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 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

MONTAGNA, PERCHÉ TANTE TRAGEDIE?

L’estate dell’alpinismo è cominciata con sciagure su tutto l’arco alpino. Tragica coincidenza?

No, condizioni anomale della montagna dovute alle forti precipitazioni nevose della tarda primavera. In realtà, più che un’anomalia, è il caso di parlare di un ritorno a un passato poco impresso nella memoria degli alpinisti. Le nevicate di aprile e maggio, consuete sul massiccio del Monte Bianco, si sono estese, per effetto di una coda invernale, su tutto l’arco alpino, oltre i 2500 metri. Le sciagure del Gran Zebrù (massiccio dell’Ortles) e sul Gran Paradiso, per citare gli incidenti mortali più recenti, sono dovute proprio alle nevicate tardive.

Che cosa hanno provocato?

Una situazione di estremo pericolo. Gli strati di neve fresca si sono posati su quelli invernali già assestati creando un’instabilità che la forte escursione termica ha aumentato.

Ma soltanto pochi degli incidenti sono stati provocati da valanghe o slavine...

Vero, la maggior parte degli alpinisti sono precipitati per una scivolata. Ha cioè ceduto la neve su cui arrampicavano o camminavano. Le due cordate (sei morti) del Gran Zebrù o quella di due persone sul versante piemontese del Gran Paradiso sono scivolate durante la discesa, sia seguendo la linea di massima pendenza, sull’Ortles, sia attraversando un terreno innevato ai piedi del Gran Paradiso.

Questione di attrezzatura?

No, di tecnica di sicurezza. Gli alpinisti precipitati avevano tutti esperienza ed erano attrezzati in modo adeguato. Sono stati traditi dalla mancanza di aderenza, dal cedimento del manto nevoso. Nonostante fossero in cordata, l’effetto domino della caduta di uno di loro non ha potuto essere evitato per l’assenza di chiodatura.

Ma avevano i ramponi...

In situazione di forte innevamento e quando il sole, dopo alcune ore, ha reso molle la neve, i ramponi non offrono la stessa sicurezza di quella su superfici gelate o comunque di forte consistenza. In alcuni casi rappresentano un problema, proprio perché la neve marcia si accumula e si blocca tra le punte d’acciaio dando origine al pericoloso effetto zoccolo.

Che fare allora?

In condizioni di forte innevamento e nell’impossibilità di evitare pendii nevosi è più saggio rinunciare alla salita. Se le temperature della notte hanno indurito le superfici innevate occorre valutare le ore di percorrenza per salita e discesa e rientrare quando ancora i ramponi possono offrire sicurezza. La temperatura e, soprattutto, la sua differenza tra notte e giorno è fondamentale per decidere se e come affrontare l’escursione o l’arrampicata.

Potrebbe però accadere qualsiasi contrattempo che può ritardare l’azione degli alpinisti.

Certo. La discesa su neve instabile allora deve essere protetta su pendenza oltre i 40 gradi. Scendere a ritroso, faccia alla montagna, aiutarsi con le piccozze e assicurarsi con i chiodi da ghiaccio. Per farlo occorre far cadere la neve marcia e scavare fino quando si trova il ghiaccio e usare i chiodi a vite. Se la pendenza supera i 45 gradi, meglio gradinare per poter avere una corretta aderenza con i ramponi. La discesa faccia valle non lascia scampo in caso di scivolata. E comunque dovrebbe essere sempre fatta con un margine di sicurezza per poter arrestare possibili scivolate. La cordata non deve procedere di conserva, ma occorre che ogni alpinista si muova da solo, mentre gli altri si fermino e tengano tesa la corda per essere pronti ad arrestare una caduta e non essere trascinati nel vuoto.

Una tecnica d’altri tempi?

In parte sì. Fare gradini è pratica usata soltanto in rare occasioni. I ramponi di oggi danno garanzia di ottima presa e in più sul ghiaccio si usano le due piccozze (piolet traction) che garantiscono due appoggi in più. Ma in discesa sul ripido la superficie di aderenza è minore e in presenza di neve fresca le punte dei ramponi non possono dare sicurezza. Ecco perché occorre spazzare la neve e raggiungere gli strati più duri. Le attenzioni del passato, dovute alla carenza di attrezzatura, tornano utili allorché le condizioni della montagna richiamano le salite di mezzo secolo fa, quando le nevicate tardive non rappresentavano un’eccezione. Di fronte a nevicate di mezzo metro o più anche procedere sui ghiacciai piani rappresenta un’insidia.

Perché?

La neve nasconde i crepacci aperti e forma ponti che proprio a causa di improvvisi sbalzi termici possono cedere o crollare. Anche in questo caso gli alpinisti devono camminare uno a uno per ottenere la sicurezza da parte dei compagni. Così come nei traversi, dove il rischio di scivolata, a seconda della pendenza, aumenta in modo esponenziale. L’antico alpestock darebbe garanzia di tenuta. La sua lunghezza consentiva l’appoggio laterale molto più di una piccozza. Un bastoncino telescopico potrebbe sostituirlo.