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 2013  luglio 11 Giovedì calendario

JESUS CHRIST, 40 ANNI DA SUPERSTAR

Gesù Cristo è diventato «superstar» da­vanti alle acque del mar Ligure. Era la primavera del 1969 quando l’allora ventenne e sconosciuto Andrew Lloyd Web­ber compose la canzone Superstar , sul testo dell’amico 23enne Tim Rice nella villa della zia alla Mortola, vicino a Ventimiglia.
Il singolo usciva quasi in sordina in Inghilter­ra nel novembre dello stesso anno e nel di­cembre arrivava ad un imprevisto successo negli Stati Uniti. Questo è il nucleo da cui è nato il musical immortalato nel ’73 dal film di Norman Jewison. Una sacra rappresentazio­ne moderna e laica, amata e contestata, degli ultimi sette giorni di Cristo che ancora oggi, a 40 anni di distanza, colpisce per forza e dram­maticità nella sua miscela di rock e Vangelo. Tantoché non mancano le celebrazioni. Jesus Christ Superstar attualmente è in tour per il quarantennale in Australia nella versione por­tata ai giorni nostri da Webber, con l’ex Spice Girl Mel C. nel ruolo della Maddalena (il 13 ottobre sarà alla 02 Arena di Londra), mentre è appena uscita la versione restaurata del film in Blue ray e Dvd.
Insieme Webber e Rice avevano scritto nel ’68 Joseph and the Amazing Technicolor Dream­cot (Giuseppe e il suo stupefacente mantello in technicolor) sul personaggio biblico. Poi l’intuizione di un Gesù rivisitato però dal pun­to di vista di Giuda. Così nel 1970 nasceva l’o­pera rock Jesus Christ Superstar un doppio al­bum con un’orchestra sinfonica di 85 perso­ne, 6 musicisti rock, 3 cori. La parte di Gesù venne interpretata da Ian Gillan dei Deep Pur­ple.
Fu l’album più venduto negli Stati Uniti nel ’71. Il produttore Roger Stigwood decise di farne uno spettacolo teatrale che debuttò a Broadway l’anno stesso con la regia di Tom O’Horgan (il regista di Hair) mentre a Londra debuttò nel 1972 per rimanervi 8 anni e di­ventare con 3.358 rappresentazioni il succes­so più duraturo del West End. Ancora oggi è in scena in decine di paesi del mondo.
Lo stesso Stigwod produsse nel 1973 il film gi­rato tutto in esterni in Israele con alcune «pro­vocazioni » rimaste nella storia del cinema co­me i soldati romani in canottiera rosa e el­metto o i carri armati che inseguono Giuda come il peso della sua colpa. Come restano nella memoria le strepitose performance dei protagonisti Ted Neeley (un tormentato Ge­sù) e Carl Anderson (il Giuda nero) che ebbe­ro la nomination ai Golden Globe del ’74, e della dolce Yvonne Elliman (Maria Maddale­na). Il successo mondiale fu naturalmente co­stellato da feroci polemiche, sia dei cristiani che degli ebrei, in particolare sull’assenza del­la Resurrezione. E non poteva essere altrimenti per una rivisitazione evangelica dal profumo molto hippie ma che poneva un confronto reale su una storia precisa, tratta passo passo dal Vangelo. Le liriche di Rice, provocatorie e sorprendenti per originalità, scavano nell’a­nimo di un Gesù uomo, confuso e a volte spa­ventato dalla sua missione, e fanno di Giuda un predestinato da Dio alla dannazione eter­na. All’epoca Tim Rice spiegava: «Abbiamo trattato il Cristo più come uomo che come Dio: noi, come autori non prendiamo posi­zione. Però il primo spunto ce l’ha offerto pro­prio il decano di San Paolo che una volta ci ha detto: ’Prendete Gesù e portatelo via dalle ve­trate istoriate’. Come base abbiamo scelto il Vangelo di Giovanni. Mi sono servito anche della Vita di Cristo scritta dal vescovo cattoli­co americano Fulton Sheen e di quella scrit­ta dall’italiano Marcello Craveri». Un’opera meditata, quindi che in quarant’anni è di­ventata un classico, anche in tante parrocchie.