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 2013  luglio 09 Martedì calendario

DA CENERENTOLA A SUPERSTAR TUTTI SALGON SUL CARRO EXPO

Non c’era bisogno del­l’Expo per scoprire che se ci fosse un campiona­to, gli italiani sarebbero campio­ni del mondo di salto sul carro del vincitore. E siccome in tem­pi di decadenza la politica, inve­ce di guidare il Paese, ne diventa solo uno specchio grottesco dei vizi peggiori, ecco che domeni­ca alla villa Reale di Monza c’è stata la gara dei papaveri a celebrare l’esposizione del 2015. Una messa canta­ta­con lodi tra­sversali, come si conviene al rito previsto dal governo delle larghe in­tese e lenzuolate di discorsi uffi­ciali. Fino a scoprire che quello che al tempo di Letizia Moratti era considerato poco più che fol­clore, oggi secondo il presiden­te della Repubblica Giorgio Na­politano è diventato addirittura lo strumento per «il superamen­to della crisi che stiamo vivendo nel mondo dal 2008 e della reces­sione che sta mettendo a dura prova l’Europa». Belle parole, presidente. Peccato che come il governatore Roberto Maroni le ha ricordato, per un appunta­mento da lei considerato in gra­do di dare perfino una svolta al­la crisi economica mondiale, il governo non si sia nemmeno preoccupato di sciogliere quel cappio assurdo che è il Patto di stabilità, dando alla Lombardia e a Milano la possibilità di inve­stire i soldi che già hanno. Per­ché qui il problema non è chie­dere risorse al governo, ma sol­tanto di poter spendere. Con buona pace del premier Enrico Letta che dal palco assicurava che l’Expo sarà «il cuore della ri­presa italiana».
Ne sarà felice la Moratti, la­sciata sola a girare il mondo (sempre a bordo dell’aereo di fa­miglia per non pesare sulle cas­se pubbliche) a caccia dei voti per la candidatura di Milano. Certo allora i politici (soprattut­to di sinistra) stavano alla larga perché c’era da lavorare e so­pr­attutto perché si dava per sicu­ra la sconfitta con Smirne, l’alfie­re di un’economia rampante co­me quella della Turchia di quegli anni. E certo la Moratti non avrebbe mai sospettato che, ov­viamente a posteriori, alla sua creatura sarebbero state ricono­sc­iute addirittura virtù terapeu­tiche. Una specie di psicanalisi collettiva, perché un Letta in ver­sione freudiana ha detto che per l’Italia «l’Expo dovrà essere soprattutto l’occasione per uscire dalla cappa di sottovalutazione e autolesionismo». Peccato che, nonostante le parole, sia poi bastata una primavera piovosa per far saltare il cronopro­gramma del cantiere. «E adesso - va ripetendo il commissario Expo Giuseppe Sala - dobbia­mo correre». Certo non correranno i politi­ci che posato per qualche foto, torneranno a chiudersi nei ministeri spe­rando di arrivare fino al­l’inaugurazione. Senza troppo faticare. Perché una buona fetta di quei 20 milioni di visitatori at­tesi sarà cinese. Peccato che il governo non sia ancora riuscito a risolvere un problema non cer­to irrilevante come la difficoltà per i cinesi di avere il visto per en­trare in Italia. Così come nessun ministro è riuscito a garantire la chiusura in tempo dei cantieri delle nuove metropolitane.E co­sì all’italiana, della linea 4 saran­no inaugurate solo due fermate su ventuno. Un bluff.
Non parliamo delle strade che non arriveranno e dei collegamenti ancora in alto mare. E la sede ufficiale, proprio quella villa Reale i cui lavori di restauro non saranno ultimati? O del Pa­diglione Italia bloccato da Tar? O magari del sindaco Giuliano Pisapia che non ha ancora risol­to un problemino come l’acces­so alla porta Est dopo la manca­ta realizzazione del tratto da via Stephenson a Expo? Polvere na­scosta sotto i tappeti della me­lensa e inutile cerimonia di do­menica. Ma spesso sono pro­prio i granelli a inceppare i mec­canismi.