investimenti), ma presto sono diventati fondi fortemente speculativi. Il primo precedente importante è stato posto infatti nel 1992 con la manovra speculativa del finanziere George Soros, alla testa del proprio hegde fund, contro il Sistema Monetario Europeo (vedi cronologia). Anche adesso, nonostante i no comment, vi sono notizie su un’azione concertata di alcuni fondi tra cui Paulson&Co., Black Rock Inc., Brigade Capital Management Llc, Sac Capital Advisor Lp, Soros Fund Management Llc, GreenLight Capital Inc.; le loro azioni sono state appoggiate e facilitate da banche d’investimento come J.P. Morgan Chase, Bank of America Corp. via Merrill Lynch e Barclays. Dal canto Soros non ha perso la mano in questo tipo d’operazioni e ha dichiarato che l’euro può collassare, mentre l’oro rappresenta un investimento anche se è destinato a diventare una bolla [8]. Le forze in difensiva sono da un lato le società civili (dal ceto medio in giù) indotte al depauperamento costante da un ventennio attraverso una sistematica estrazione di valore a favore dell’1‰ della popolazione e dall’altro una serie di stati, banche centrali e organizzazioni internazionali le cui scelte raramente sono indirizzate a favore della maggioranza delle società civili che li mantengono. È utile riassumere rapidamente le caratteristiche dei tipi d’attore non sociali in difesa: stato nazionale, fortemente inquadrato dalla sua condizione economica, espressa in un rating sul debito pubblico da parte di un’agenzia privata; governato da una classe politica formata sui dogmi economici correnti e generalmente priva di concreti riferimenti ideologico-politici e di senso della ragion di stato come valore dominante; se si tratta di un paese europeo, è privo di solidarietà; banca centrale, organismo con competenze di finanza pubblica, dominato da interessi finanziari privati, spesso legalmente costituenti la banca. La Bce ha gli stessi problemi, aggravati da una frammentazione d’interessi nazionali e dalla mancanza di un’interfaccia politica europea che non sia intergovernativa; Consiglio Europeo, nella sue varie configurazioni specializzate (Ecofin per esempio) è una cassa di risonanza a geometria variabile degli interessi nazionali più o meno forti, a loro volta sollecitati dal peso degli interessi finanziari residenti; Comunità Europea e Parlamento Europeo, alla metà dell’aprile 2012 messi fuori gioco dai meccanismi intergovernativi, incapaci di esprimere una rilevante azione politica, minati da correnti a favore dei citati gruppi finanziari; Fmi, organismo finanziario internazionale frutto degli equilibri della seconda guerra mondiale, divenuto lo strumento di stabilizzazione finanziaria dopo le differenti crisi economiche regionali dagli anni ‘70 del secolo scorso in poi. Nonostante numerose sollecitazioni, continua ad applicare ricette di stabilizzazione finanziaria che non corrispondono agli interessi delle società e delle sovranità nazionali coinvolte, ma a quelli di una generale stabilità finanziaria globale i cui primi beneficiari diretti sono i citati gruppi oligopolistici. La differenza è che prima queste misure si applicavano al Terzo Mondo, adesso in Europa. Questa guerra finanziaria è globale perché tocca i rapporti e gl’interessi che si articolano fra il dollaro e l’euro, cioè le due valute dell’interscambio mondiale, ed essa è combattuta in Europa, come le passate tre guerre mondiali, perché l’Unione Europea ha creato, secondo logiche di mercato, una valuta il cui peso strategico ed economico suscita un problema di concorrenza. Lo scopo primo di questa guerra, quello che ha mosso l’assalto finanziario all’euro, è semplicemente il profitto di gruppi d’interesse finanziari privati, i quali, dopo la crisi americana dei subprime loan e la conseguente fine di fatto del paradigma “i debiti non si pagano, si rifinanziano”, hanno trasformato il problema di dover ripagare leve debitorie eccessive in un’opportunità [9]. L’obbiettivo evidente e razionale da parte di questi gruppi privati è di estrarre valore attraverso operazioni d’indebolimento della credibilità dei debiti pubblici di paesi economicamente e politicamente più vulnerabili in modo da garantire un afflusso di soldi reali e garantiti che devono rimpiazzare parti di massa monetaria-ombra, la cui garanzia sottostante è prossima allo zero [10]. È ovvio che non c’è una grande congiura “demoplutogiudaica” anche perché è uno strumento del tutto obsoleto rispetto alle moderne tecniche d’ingegneria sociale: esiste invece un coordinamento informale, dovuto a cointeressenze strutturali tipiche di un’oligarchia, facilitato da una cultura ed un’ideologia finanziaria standardizzata e che si esprime con le tecniche dello swarming e della guerra asimmetrica. Lo swarming (guerra a sciame) permette allo stormo di agenti finanziari di agire in modo coerente, collettivo e ragionevolmente coordinato per l’esecuzione degli attacchi e per le operazioni di manipolazione dell’infosfera globale. L’asimmetria è essenzialmente informativa su tre livelli: High Frequency Trading (Hft, scambi finanziari totalmente automatizzati in millesimi di secondo); shadow finance (sistema finanziato totalmente opaco e non regolato); conoscenza d’informazioni altamente riservate e simultanea divulgazione propagandistica di parametri economici e sociali funzionali all’accompagnamento psicologico delle azioni finanziarie su economia e politica. È uno shock and awe apparentemente virtuale con risultati concretissimi sulla vita quotidiana delle popolazioni colpite: se sono appartenenti a stati relativamente prosperi, c’è una consistente pauperizzazione della maggioranza della società, se sono stati deboli poveri e dipendenti da poche commodity non energetiche, c’è l’aggravamento della denutrizione cronica sino all’eliminazione progressiva dei segmenti di popolazione più deboli. Anche settori apparentemente protetti corrono seri rischi: a seguito degli attacchi finanziari l’Italia si ritrova praticamente con 2 brigate in meno (quasi -18% delle forze da combattimento), una flotta d’altura dimezzata e un taglio ai futuri aerei d’attacco F-35 (-31%); un disarmo senza colpo ferire, come del resto è accaduto al Regno Unito che si trova senza portaerei e senza caccia navali per dieci anni [11]. Va ricordato che non è la prima volta che questo accade. Nel 1997 secondo una trama assai simile, verificatasi la crisi finanziaria del Sud Est Asiatico (bolla finanziaria tailandese, crollo del settore edilizio, programma strutturale dell’Fmi, investimenti giapponesi, ricreazione di bolla e crollo identici, austerità imposta), il Fondo Monetario Internazionale provò ad imporre la cancellazione del programma della portaerei leggera Chakri Naruebet della Regia Marina Thailandese (Rtn). Non vi riuscì, ma l’austerità imposta a tutte le spese statali, ha condannato la nave ad un’operatività quasi nulla e l’ha privata della sua componente di caccia a decollo verticale [12]. C’è un aspetto monetario che nell’ampio dibattito sulla cosiddetta crisi dell’euro è stato sinora poco considerato ed è la relazione tra le due valute mondiali rispetto al signoraggio del dollaro. Alcuni commentatori hanno sottolineato l’eterogenesi dei fini che ha marchiato il destino dell’euro: moneta senza un ministero delle Finanze e senza una dimensione strategica, ha però malgré elle una valenza politica e di sovranità ineludibili che sono destinati a creare attriti a livello transatlantico rispetto alla volontà americana di mantenere una supremazia globale. L’anello mancante dal punto di vista politico-economico è appunto il signoraggio perché se il doppio deficit pubblico e commerciale e i downgrading dei rating (Dagong e Fitch) cominciano a incrinare la credibilità di questa condizione privilegiata, allora l’euro comincia a diventare nei fatti un’alternativa pericolosa per la perpetuazione del signoraggio medesimo. In linea di principio a un operatore finanziario non interessa chi detenga il signoraggio, ma, in attesa che emerga un’altra piattaforma monetaria, è opportuno far guadagnare tempo al dollaro, anche indebolendo l’euro con un’azione profittevole. È chiaro che qualunque amministrazione statunitense ha interesse a preservare il signoraggio, evitando d’intervenire in modo troppo profilato. Dal punto di vista operativo la manovra geoeconomica di questa guerra non è particolarmente innovativa, ma è di provata efficacia visto che la tattica del carciofo o del salame parte dalla neutralizzazione delle componenti più deboli dello schieramento sotto attacco per arrivare ad isolare quelle più forti. Di fronte all’attacco ai cosiddetti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), gli altri stati europei e le istituzioni europee si sono puntualmente divisi, una costante geopolitica dal 1991 (crisi della Jugoslavia), permettendo alle manovre speculative di mettere in discussione l’insieme dell’Eurozona, inclusi i paesi apparentemente inattaccabili nel loro rating AAA. La Francia, nonostante l’effimera vittoria in Libia, ha perso il rating massimo insieme all’Austria, due paesi in posizione a tenaglia rispetto alla Germania. Si potrebbe registrare un momento d’unione parziale nel momento in cui il presidente del Consiglio, Mario Monti, lancia la proposta europea di una politica per la crescita con una lettera che raccoglie le adesioni di 12 paesi europei (oltre l’Eurozona; 20/2/2012 in vista del vertice europeo per l’1 marzo), ma, nonostante le prime reazioni positive da parte della cancelliera Angela Merkel (14/3/2012, che insieme al presidente francese Nicolas Sarkozy non ha aderito ancora ad aprile), tutti ricordano lo stesso tipo di divisione nel 2003 quando una simile lettera raccolse le adesioni dei 10 nuovi membri dell’’Ue, isolando Francia e Germania e permettendo all’allora vicepresidente Richard “Dick” Cheney di tentare di spaccare l’Unione tra Old and New Europe. Come si può vedere nella tavola annessa, la questione del debito non è algidamente obbiettiva in termini economici, ma offre invece ampio spazio a scelte arbitrarie di differente segno geopolitico e geoeconomico, tanto più che l’informazione sull’inconsistenza dei conti pubblici greci non era affatto ignota ai partner europei nel momento in cui la Grecia è stata accolta nell’Eurozona. (qui la tabella) In un simile contesto è naturale interrogarsi sul ruolo delle agenzie di rating e la cronologia allegata permette di capire che il rating è la versione moderna della scomunica papale nel Medioevo: quanto più il soggetto colpito è politicamente debole, tanto più ha bisogno di una legittimazione esterna. Chi detiene questo potere storicamente non è mai terzo rispetto agli eventi che può influenzare o determinare, tanto più se opera in condizione di monopolio condiviso e di relazione stretta con altri attori oligopolistici. L’obbiezione corrente è che le ditte di rating s’impegnano con forza a difendere la propria reputazione migliorando i processi di valutazione e che in genere le loro reazioni sono più lente rispetto all’evolversi della crisi [13]. (qui la tabella) La carta fa vedere come effettivamente le degradazioni della qualità del debito greco siano arrivate dopo il peggioramento delle quotazioni sul mercato, ma non fa vedere il contesto ed è un ambiente influenzato dalle altre agenzie di rating che, puntualmente, appena i governi tirano fuori una soluzione, decidono di accompagnare i mercati nell’esigere condizioni sempre più pesanti o dalla Grecia o da altri paesi ben sapendo che vi saranno ripercussioni sull’insieme dei Piigs e dell’euro. Invece i governi dell’Eurozona, con una straordinaria cecità s’illudono (o fanno illudere) sino alla fine dell’aprile 2012 che si salveranno solo per i loro meriti individuali e non con un’azione sistemica e coordinata. Anche la Germania, dal canto suo, è indietro con i suoi obiettivi d’austerità: solo il 42% dei tagli sono stati compiuti. La descrizione di questo Blizkrieg finanziario non può prescindere almeno da un rapido accenno su altri attori globali ben più rilevanti dei paesi dell’area atlantica e su un attore atlantico in posizione defilata. I Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) possono generalmente permettersi una posizione attendista e di salvataggio selettivo di porzioni di debito in cambio non di obbligazioni, ma di acquisti di beni pubblici pregiati (p.e. affitto cinese trentacinquennale del Pireo e mercato della cantieristica captive). D’altro canto risentono tutti dell’indebolimento di una moneta alternativa al dollaro e della guerra valutaria condotta dai Qe (quantitative easing) americani e dal cautissimo apprezzamento del renminbi su altre valute, il che porta il Brasile a irrigidirsi nei confronti dei due paesi. Tuttavia, la precedente carta delle prime Tnc disegna un possibile fronte caldo tra i Brics, ancora molto impegnati nell’economia reale e fuori dai giochi del finanzcapitalismo, e il gruppo di paesi pesantemente indebitati, coinvolti nel capitalismo da casinò. Si profila cioè uno scontro fra economia reale ed economia finanziaria, tra il tentativo dell’economia finanziaria di valorizzarsi all’infinito e la ricerca di potere di entrambe i tipi di capitalismo; tra crescita geometrica (capitale reale) ed aritmetica (capitale finanziario). Col capitale fittizio si acquistano beni e ricchezze reali esistenti; lo si ricicla mobilitando potere e sfruttando le crisi per raggiungere ritmi d’accumulazione normalmente non fattibili, attraverso la creazione e sfruttamento del caos [14]. Il Regno Unito è invece un attore defilato, in quanto fuori dall’Eurozona e con una valuta propria, ma è certo non estraneo alla partita. Nella condizione attuale lo Uk si trova a vivere il Terzo Impero Britannico della sua storia, secondo il giornalista Dan Hind [15]. Il primo impero finisce nel 1781 con la sconfitta britannica nella rivoluzione americana, il secondo con l’indipendenza dell’India nel 1947, mentre il terzo è basato sulla rete d’infrastruttura finanziaria off-shore, sostenuta da risorse consistenti della diplomazia, dell’intelligence e delle telecomunicazioni. Manca un elemento cruciale, la cui importanza è ancor maggiore rispetto a centri fisici di smistamento di denaro non tassato (messi peraltro sotto pressione dalle liste nere di Ocse e Ue), che consiste nel ruolo dei conglomerati britannici nella finanza ombra e in quella Hft. Su questa base è chiaro il ruolo di Barclays nella guerra e anche la strenua opposizione di Londra all’idea di una tassazione sulle rendite finanziarie, come si può vedere dalla seguente immagine [16]. Meno evidente è che l’indebolimento dell’Eurozona può rappresentare un’opportunità per la borsa di Londra di allargare il suo ruolo e la sua asimmetria informativa rispetto ai competitori Euronext e Omx. (qui tabella) Prospettive future Gli scenari non sono molti e in gran parte si riassumono nel seguente grafico [17]: (qui grafico) Gli scenari mancanti sono i seguenti: 1. Eurobosnia, con cinque paesi dissanguati e ridotti a mercati depressi, cinque-sei che conservano la AAA e che cresceranno e sei paesi nella loro orbita, l’Europa sarà solo una variante in grande della Bosnia-Herzegovina; 2. spartizione dell’Europa, l’Eurozona si spacca in un continente sottoposto a spartizione e spoliazione, con i Bric tra i candidati più probabili per scegliersi i pezzi migliori. Tutto si farà morbidamente ed in background, ma i paesi perderanno la loro sovranità mantenendo un autogoverno sullo stile di Hong Kong. Per ultima cadrà l’isolata enclave finno-benelux-germanica; 3. chi rompe paga, l’Europa si salva con un Eurotesoro con il potere di tassare e contrarre debiti, sostenuto da necessarie misure d’accompagnamento per gestire in modo partecipato gli eventuali fallimenti; 4. angoli morti e spigoli vivi, la combinazione di cause ed effetti fra rallentamento generale dell’economia mondiale, nuovo assalto alle valute ed ai debiti sovrani europei, crack nel crack economico finanziario, “quell’ultima guerra dell’Iran”. La situazione a fine aprile 2012 indica una pausa o una tregua armata nei combattimenti di questa prima guerra. Gli oligopoli finanziari hanno sperato in una spallata finale all’intera Eurozona “l’offensiva di fine anno”, puntualmente annunciata dalle agenzie di rating (15/12/2011 e 13-16/1/2012), ma è stato un sussulto politico a far capire che i tempi non erano maturi quando il 30 gennaio di quest’anno è circolata la notizia della creazione di un’agenzia di rating europea [18]. Qualunque scenario e qualunque policy devono comunque basarsi su un orizzonte di tempo traguardato al 2018 come data di possibile fine della crisi, intesa come smaltimento in un modo o nell’altro della massa di bit monetari stracci (toxic asset) detenuti dai diversi gruppi finanziari. Questo non significa affatto una politica d’austerità sino a quella data come troppi economisti, commentatori, top manager e politici organici al finanzcapitalismo vogliono propagandare. Il ritorno della politica Quando ormai era scoppiata la crisi globale, un fortunato libro italiano anticipò, al di là forse delle sue intenzioni, la tendenza del “ritorno dello stato padrone” [19]. Vedendo quali sono le differenti economie dei Brics, la constatazione è che in quell’area dell’economia reale c’è uno stato con interessi nazionali forti e concreti, mentre nell’area dell’economia finanziarizzata lo stato o government è visto come un ostacolo al potere dei gruppi finanziari, da ridurre ad una mera governance. Vale la pena di seguire le differenti proposte dell’analisi di George Soros per rimediare a quella che giudica una crisi di cattivi investimenti, più che una delle solite cause debito-crescita-mercato-stato, partendo dalla semplice domanda “Chi paga?”: a) i governi della periferia pagano riducendo le spese e privatizzando il pubblico; b) i governi del nucleo duro (Austria, Finlandia, Germania, Paesi Bassi e forse Francia); c) i contribuenti degli Stati periferici con un carico fiscale più alto; d) i contribuenti degli Stati centrali pagano o con un’unione fiscale, con Eurobond o con l’Efsf (European Financial Stability Facility); e) gli utenti della moneta nell’Eurozona pagano con un’inflazione, causata dalla monetizzazione del debito da parte della Bce; f) il sistema finanziario con una serie di default, i quali indurrebbero una crisi bancaria [20]. La lucida analisi del finanziere è intrinsecamente debole su un punto essenziale “Per cosa si paga?”. È ovvio che a Soros, come a tutta la pletora di fautori del finanzcapitalismo, interessa la stabilità e viabilità del sistema in sé per il quale Tina (There Is No Alternative), ma questo comincia ampiamente a non interessare al 999‰ della popolazione mondiale: dopo trent’anni di finanzcapitalismo, visti i risultati a breve e lungo termine, è opportuno uscire da un sistema intrinsecamente instabile, autodistruttivo, sterile nella creazione di valore, corruttore della democrazia ed iniquo. Il problema fondamentale è chi controlla il sottosistema economico: un’oligarchia finanziaria fuori da ogni controllo democratico oppure un’entità politica inevitabilmente sottoposta al rendiconto da parte proprie società. Questa alternativa è strategica rispetto non solo al futuro dell’euro o delle economie medlantiche, ma riguardo al futuro dello sviluppo globale perché l’estrazione di valore indefinita porta tanto da un depauperamento generale quanto alla dissipazione di risorse alimentari, energetiche, ecologiche non rinnovabili. Gli strumenti tecnici per un nuovo rilancio dell’economia reale su basi sostenibili e quindi per trasformare profondamente la finanza globale sono concettualmente semplici e possono cominciare ad essere applicati in tempi brevi: un audit del debito perché è il necessario complemento per una spending review e perché non è chiaro quali debiti siano trasparenti e tracciabili, cui seguirebbero haircut proporzionati; il fallimento delle banche non ricapitalizzabili in modo costo/efficace, per cominciare a restituire competitività ad un settore sin troppo assistito col denaro pubblico; un Financial Crisis Group dei paesi sotto attacco finanziario, strutturabile all’interno dell’Eurogruppo in modo da costituirne il naturale braccio negoziale sul debito, forte dell’unione dei debitori e della solidarietà politica degli altri partner; una European Common Goods Agency, pubblica in grado di gestire in trusteeship gli asset strategici dei paesi in difficoltà come collaterali di debito, sostenuta da un azionariato popolare diffuso e a medio termine, capace di far fruttare i beni con un rendimento industriale e non finanziario sino a quando non tornino sotto controllo nazionale. Lo scopo principale è quello di evitare una privatizzazione distruttiva, speculativa, incontrollata e strategicamente pericolosa. Una successiva funzione dell’agenzia potrà essere quella di guidare rinazionalizzazioni o rieuropeizzazioni selettive d’imprese e servizi strategici, necessari ai bisogni primari dei cittadini dell’Unione Europea; un’agenzia di rating europea non profit la cui composizione e reclutamento evitino conflitti d’interesse con gli oligopoli finanziari; una politica europea di de-leveraging in modo da fissare pratiche e regole tali da rendere commercialmente poco attraenti i titoli di debito ad alta leva nell’Eurozona; un dialogo G20 per l’emersione della finanza ombra, accompagnato da adeguate politiche fiscali in Eurozona sulla rendita finanziaria. Chi volesse pensare a facili opposizioni tra interesse angloamericano e interesse eurocontinentale, dovrebbe considerare che il problema è globale e in particolar modo tocca tutte le democrazie mature e indebitate e che la mancata risoluzione di questi problemi condannerà l’intero Occidente ad un declino più o meno rapido e più o meno punteggiato da disastrosi conflitti finanziari e tradizionali. La politica democratica è stata sequestrata e intossicata dal totalitarismo strisciante del finanzcapitalismo, se non sarà capace di riacquistare la sua autonomia e libertà, potremo avere solo il freddo piacere di vivere in un mondo fantascientifico dove le zaibatsu finanziarie controlleranno il mondo e dove Blade Runner sarà appena una favola per infanti. Alessandro Politi Note: [1] “Nel frattempo l’euro è diventato la seconda valuta più importante al mondo. Questa valuta europea è sinora nei suoi rapporti interni ed esteri più stabile del dollaro americano – e più stabile del marco tedesco nel suo ultimo decennio. Tutto quel che si dice e si scrive su una presunta crisi dell’euro sono frivole ciarle di media, giornalisti e politici”; [2] Per maggiori dettagli cfr. A. Politi, http://europeancommongoodsblog.org/2011/10/27/euro-crisis-and-common-sense-an-essay-on-hope-against-greed-and-fear/; A. Politi, http://europeancommongoodsblog.org/2012/01/31/euro-crisis-and-common-sense-ii-concentrated-power-is-concentrated-chaos/; http://ilpoliti.ilcannocchiale.it/post/2707073.html; A. Blundell-Wignall, Special Advisor to the