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 2013  luglio 11 Giovedì calendario

IL RAGAZZO CHE STREGA I MAESTRI USA “NON HO L’ETA MA VIVO PER IL BASEBALL”

All’aeroporto di Venezia, appena atterrato da New York, interrompe il veloce abbraccio con babbo Federico per qualcosa di importante, di molto importante. «Guarda qua». È un guanto dei Kansas City Royals. «Me l’ha regalato il magazziniere». Robetta, visto che la sua nuova squadra di baseball l’ha messo sotto contratto per un milione di euro. Marten Gasparini, 16 anni, gli stessi di Gigliola Cinquetti quando cantava «non ho l’età», è già un record. Mai un europeo è stato pagato così tanto, e così giovane. «È un contratto per sette anni spiega il padre -. Dai Royals avrà scuola e alloggio, con uno stipendio da mille dollari al mese».

Il borsone con le mazze in spalla, il guanto in mano, Marten è arrivato ieri alle 11,30. Ad aspettarlo, «segno di riconoscimento un cappello da baseball», solo papà Federico. Altri cento chilometri di autostrada per arrivare a casa, con Marten che non si stacca dal guanto e comincia a raccontare la sua avventura. «Il 2 luglio ho firmato il contratto a Cervignano, il giorno dopo sono partito per Kansas City e poi Phoenix, Arizona, il posto più caldo del mondo. La mia base sarà lì».

Allenamenti e scuola. «Non potrò ancora giocare perché non ho ancora compiuto i 17 anni. Devo aspettare il 24 maggio dell’anno prossimo». Si capisce che conta i giorni.

Babbo Federico guida senza fretta e lo sbircia con orgoglio. Marten ha l’età del ragazzino, ancora qualche brufolo, ma è un ragazzone di un metro e 82, capelli ricci, occhi chiari, un accenno di barba, la pelle scura come la madre, giamaicana con passaporto inglese. «Ci siamo conosciuti a Londra nell’87 - dice il padre -. Io lavoravo in un ristorante, lei era la manager. Mi ha seguito in Friuli. Tre figli, una femmina e due maschi».

Marten sta guardando dal finestrino. «Mi mancheranno come gli amici, il clima, il cibo. Ma io volevo il baseball. E se il baseball è negli Usa devo andare negli Usa. Non era il mio sogno, era il mio obiettivo». Parla con lo stupore di chi è andato negli States per la prima volta, «dove tutto è enorme, il granoturco in Arizona cresce in un mese, le macchine sono così grandi che ci puoi organizzare delle feste». Ma lo stupore finisce quando accarezza i lacci di cuoio del suo guanto nuovo. «È vero, tutto è partito da un sogno. È vero, mio padre mi aveva regalato il kit da baseball comprato in un autogrill. Ma era cominciato prima, il mio sogno. Giocavo da solo con un asse di legno e la pallina da tennis. Guardavo i film americani sui giocatori di baseball. Ne sentivo parlare in paese». Perché da queste parti il baseball era arrivato con la fine della guerra mondiale e gli americani.

Marten non spreca parole, le misura. «Il mio sogno è durato poco, perché è diventato un obiettivo. Se sogni e basta, se non fai nulla, non realizzerai mai niente. Io avevo in testa il mio percorso, la voglia di andare avanti, di migliorare, di arrivare a questo momento. Ho trovato la strada giusta, la mia strada. Quando ho cominciato a giocare nel Cervignano, cinque anni fa, pensavo che i miei compagni fossero più bravi di me, e lo erano. Non ho mai saltato un allenamento, tre volte alla settimana, almeno due ore, e mi sono accorto che non sentivo la fatica. Ero sempre più veloce, più agile, più potente». Il più forte, e deciso a continuare.

Non è strano che il ragazzone dal guanto pieno di dollari sia cresciuto in Friuli, una delle nicchie del baseball. E forse può sembrar strano che Marten stia così bene nella sua nicchia da non sapere che a Ruda, dove abita, è nato è cresciuto Tarcisio Burgnich, quello dell’Inter di Helenio Herrera, quello di «Sarti, Burgnich, Facchetti». O che Enzo

Bearzot, il mister del Mondiale di Spagna ‘82, sia di Aiello, il paese accanto. «Ho sentito parlare solo di Zoff...». Baseball, solo baseball. «Nelle ore in cui dormo non ne sono sicuro, ma nelle altre il baseball c’è sempre, sempre. Prendetemi tutto, ma non il mio guanto...». Che vale già un milione di euro.