Guido Santevecchi, Corriere della Sera 11/07/2013, 11 luglio 2013
IL DRAGO CINESE INGOLFATO E LA PAURA DEI MERCATI
Per gli esportatori cinesi e i loro fornitori sparsi nel mondo il dato è deprimente: a giugno l’export di Pechino è sceso del 3,1% rispetto a un anno fa; le importazioni segnano meno 0,1%. Il surplus commerciale è sempre alto: 27 miliardi di dollari a giugno, ma si è ridotto del 12,4%. Lunedì arriveranno le rilevazioni sul Prodotto interno lordo nel secondo trimestre dell’anno e già ci si attende una crescita rallentata rispetto al 7,7% del primo trimestre: gli esperti puntano sul 7,5. I mercati vacillano, perché gli investitori ricordano bene come l’ultima volta che le esportazioni cinesi avevano subito una contrazione in un mese senza festività era stato nell’ottobre del 2009, il momento più grave della crisi mondiale. È chiaro che gli anni di crescita del Pil al 10 per cento dovevano finire. Il primo ministro Li Keqiang, che è un economista, entrando in carica a marzo aveva annunciato che la Cina avrebbe cercato una nuova «qualità» del suo Pil invece di inseguire solo la «quantità». Li Keqiang ha fissato l’obiettivo al 7,5 per il 2013 e potrebbe farcela. E promette di ridurre la dipendenza dalle esportazioni, coltivando un mercato di consumi interni.
Ma restano problemi e incognite gravi. L’industria cinese che per anni ha vissuto di credito facile soffre di eccesso di produzione: nel settore auto si calcola che i sussidi statali valgano il 30% della produzione; si usa solo l’80% dell’acciaio sfornato, il 70 del cemento. Il rallentamento dell’export oggi è dovuto al calo di competitività: i salari dei lavoratori sono aumentati del 71% dal 2008 e anche lo yuan si è apprezzato. Sembra strano, ma la Cina divenuta seconda economia del mondo rischia ancora di cadere nella «trappola del reddito medio», che significa aver lasciato la lista dei poveri ma non aver agganciato i ricchi.
Per evitare questa trappola Pechino ha annunciato una svolta: taglio del credito alle industrie che dipendono da «investimenti stravaganti» per arrivare al consolidamento nei settori che hanno eccesso di capacità produttiva e contano sul debito facile; nessuno stimolo; riforme strutturali. I giornali hanno appena dato un nome alla nuova politica: «Likonomics», dal nome del premier Li. Bisognerà vedere se i dati in arrivo in questi giorni non spaventeranno anche i leader cinesi facendo cambiare la rotta appena tracciata.
Guido Santevecchi