Mauro Covacich, Corriere della Sera 11/07/2013, 11 luglio 2013
LA TELECAMERA E IL FUCILE: GLI ULTIMI ISTANTI DI AHMED
Un uomo filma l’istante della sua fine. Ma non è l’ultimo atto di un narcisista suicida, non è lui a darsi la morte. La morte arriva dal cecchino che ha nell’obiettivo. Riprendere e fotografare è il suo mestiere. Si chiama Ahmed Samir Assem e ha ventisei anni. Il nome dell’uomo che spara nel video invece non lo sapremo mai, ma sono entrambi egiziani e, per paradossale che sia, sembrano scrivere insieme l’apologo del loro glorioso Paese.
È accaduto all’alba di lunedì: le forze di sicurezza aprono il fuoco sulla folla di sostenitori dei Fratelli Musulmani che circonda la sede della Guardia Repubblicana del Cairo. Soldati che difendono la repubblica contro civili che difendono la repubblica, la guerra civile post Mubarak a cui stiamo assistendo ogni sera prima di «Un posto al sole». Tra le cinquantuno persone rimaste sul campo c’è il giovane reporter che lavora per il quotidiano Al-Horia Wa Al-Adala . Lo si scopre quando qualcuno all’alba di ieri consegna la sua telecamera coperta di sangue al media center. Dentro c’è un filmato di ventuno minuti nel quale si vedono decine di vittime cadere sotto i colpi dei cecchini e poi si assiste a qualcosa che, nella sua agghiacciante perfetta simmetria, non si era ancora mai visto. La rappresentazione emblematica dei due punti di vista e il loro irriducibile conflitto.
C’è un occhio nell’obiettivo della telecamera e c’è un occhio nel mirino del fucile. Sembra da subito un inquietante gioco di specchi, ma tutto diventa più chiaro quando i due sguardi si incrociano e la sequenza filmata si interrompe.
Assem ha compiuto, o meglio, si è trovato a compiere la più estrema delle riprese in soggettiva. Ne è risultata non solo una specie di scatola nera della propria personale sciagura, ma anche il ritratto di una possibilità inscritta nel destino professionale del reporter: possibilità scampata il più delle volte, ma sempre messa in conto da chiunque faccia quel mestiere.
Il reporter e il cecchino, la telecamera e il fucile. In inglese filmare si dice «to shoot», come sparare, e non sono pochi i fanatici che ritengono altrettanto colpevole il lavoro svolto dagli organi di informazione, soprattutto nei paesi dove la conoscenza è ancora recepita come un’attività profanatoria. Eppure non è difficile immaginare che quei due ragazzi, che prendono la mira nei rispettivi obiettivi, solo due anni fa fossero entrambi a festeggiare in piazza Tahrir. Sembra una storia scritta da Paul Auster e invece l’ha scritta la realtà: ancora lei, quell’inarrestabile accadere dei fatti che, nonostante la sua assurda fotogenia e il suo esagerato potenziale inventivo, seguitiamo a chiamare realtà.
Mauro Covacich