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 2013  luglio 01 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - BERLUSCONI E LA CASSAZIONE SUL PROCESSO MEDIASET


REAZIONI DI OGGI (REPUBBLICA.IT)
ROMA - Soffia il vento della crisi, in Parlamento. Con tutto il Pdl - falchi e colombe - sulle barricate. Dopo la decisione della Cassazione di calendarizzare per il 30 luglio l’udienza del processo Mediaset, il partito di Berlusconi ha chiesto di sospendere le attività parlamentari per tre giorni. Sia al Senato che alla Camera sono state convocate le conferenze dei capigruppo e qui il Pdl ha strappato un mezzo via libera da Pd e Scelta civica: sì allo stop, ma solo per la giornata di oggi. Con l’opposizione di Sel, M5S e Lega. Anche l’Aula della Camera ha approvato la proposta di rinvio della seduta di oggi, che aveva fra l’altro all’ordine del giorno il decreto legge sull’Ilva (saltato anche il vertice di maggioranza sull’economia). Il sì è arrivato con "171 voti di differenza", ha annunciato in Aula la presidente Laura Boldrini. Ma è stata bagarre.
Rissa in Aula. "Buffoni, servi, schiavi". Così i deputati grillini hanno apostrofato i colleghi del Pd dopo il via libera alla sospensione dei lavori della Camera. Poi sono scesi tutti nell’emiciclo dell’Aula di Montecitorio e hanno cominciato a gridare verso i banchi del Pd. A quel punto alcuni deputati, tra cui Piero Martino e Nico Stumpo, sono scesi a confrontarsi con i grillini. I commessi hanno diviso le due fazioni.
Pdl: "Moratoria o cade il governo". Il senso della mossa del partito di Silvio Berlusconi è stato dato da Daniela Santanché: "Se dovesse arrivare un ’no’ sulla richiesta di moratoria dei lavori parlamentari capiremo che non c’è un governo di coalizione. Far cadere un governo non è un’azione politica, è una conseguenza di un’azione politica". Il capogruppo dei deputati Pdl, Renato Brunetta. ’’La nostra è una posizione responsabile: dobbiamo discutere al nostro interno e dobbiamo fare chiarezza". L’anticipo della sentenza della Cassazione "non mette a rischio la maggioranza ma la democrazia in questo Paese". Il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha provato a minimizzare: "Noi continuiamo a fare il nostro lavoro e andiamo avanti".
Epifani: "Pdl non tiri troppo la corda". Dopo il via libera del Pd allo stop dei lavori per un giorno, da Guglielmo Epifani è arrivato un altolà al Pdl: ’’Le vicende di oggi rendono ancora una volta esplicito il problema di fondo di questi mesi: la vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi e il rapporto d’azione di governo e di Parlamento. Questo nodo deve essere sciolto solo tenendo distinte le due sfere, perché se no, a furia di tirare, la corda - ammonisce il segretario Pd - si può spezzare, con una scelta di irresponsabilità verso la condizione del Paese e la sua crisi drammatica’’.
Pd diviso. "Siamo contrari a qualsiasi tentativo di blocco delle Istituzioni di qualsiasi tipo e di qualunque tipo, ma voteremo a favore della proposta dell’onorevole Brunetta di tenere una riunione di gruppo’’, aveva detto nell’Aula della Camera Ettore Rosato del Pd, scatenando la protesta dei deputati di M5S.
Non manca chi non condivide la decisione di chiedere la sospensione. Su Twitter, Paolo Gentiloni parla di precedente grave e ammette di non aver votato.
Diversi deputati, renziani ma non solo, non hanno partecipato al voto. Lo stesso ha fatto Michela Marzano: "In dissenso con il mio gruppo parlamentare, oggi in aula mi sono astenuta. Assurda la sospensione lavori per problemi giudiziari", ha scritto la deputata su Twitter. Di "scelta assurda" ha parlato anche il renziano Luca Lotti. "La questione non andava gestita così, si doveva coinvolgere il gruppo", ha aggiunto.
La Lega dice no. No anche dalla Lega all’ipotesi di stop ai lavori: "Noi ci siamo opposti alla sospensione dei lavori chiesta oggi dal Pdl, avendo il Parlamento tante cose da fare", ha detto Roberto Maroni, leader della Lega, durante una conferenza stampa alla regione Lombardia. "Noi siamo contrari al Parlamento che chiude, perché prima vengono le istituzioni e poi i partiti".
Vendola: "Pdl vuole guerra, idea delinquenziale". "Il comportamento della destra e del PdL in questo momento è davvero inquietante. Far precipitare l’Italia in una sorta di capitolo finale della guerra tra politica e #magistratura è un’idea delinquenziale e demenziale", ha scritto Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, su Twitter.
M5S, La protesta della cravatta. I senatori del Movimento 5 Stelle in segno di protesta, ha inscenato una protesta togliendo tutti insieme la giacca e la cravatta. ’’Non è una forma di mancanza di rispetto nei suoi confronti - ha detto il senatore Vito Crimi rivolgendosi al presidente Grasso - ma vogliamo protestare per la mancanza di rispetto nei confronti del Parlamento a favore di chi tra l’altro non è mai presente in questa Aula’’. Alla protesta dei senqatori M5S il presidente del Senato, Pietro Grasso ha risposto: ’’Abbiamo colto il segno di protesta. Oggi è una giornata particolare. Invoco il senso di responsabilità ed equilibrio di tutti. Vi invito cortesemente a reindossare le giacche e le cravatte per la dignità di quest’Aula’’.
Cassazione: "Nessun accanimento contro Berlusconi". "Non c’è nessun accanimento. Il senatore Berlusconi è stato trattato come qualunque imputato in un processo con imminente prescrizione", ha detto il presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, che poi ha spiegato che ’’nulla vieta al collegio di poter stabilire che il termine di prescrizione sia invece successivo e che quindi la Corte possa, accogliendo istanze difensive, disporre un rinvio’’. La Cassazione, con una nota, ha precisato, in merito alla vicenda sui diritti tv Mediaset, che ha l’obbligo "di determinare l’udienza di trattazione di ogni ricorso prima della maturazione" della "prescrizione di alcuno dei reati oggetto del procedimento, a pena di responsabilità anche di natura disciplinare, e la Corte ha sempre adempiuto a tale dovere". La precisazione arriva dopo le proteste dei difensori di Silvio Berlusconi.

PEZZO DI LUIGI FERRARELLA SUL CORRIERE DEL 9/7
MILANO — Almeno un altro anno di agibilità politica: persino nel caso peggiore per Silvio Berlusconi, e cioè se la Cassazione ne confermasse la colpevolezza per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset, la combinazione di tre fattori giuridici allontanerebbe la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che altrimenti a fine 2013 lo farebbe decadere da parlamentare e gli impedirebbe di ricandidarsi. A poter cambiare totalmente l’orizzonte politico sono tre elementi. Il primo è un complicato calcolo aritmetico-giuridico sui vari periodi di sospensione subìti dal dibattimento. Il secondo è l’imminente prescrizione, già prima del giudizio di Cassazione e per effetto della legge ex Cirielli di 8 anni fa, di una delle due annualità fiscali per le quali Silvio Berlusconi è stato condannato in Tribunale e in Appello a 4 anni di reclusione e a 5 di interdizione dai pubblici uffici. Il terzo è la conseguenza procedurale innescata da questa parziale prescrizione, e cioè un probabile nuovo processo d’Appello anche solo per ricalcolare la pena residua.
Per orientarsi nel ginepraio di norme e tempi occorre ripartire dalla richiesta di rinvio a giudizio nella quale la Procura di Milano il 22 aprile 2005 contestava a Berlusconi «368 milioni di dollari dal 1995 al 1998» di maggiorazioni di costi dichiarati per pagare meno tasse. Ma il 5 dicembre 2005 la legge ex Cirielli, votata dalla maggioranza di Berlusconi, accorcia i termini di prescrizione, e durante il processo di primo grado estingue le «appropriazioni indebite», i «falsi in bilancio» e quasi tutta la «frode fiscale». Il 26 ottobre 2012 la sentenza del Tribunale dichiara prescritta un’altra annata, il 2001 per 6,6 milioni di euro evasi, e per gli effetti fiscali degli ammortamenti condanna l’ex premier su due residui annualità: il 2002 che vale 4,9 milioni evasi a fronte di 397 dichiarati, e il 2003 che vale 2,4 milioni evasi a fronte di 312 dichiarati.
Non c’è rischio che si prescriva l’intero processo, pervenuto da una decina di giorni in Cassazione e destinato a essere fissato dalla Suprema Corte in media nel giro di 7 mesi, dunque a fine 2013 o inizio 2014: c’è infatti tempo sino all’estate 2014 una volta che ai termini massimi (7 anni e mezzo) si sommino 1 anno, 11 mesi e 29 giorni nei quali il processo è stato congelato dalle due leggi Alfano poi bocciate dalla Consulta come incostituzionali, 1 mese e 26 giorni di stop per un impedimento elettorale di Berlusconi, 33 giorni per un altro suo impedimento, 7 giorni per uno sciopero degli avvocati, 1 mese e 16 giorni per legittimo impedimento collegato alla formazione del governo e all’elezione del capo dello Stato.
Ma intanto l’onda lunga della legge ex Cirielli del 2005 divora la prima delle due residue annate per cui l’8 maggio 2013 c’è stata condanna anche in Appello, e cioè il 2002 che si prescriverà tra pochissimo, in un arco che il Corriere (tra il calcolo più sparagnino del 31 agosto e quello più generoso del 30 settembre) colloca attorno al 13 settembre.
Qui si annida il problema della nuova pena anche in caso di condanna in Cassazione. La motivazione di Tribunale, sposata dall’Appello, determinò infatti la pena-base in 3 anni e 6 mesi, e aggiunse in continuazione 6 mesi: scelse cioè di non distinguere tra il 2002 (che si sta prescrivendo prima della Cassazione) e il 2003 (che sopravviverà), ma di motivare in generale su «gravità complessiva della vicenda per 20 anni», «scientifica e sistemativa evasione di portata eccezionale», «articolata creazione di apposite società in paradisi fiscali», «utilizzazione di documentazione falsa», «rilevantissima entità degli importi sottratti al Fisco».
Ora, però, con il 2002 che si prescrive, il quesito è: se anche la Cassazione ritenesse di confermare la colpevolezza di Berlusconi sul superstite 2003, potrebbe rideterminare da sola la pena dopo che si è prescritta una delle due annualità sulle quali i 4 anni di condanna erano stati calcolati dai giudici di merito? Alla Cassazione, infatti, è preclusa qualunque valutazione di merito, quale appunto l’apprezzamento dell’entità della pena. È pur vero che un comma dell’articolo 620 del codice di procedura le lascia in alcuni casi una chance di rideterminare da sola le pene, ma la giurisprudenza concorda nel ritenerla «possibilità circoscritta alle ipotesi in cui» la Cassazione può «porre rimedio senza sostituzioni di giudizi di merito che comportino particolari valutazioni di circostanze controverse, suscettibili di non univoci apprezzamenti di fatto, che rimangono operazioni incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità». E in questo caso c’è da ricalcolare una pena su annualità che, ad esempio, vedono il 2002 (che si prescrive) avere un impatto patrimoniale doppio rispetto al 2003 (che resta).
Qualora dunque la Cassazione a fine 2013 ritenesse di confermare la colpevolezza di Berlusconi, ne farebbe passare subito in giudicato definitivo la responsabilità per frode fiscale sul 2003 (a quel punto imprescrivibile persino dopo l’estate 2014), ma sarebbe costretta a ordinare un nuovo giudizio d’Appello a Milano ai soli fini del ricalcolo della pena. Una formalità. Che però, nell’altalena Cassazione-Appello bis-Cassazione bis, impegnerebbe almeno un altro anno. E quindi allontanerebbe l’appuntamento di Berlusconi non solo e non tanto con i 4 anni di reclusione (3 dei quali condonati dall’indulto del 2006), quanto soprattutto con i 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, cioè con la pena accessoria che i giudici di merito in motivazione fecero discendere dalla norma sulle «condanne non inferiori a 3 anni di reclusione».
Nel labirinto resta ancora una variabile: in teoria, come peraltro avviene proprio ai processi con imminenti prescrizioni, la Cassazione potrebbe dare una fissazione prioritaria al fascicolo per poterlo esaminare prima che si prescriva una delle due annualità di cui è composto. Ma qui c’è una ulteriore complicazione: sta per iniziare per legge la sospensione estiva dell’ordinaria attività giudiziaria, e dunque la Cassazione, se ritenesse, dovrebbe affidare il processo alla «sezione feriale» di turno e calendarizzarlo appunto già tra agosto e metà settembre.
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it

PEZZO DI FERRARELLA SUL CORRIERE DI OGGI
MILANO — «Nei procedimenti per reati la cui prescrizione maturi durante la sospensione» dei termini feriali, «il giudice pronuncia, anche d’ufficio, ordinanza non impugnabile con la quale è specificamente motivata e dichiarata l’urgenza del processo». Questo terzo comma dell’articolo 2 della legge n.742 esiste per tutti i processi dal 7 ottobre 1969, e in base ad esso anche i giudici di Cassazione non possono farsi prescrivere in mano i procedimenti su reati che abbiano prescrizioni imminenti pur durante la pausa estiva. Di qui ieri, nel caso diritti tv Mediaset, la fissazione al 30 luglio davanti alla sezione feriale della Suprema Corte (presidente Antonio Esposito, relatore Amedeo Franco) del processo pervenuto in Cassazione da Milano nove giorni fa con i ricorsi difensivi depositati il 19 giugno.
Prescrizione evitata
Ieri il Corriere aveva calcolato che in un periodo compreso fra il 31 agosto e il 30 settembre, ma più probabilmente il 13 settembre, si sarebbe prescritta una delle due annate di frode fiscale (il 2002 per 4,9 milioni di euro asseritamente evasi, il doppio dei 2,6 milioni del 2003 destinati a prescriversi solo nell’estate 2014) per le quali i giudici di Tribunale il 26 ottobre 2012 e di Appello l’8 maggio 2013 avevano condannato il patron di Mediaset ed ex premier a 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. La conseguenza giuridica sarebbe stata che, anche in caso di condanna, una Corte di legittimità fissata in media dopo 7 mesi, e dunque a fine 2013/inizio 2014, avrebbe fatto passare in giudicato la colpevolezza di Berlusconi ma, non potendo operare apprezzamenti di merito sull’entità della pena, avrebbe dovuto demandare a un nuovo Appello milanese il ricalcolo della pena alla reclusione, dalla quale sarebbe dipesa (solo se ancora superiore a 3 anni) anche la permanenza o meno della pena accessoria di 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.
Il precedente
Uno schema identico si è appena verificato pochi giorni fa nel processo al chirurgo Pier Paolo Brega Massone per le operazioni inutili e dannose su pazienti della clinica milanese Santa Rita: la Cassazione ha confermato la colpevolezza per lesioni volontarie ma, rilevando che 15 delle 90 lesioni contestate si erano nel frattempo già prescritte, e pur potendo in teoria commisurarsi sulla pena-base di 5 anni e 8 mesi calcolata dai giudici di merito sui reati più gravi e non prescritti, ha ugualmente ordinato un nuovo Appello ai soli fini del ricalcolo della pena.
Il rebus dei 30 giorni di termini
La fissazione al 30 luglio, cioè prima della più vicina fra le possibili date di prescrizione intermedia che la Corte d’Appello di Milano ha segnalato alla Cassazione addirittura in un teorico 1 agosto, elimina ora il rischio di prescrizioni e consegna il giudizio a un esito nitido di assoluzione o condanna. Non è però detto che il verdetto arrivi già il 30 luglio. È possibile infatti che i difensori pongano il problema dei soli 20 giorni di avviso da ieri ad allora, inferiori di 10 giorni al termine ordinario di 30 giorni. Sull’accordo tra le parti la Cassazione potrebbe dunque aggiornare l’udienza di una manciata di giorni, in agosto, comunque cominciando a incardinare un giudizio che in ogni caso arriverà a sentenza prima del 13 o 14 settembre, data più attendibile di prescrizione dell’annualità 2002.
Annullamento o conferma
La Cassazione potrà accogliere uno dei molti motivi di ricorso contro la condanna elaborati dall’avvocato Niccolò Ghedini e dal professor Franco Coppi, e in questo caso annullare la sentenza: o senza rinvio, con assoluzione secca e definitiva dell’ex premier, o con rinvio a un altro processo di Appello su specifici punti indicati poi nella motivazione. Oppure la Corte potrà far diventare definitiva la condanna di Berlusconi sia nella reclusione a 4 anni (di cui 3 già cancellati però dall’indulto del 2006) sia nella pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Coda parlamentare
Seppure divenisse definitiva, l’interdizione avrà comunque ancora un’ultima coda, stavolta in Parlamento: spetterà infatti alla Giunta per le immunità prendere atto dell’interdizione e dichiarare, con il voto dei propri componenti, la decadenza di Berlusconi da senatore e la sua incandidabilità per 5 anni. Il Parlamento potrebbe in teoria disattendere la sentenza? Per esempio provando a prospettare che l’indulto (benché la legge del 2006 non l’abbia contemplato) cancelli anche le pene accessorie per analogia in passato con altri indulti? Non ci sono precedenti, nei pochi casi paragonabili nessuno si è spinto a questa soglia di conflitto tra poteri dello Stato; e nel 2007 lo stesso parlamentare di Forza Italia Cesare Previti, condannato per Imi-Sir, pur dopo un iniziale braccio di ferro anti-interdizione del suo partito, all’ultimo momento scelse di non andare alla conta e preferì anticipare le proprie dimissioni da parlamentare.
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it

VERDERAMI SUL CORRIERE DI OGGI
ROMA — Il giorno del giudizio universale è più vicino, ora che è stata fissata la data per la sentenza su Silvio Berlusconi. E la celerità, che ha colto tutti di sorpresa, non ha comunque cambiato il copione dei protagonisti né il canovaccio di una drammatica storia che va in scena da venti anni e ora sembra arrivata all’ultima replica. «È stata la procura di Milano a dettare la decisione della Cassazione», sostiene il Cavaliere. Ed è un già detto, come quello di Enrico Letta, secondo cui «sul governo non ci saranno conseguenze»: un mantra per il premier che cerca di esorcizzare il rischio della crisi, qualora il leader del centrodestra venisse definitivamente condannato.
La trama insomma sembra svilupparsi senza variazioni, ripetitiva e dunque noiosa, se non fosse che l’evento potrebbe far collassare l’intero sistema, già in preda alle prime convulsioni. Con un partito, il Pdl, scosso e frastornato, che è accecato dall’ira verso le «toghe politicizzate» quasi quanto il suo capo, e medita ciò che medita da sempre, le manifestazioni di piazza, i girotondi attorno ai palazzi di giustizia e alla Cassazione, le dimissioni di massa dal Parlamento, la crisi di governo; denunciando quel che Berlusconi per ora non può denunciare, e cioè la manona internazionale, il golpe nazionale, i complotti editorial-giudiziari.
Tutto già detto, tutto già previsto, come nel finale di una partita a scacchi: con la condanna del leader, il voto del Senato che lo dichiara decaduto, la sentenza che lo rende ineleggibile. Un atto di guerra a cui rispondere dichiarando anzitempo guerra, con la fine del governo e il disperato tentativo di arrivare alle urne prima dello scacco matto giudiziario. In effetti la finestra elettorale è formalmente ancora aperta, lo sarebbe anche a fine luglio quando è prevista la sentenza, consentendo il voto per metà ottobre. I calcoli sono stati fatti ieri a palazzo Grazioli, davanti a un Berlusconi a cui l’avvocato Coppi ha imposto il silenzio, esponendosi mediaticamente come mai aveva fatto nella sua carriera forense, proprio per evitare che il suo assistito si esponesse.
Resta da capire, e non è poco, se davvero l’esito (giudiziario) è scontato. Così come resta da capire, e non è poco, se davvero l’esito (politico) sarebbe altrettanto scontato, se il tentativo del Pdl di forzare la mano per ottenere le urne andrebbe a segno, data la contrarietà del Quirinale. E dire che il copione della legislatura era stato studiato fin nei dettagli, sotto la regia di Napolitano: prevedeva l’orizzonte del 2015 per il governo «di servizio», le riforme costituzionali, una nuova legge elettorale. E non c’è dubbio che la buona volontà del premier di portare a compimento la missione ci fosse e ci sia ancora, se è vero che ieri sera — nonostante la tempesta giudiziaria fosse già iniziata — Letta ha assicurato la cancellazione dell’Imu sulla prima casa, rendendo pubblica la promessa fatta a Berlusconi.
Ma sul Colle c’è grande preoccupazione, anche perché tutto sembra tramare contro l’esperimento delle «larghe intese», dentro e fuori i confini nazionali, visto che ieri l’ineffabile agenzia di rating S&P ha deciso di declassare l’Italia proprio mentre si intravvedevano i primi segnali di ripresa economica. Non è detto però che il finale giudiziario sia già scritto, siccome nel Palazzo c’è una scuola di pensiero secondo la quale l’accelerazione del giudizio su Berlusconi da parte della Cassazione sarebbe prodromica a una sentenza benevola. E comunque non è detto che — a fronte di una condanna del Cavaliere — il governo cadrebbe per mano del centrodestra.
Ecco l’unica variante di un copione mandato ormai a memoria dagli attori politici e dal Paese. E se, invece del Pdl, fosse il Pd a staccare per primo la spina a Letta, qualora Berlusconi capitolasse? Ieri, per evitare di far salire ulteriormente la tensione, i dirigenti democrat non hanno rilasciato commenti. Solo la Bindi ha rotto la consegna del silenzio, e la sua critica alle dichiarazioni dei ministri pdl solidali verso il Cavaliere è parsa anche un contropelo al premier. Questa sortita è la spia di un sentimento ostile alle «larghe intese» che nel Pd non si è mai sopito, e che potrebbe risvegliarsi se il leader del centrodestra venisse definitivamente condannato.
In quel caso, fino a che punto lo stato maggiore democratico riuscirebbe a reggere le pressioni della base che chiedesse di rompere con il partito di Berlusconi? Quanto a lungo il Pd potrebbe resistere all’offensiva dei social network, ai girotondi su internet e nelle piazze? «E chi — si chiede Fioroni — avrebbe interesse a cavalcare tutto questo per fini personali?». Il dirigente democrat — senza mai citarlo — evoca Renzi, ormai lanciato verso palazzo Chigi e che nell’eventuale sfida elettorale si troverebbe davanti un centrodestra orfano del leader storico. Fioroni non va oltre, aggiunge solo che «per fortuna abbiamo un capo dello Stato a cui stanno a cuore gli interessi del Paese e non gli interessi particolari».
Si torna così sempre a Napolitano, considerato il garante di un sistema che rischia di crollare. Il giorno del giudizio universale si avvicina e non è detto che il copione sia scontato. Di certo non ci saranno altri rinvii a una sentenza che non riguarda solo Berlusconi.
Francesco Verderami

PEZZO DI MARTIRANO DI OGGI
ROMA — La Corte di Cassazione ha fatto i suoi calcoli sulla prescrizione e ha impresso un’accelerazione imprevista al processo Mediaset in cui Silvio Berlusconi rischia una condanna definitiva per frode fiscale con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. La notizia è arrivata dopo le 14. Solo allora si è saputo ufficialmente che la Suprema Corte discuterà il processo Mediaset già martedì 30 luglio con la prospettiva di andare a sentenza nell’arco della giornata. Invece, tutto il mondo della politica — e il Pdl in particolare — si era tarato su un calendario che fissava il processo decisivo per Berlusconi — ma anche per il governo delle larghe intese — tra novembre e dicembre. E nei palazzi della politica nessun aveva calcolato lo scrupolo della Cassazione che ha anticipato il processo Mediaset a fine mese dirottandolo sulla sezione feriale. Una scelta dovuta, dicono a piazza Cavour, perché la prescrizione intermedia di una parte dei reati addebitati all’ex premier scatta il 13 settembre mentre la prima data utile dopo la pausa estiva è quella del 16 settembre. Troppo tardi, dunque, per evitare che una parte del processo vada prescritto. Il 30 luglio sarà così il giorno decisivo per il Cavaliere la cui sorte processuale verrà presa in carico da un collegio feriale composto da giudici scelti (in base al criterio della disponibilità e dell’anzianità) in tutte le sezioni penali e civili della Corte.
Il nuovo timing della Cassazione sconvolge anche i piani della difesa del Cavaliere: «Sono esterrefatto, sorpreso e amareggiato, non ho mai visto un’udienza fissata con questa velocità perché in questo modo si comprimono i diritti della difesa», ha detto a caldo il professor Franco Coppi. Che ha aggiunto: «Potevano almeno mandarci in vacanza con i fascicoli del processo al seguito visto che la prescrizione secondo i nostri calcoli scatterebbe a fine settembre». Coppi, pur con il suo stile pacato, non manca però di affondare il coltello riferendosi a quanto scritto ieri dal Corriere della Sera : «Non voglio creare collegamenti ma è singolare che da una parte si chieda e dall’altra si risponda». In altre parole, secondo il nuovo difensore di Berlusconi, «in questo modo la Cassazione ha voluto rispondere a chi paventava i rischi della prescrizione intermedia di questo processo. Ma di casi come questo se ne vendono molti altri e la Suprema Corte si limita a rideterminare la pena nel caso in cui, prima del verdetto definitivo, sia intervenuta la prescrizione per una parte dei reati».
Ma la decisione della Corte va ben oltre la dinamica processuale che coinvolge l’accusa e la difesa. L’accelerazione ha una prevedibile ricaduta politica e ha già generato una vera rivolta nel Pdl — che parla di accanimento e minaccia manifestazioni di massa e strappi in Parlamento — con conseguenze non trascurabili sulla tenuta della maggioranza e del governo. Michaela Biancofiore se la prende con i giornali: «Come nel ‘94 è sempre il partito del Corriere ad anticipare decisioni della giustizia nei confronti del signor Silvio Berlusconi». Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, confida che il trattamento di celerità riservato a Berlusconi «sarà riservato come doveroso anche ai tanti cittadini meno famosi ma ugualmente desiderosi di una giustizia così fulminante». Il capogruppo Renato Schifani giura infine sull’innocenza dell’ex premier: «Noi siamo certi della sua innocenza e che la Cassazione finalmente porrà termine a una persecuzione giudiziaria nei confronti di un leader politico che comunque ha segnato la storia del nostro Paese».
Minimizza il segretario del Pd, Guglielmo Epifani: «Era previsto che questo processo arrivasse prima o poi a sentenza in Cassazione. No, non vedo un fattore nuovo». E anche l’Associazione nazionale magistrati esclude che per il processo a carico dell’ex premier sia stata creata una corsia preferenziale: «Nei confronti di Berlusconi non c’è stato un trattamento di sfavore per il quale meravigliarsi o scandalizzarsi», afferma il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli.
D.Mart.

LA BORSA TIENE
MILANO - Ore 15:40. L’Italia declassata da Standard&Poor’s non esce dalla prova del fuoco dei mercati internazionali con le ossa rotte. Il Tesoro ha infatti collocato 9,5 miliardi di Bot, di cui 7 miliardi con scadenza annuale e 2,5 con scadenza a dicembre 2013, con un atteso rialzo dei tassi ma con domanda sostenuta. Per l’annuale il rendimento è salito sopra l’1%, a 1,078%, rispetto allo 0,96% dell’asta precedente. Il rendimento di Bot con scadenza dicembre 2013 si è attestato invece allo 0,599%. La domanda ha raggiunto 1,56 volte l’offerta per gli annuali (in crescita dall’1,49 della scorsa asta) e 1,81 volte l’offerta per gli altri.
Si confermano quindi le attese degli operatori, che confidavano in una domanda sostenuta dalla garanzia di Mario Draghi e della Bce di tenere i tassi bassi ancora a lungo. "Tutto sommato l’asta è andata bene", commenta a caldo il presidente di Assiom Forex, Giuseppe Attanà. "Il mercato ha forse approfittato della riduzione del giudizio sull’Italia a BBB deciso da S&P per spuntare qualche centesimo di rendimento in più, ma questo ha permesso di sostenere la domanda". Di fronte a prospettive di tassi Bce ai minimi storici ancora a lungo, in pratica, "gli investitori vedono queste aste a breve termine, molto liquide e con rendimenti interessanti, come delle vere occasioni". Quanto al taglio del rating, "è fastidioso ma non stravolge nulla: preoccupano più l’outlook negativo, che include la possibilità di un nuovo taglio nel breve termine, e i tagli che seguiranno a ruota sulle principali banche del Paese". Per Attanà esprime cioè un giudizio di "scarsa fiducia" politica nel governo e di "sentiment" negativo verso il Paese. Quanto al futuro, "senza dubbio la svolta sui mercati arriverà dopo le elezioni tedesche di settembre: sono il passaggio fondamentale per capire se l’Europa andrà davvero verso una piena Unione politica, quello che vogliono gli investitori".
Lo spread, la differenza offerta da Btp e Bund decennali, si è inizialmente allargato di una decina di punti base, vicino alla cosiddetta "soglia Monti" di 287 punti, per poi tornare in area 280 punti e stabilizzarsi su un rendimento del 4,4% sul mercato secondario. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha parlato delle mosse di S&P come "decisioni che possono destabilizzare". Dalla Ue si declinano i commenti, ma si ricorda che l’Italia "ha fatto tanto negli ultimi due anni per ristabilire la credibilità". Il tutto mentre la Commissione europea presenta il nuovo meccanismo di risoluzione che regola la ristrutturazione o il "fallimento ordinato" delle banche Ue.
Dopo il collocamento non si registrano scossoni neppure sui listini azionari Ue, che si mantengono deboli dopo un avvio di settimana in recupero. Piazza Affari è attardata rispetto alle altre e cede lo 0,7%, senza il tracollo che alcuni temevano. Pesano soprattutto le banche, nel giorno dell’assemblea dell’Abi; secondo i dati di via Nazionale la stretta al credito è proseguita a maggio e l’alert sulle sofferenze resta elevato. Mentre sale ancora Fiat, sotto i riflettori finisce Generali, che ha collocato l’1% del capitale in azioni proprie a 13,95 euro per azione per un totale di 216,7 milioni di euro. Inizia intanto l’asta per l’inoptato di Rcs, che tratta in ribasso. Le altre Borse Ue girano in rosso dopo l’avvio positivo: Londra cede lo 0,4%, Francoforte lo 0,1% e Parigi lo 0,3%. Invariata in avvio Wall Street.
I mercati americani aspettano la Federal Reserve: questa sera verranno pubblicati i verbali del Fomc, il braccio operativo della Banca centrale guidata da Ben Bernanke, dai quali emergerà con più chiarezza come è maturata la decisione di annunciare il graduale affievolimento del programma d’acquisto di bond da 85 miliardi di dollari al mese. Lo stesso Bernanke terrà un discorso per i 100 anni della Banca centrale.
Fuori dal bacino europeo, a tenere banco sono i "soliti noti": la Cina e le mosse delle Banche centrali. Da Pechino - dopo il buon dato sull’inflazione giunto ieri - sono arrivate nuove indicazioni preoccupanti sul ritmo di crescita del colosso asiatico. Tanto le esportazioni che le importazioni sono infatti diminuite inaspettatamente a giugno, rispettivamente del 3,1% e dello 0,7% su base annua: l’export ha registrato un valore totale di 174,32 miliardi di dollari e il surplus ha deluso le attese a 27,1 miliardi. Non a caso questo affanno nella seconda economia mondiale ha portato il Fmi a ridurre le previsioni sulla crescita globale.
Sempre a Est, l’attenzione si concentra sulla Bank of Japan (BoJ), che si riunirà per due giorni per fare il punto sull’andamento economico e la politica di sostegno. Da parte degli analisti - dopo i segnali macroeconomici incoraggianti che mostrano l’economia nipponica in ripresa - non si attendono ulteriori stimoli. Attesi, però, gli aggiornamenti sui target del Paese: il premier Shinzo Abe, che ha approvato un pacchetto da 103 miliardi di dollari a inizio anno, punta a un’inflazione del 2%. Nel frattempo è scesa la fiducia dii consumatori nipponici, ma si tratta di un contraccolpo in parte atteso. La Borsa di Tokyo, dopo i recenti guadagni, ha limato lo 0,39% girando in calo soprattutto dopo i dati sulla Cina.
A livello macroeconomico, la Germania ha confermato una crescita annuale dei prezzi dell’1,8% a giugno. In Francia, la produzione industriale a maggio è scesa dello 0,4% e si attende ora la stessa rilevazione da parte dell’Istat. Negli Usa, le richieste di mutui nell’ultima settimana al 5 luglio sono calate del 4%, mentre non si registrano trimestrali di rilievo in arrivo. La stagione dei conti è comunque partita positivamente e - nonostante alcuni singoli casi che verranno penalizzati dalla relativa forza del dollaro, come sottolinea Bloomberg riferendosi ad Apple e P&G - gli utili delle corporate americane sono attesi in crescita. L’euro cerca di riguadagnare un pò di terreno e recupera quota 1,28 dollari: passa di mano a 1,2824 e il cambio con lo yen è a 128,43.
Prosegue intanto la corsa dei prezzi del petrolio, recentemente innescata dal caos politico in Egitto:per il barile Wti si porta a 104,52 dollari, il Brent si attesta a 107,83 dollari. Cala invece l’oro, che cede poco più di mezzo punto percentuale in Asia dopo il momentaneo rimbalzo dei giorni scorsi e oscilla intorno a 1.244 dollari l’oncia.
(10 luglio 2013)