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 2013  luglio 08 Lunedì calendario

TANTI SALUTI DA BRICK LANE LA LITTLE ITALY DI LONDRA

Brick lane, primo est della città. Il quartie­re si apre subito dopo lo square mile, il mi­glio quadrato centro della fi­nanza europea. Ristoranti, cen­tinaia di persone, il mercato, i negozi, il rumore. Prima della metà degli anni Novanta era di­verso. Molto. Quella che oggi è la City quasi non esisteva e Bri­ck Lane era un quartiere a sé, per i più off-limits: il regno della comunità «bangla» in Inghilter­ra.
«È cambiato molto da quan­do sono arrivato quattro o cinque anni fa - racconta in una conversazione con Il Giornale Walter Remi, 29 anni, pugliese, a Londra dal 2008 e impiegato in una società di sicurezza -. Cer­to, il quartiere era già in via di “gentrificazione“ (da gentry, la piccola nobiltà inglese, ndr), ma i suoi abitanti venivano dal­le più disparate parti del mon­do. Non come adesso».
Tutto è iniziato quando alla fi­ne degli anni Novanta nel quar­tiere sono cominciati a conflui­re i primi artisti in cerca di affitti minimi. E come nel romanissi­mo quartiere Pigneto con il suo «scrittore residente» France­sco Pacifico, in poco tempo so­no stati imitati da centinaia di al­tre persone. Poi, a metà degli an­ni Duemila, gli inglesi si sono trasferiti lasciando il posto agli italiani, gli spagnoli e i francesi arrivati a Londra nel generale fuggi fuggi dalla recessione del vecchio continente. Ma men­tre spagnoli e francesi si accon­tentano di aver trovato un pro­prio spazio a Brick Lane, gli ita­liani stanno trasformando il quartiere. Ormai passeggian­do per la main street ciottolata si trovano connazionali a ogni angolo: davanti ai supermerca­tini, fuori dai baretti che vendo­no birra indiana, dentro ai colo­ratissimi negozietti di dolcetti del sud est asiatico, all’interno dei ristoranti di curry a buon mercato. Famiglie, anziani, gente del nord, del sud, di gros­se città e di paesini conversano e ridono tranquilli come fosse­ro s­ulla piazza centrale della cit­tà che hanno ormai lasciato alle spalle. E non c’è da stupirsi di questa presenza. Secondo i da­ti forniti dal Consolato Genera­le d’Italia a Londra al Giornale gli italiani iscritti nell’anagrafe consolare nel 2013 sono 205mi­la (numero che tiene conto an­che­dell’inclusione del consola­to di Bedford nella circoscrizio­ne di Londra) quando nel 2006 erano soltanto 105mila. Un in­cremento con un ritmo medio di 250 connazionali al mese nel 2007, 500 nel 2008, 830 nel 2009, 580 nel 2010, 500 nel 2011 e 1200 nel 2012. Ma c’è di più. I dati tengono conto soltanto del­le persone effet­tivamente iscrit­te all’associazione degli italiani residenti all’estero (Aire), un iter che molti evitano per paura di incorrere in un processo lungo e burocratico. Così, sempre secondo i dati del Consolato, gli italiani che vivono a Londra senza essere iscritti all’Aire so­no circa 193mila, numero che sommato ai 205mila residenti ufficiali rende Londra e i suoi 390mila abitanti italiani la setti­ma città della Penisola: secon­do i dati Istat del 2012 appena sotto Genova e subito sopra Bo­logna. C’è un’altra importante peculiarità da evidenziare in questa nuova Little Italy che va formandosi nel primo est londinese. A Brick Lane vige una fer­rea regola non scritta. A metà della main street c’è un ponti­cello coperto che connette il vecchio birrificio Truman a un ex magazzino ora diventato un locale. Il lato sud è ancora fer­mamente in mano alla comuni­tà bangla ed è occupato dai suoi ristoranti, negozietti islamici e sale da tè profumate e gremite. Il lato nord invece è in mano ai nuovi arrivati, ai loro caffè orga­nici con camerieri tatuati, ai bar libreria con i commessi ca­pelloni e ai negozi di vinili pieni di clienti in giacca di jeans. Per il momento è li che sono con­centrate le pizzerie, i ristoranti e i bar degli italiani.
Gli odori delle due culture vi­vono uno di fianco all’altro ma senza mischiarsi. Due mesi fa però qualcosa è cambiato. Gui­do Baldrani, 32 anni, romano, e la sua ragazza, Francesca Raiti, 28 anni, anche lei romana, han­no varcato il ponticello coperto della Truman Brewery e aperto il primo bar italiano oltre quel­l’immaginario confine. Fuori, sopra la porta, un tricolore a segnare la provenienza mentre l’odore dell’espresso che ema­na dal baretto si fa forza tra quello del riso al curry che proviene dai ristoranti davanti e di fian­co. «Vedrai - dice divertita la coppia - adesso che abbiamo rotto il tabù gli altri italiani ci seguiranno a ruota. È l’inizio del­la nostra Little Italy».