Angela Azzaro, Libero 9/7/2013, 9 luglio 2013
CHE ERRORE LA GUERRA DEL PD ALLA GNOCCA
Mi stavo chiedendo se fosse giusta l’intuizione di dedicare il focus dell’ultimo numero prima delle vacanze estive al moralismo. In particolare al moralismo di sinistra. L’idea è nata dal corsivo di Marco Cubeddu, che sul Secolo XIX ha scritto contro le ragazze che indossano gli shorts. Le ha chiamate sgualdrine e ha subdolamente riproposto la tesi che chi viene violentata, se va in giro vestita in quel modo, se l’è cercata.
Il successo del corsivo è stato incredibile e nonostante le tante critiche a noi è sorto il dubbio che un articolo del genere è il sintomo di qualcosa di più ampio. È cioè il segno di come sia cambiata la cultura del nostro Paese. E di come sia cambiata in peggio. Terribilmente in peggio. La domanda che ci siamo posti è se tutto il dibattito, soprattutto a sinistra, sul corpo delle donne, sull’uso da parte dei media, non abbia prodotto l’esatto opposto di quello che si diceva di voler ottenere: meno libertà femminile e molto più moralismo.
Tesi eccessiva? Il dubbio, anche se devo ammettere, fievole, lo avevamo. Ma mentre stavamo decidendo i pezzi con cui sviscerare la domanda iniziale, ecco quella che ci è sembrata una conferma. Quattro senatrici del Pd, credendo evidentemente di fare cosa buona e giusta a favore delle donne, hanno presentato un disegno di legge in cui chiedono di vietare l’uso del corpo femminile nelle pubblicità.
Il divieto, accompagnato da forti sanzioni (fino a cinque milioni di multa) avrebbe l’obiettivo di difendere le donne dalla violenza, ottenendo solo lo scopo di aumentare il moralismo e quindi il pregiudizio proprio nei confronti della libertà femminile. È questo infatti il punto. Non altro. Capire se esiste un legame tra il corsivo di Cubeddu, peraltro premiato dal suo giornale con una rubrica fissa, e l’iniziativa delle donne Pd. Se esiste cioè un legame tra chi dice che il corpo delle donne usato nelle pubblicità generi violenza e chi accusa le ragazzine che usano gli shorts di essere sgualdrine. Il legame è evidente. Perché se si riduce il rapporto uomo/donna e il conflitto tra i sessi a un problema di nudità si cade esattamente in quella cultura patriarcale che il femminismo ha tentato di combattere. Che altro è, infatti, il potere maschile se non la norma, lo stereotipo, il chiedere alle donne di essere sempre qualcosa? In un caso dobbiamo esser vestite, in un altro svestite ma c’è sempre qualcuno che decide per noi. Invece di battersi per la cultura della libertà una parte del femminismo o meglio del movimento delle donne che non sempre è femminista in questi anni ha giocato la carta opposta: quella del perbenismo, della normalizzazione, del riportare le donne a un modello unico.
Via quindi le cosiddette olgettine, le Ruby, tutte coloro che non rientrano nello standard delle donne perbene e di sinistra. Così facendo si è spostata l’asta, ma verso il basso. Verso quella cultura che pensavamo di aver per sempre contrastato e che oggi invece ritorna tra gli applausi dei direttori di giornale pronti a tutto pur di vendere. Prima lo si faceva spogliando le donne, oggi vestendole come chiede Cubeddu. Nel primo e nel secondo caso c’è sempre qualcuno che ci dice come essere e come stare al mondo.
Il problema è che di questa seconda tendenza alcune di noi sono state complici. Non hanno capito che puntare l’attenzione solo sul corpo ha levato forza alle donne che non sono come loro. Ha levato loro soggettività.
Perché chi si spoglia o si vende per lavoro dovrebbe essere peggiore di chi non lo fa? Né peggiori né migliori, ma libere.
Una parola abusata, ma sempre più vuota di senso. La libertà non ha bisogno di patenti di consapevolezza, anzi le aborre, le disdegna. La libertà è la libertà, e non si può costruire per via legislativa, pena la sua cancellazione totale. È così accaduto quello che non doveva assolutamente accadere: nel banco degli imputati non è finita la cultura che produce la violenza, ma le donne in nome delle quali si dice di volerla contrastare. In questi anni i due processi Ruby hanno visto una sinistra o seduta nel banco degli accusatori o peggio ancora silente, preoccupata di non venire scambiata per berlusconiana.
Peccato però che sotto attacco c’erano alcune donne, prese di mira per l’uso del loro corpo e per le loro scelte di vita.
Oggi tocca alle ragazzine perché mostrano le gambe. Domani chissà. Fermiamoci prima che sia troppo tardi.