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 2013  luglio 07 Domenica calendario

IL PD STA SCONFIGGENDO RENZI CHE INIZIA A PERDERE APPEAL

Non è una notizia dire che l’attività principale del Partito democratico, prima e ancor più dopo la clamorosa sconfitta elettorale di febbraio, si con­centra con encomiabile assiduità nello sforzo di azzoppare in ogni modo e ad ogni costo il cavallo che tutti danno per vincente: Matteo Renzi. La notizia, almeno a leggere Europa, è che forse ci sono riu­sciti: forse il Pd è finalmente riu­scito ad indebolire - se non ad azzoppare - il suo candidato mi­gliore.
Secondo il sondaggista Pao­lo Natale, «da quasi un paio di settimane la figura di Renzi comincia un po’ a sbiadire nell’immaginario degli italiani. (...) La perdita di fiducia nel sindaco di Firenze ha toccato quo­te decisamente significative, quantificabili nel sette-otto per cento dei consensi. Ancora più evidente il calo di coloro che si dichiarano entusiasti: qui raggiungiamo un arretra­mento vicino al 10 per cento dei consensi. Il tutto mentre En­rico Letta naviga su livelli di fi­ducia pressoché inalterati, rispetto alla sua marcia consue­ta».
In realtà, il sindaco di Firenze resta saldamente in testa nella classifica dei politici più popolari, e alla domanda «chi vorre­ste a Palazzo Chigi?» gli italiani continuano in maggioranza a rispondere con il suo nome. Ma è vero che la flessione c’è stata, che «la sua narrazione perde slancio» e che le cause non sono difficili da individua­re. La prima e più importante si chiama naturalmente Enrico Letta: un po’ perché i due perso­naggi sono politicamente, cul­turalmente e anagraficamente sovrapponibili; e soprattutto perché, come osserva Stefano Menichini, «ci sono dirigenti del Pd che non amano affatto nessuno dei due, eppure prova­no a giocare la sorte del presi­dente del Consiglio in carica per troncare le ambizioni del sindaco di Firenze. Gioco scoperto: non avendo candidati forti e dal dna “giusto” da con­trapporre a Renzi, provano a usare Letta».
In altre parole, il gruppo diri­gente del Pd è intenzionato a te­nersi il più a lungo possibile la «grande coalizione» con il Pdl che tanto aveva combattuto e osteggiato, nella convinzione che più le elezioni si allontana­no e più si indebolisce la stella renziana: «Il sindaco - scrive ancora il direttore di Europa, che a Renzi è tutt’altro che ostile - ­non può continuare fino al 2015 a fare l’osservatore critico che regala fulminanti battute in fiorentino, in un ruolo che finirebbe per diventare incon­cludente e antipatico tant’è vero­ che comincia già a essere pe­nalizzato dall’opinione pubbli­ca». Insomma: per il Pd è me­glio tenersi Berlusconi al gover­no che avere Renzi leader.
Tanta ostilità verso chi ti può dare la vittoria elettorale sareb­be impensabile in qualsiasi al­tro partito, ma evidentemente non nel Pd. Perché? Il motivo va ricercato nella radicale alte­rità con cui Renzi si pone (ed è percepito) rispetto alle logi­che, ai riti e alle convenzioni del gruppo dirigente e degli ap­parati. Ex comunisti ed ex de­mocristiani vanno facilmente d’accordo anche quando litiga­no furiosamente perché pro­vengono entrambi dai partiti della Prima Repubblica, di cui conoscono a memoria la rego­la principale e indiscutibile: il consociativismo nella gestio­ne del potere. In questo sche­ma, assai popolare nella vec­chia Dc, segretari e premier si alternano vorticosamente, ma la struttura del potere resta la stessa: gli stessi uomini che sembrano combattersi, si scambiano poi ogni volta le poltrone in palio, e nessuno resta in piedi. Puoi perdere un po’ di potere, ma non capiterà mai di perdere il potere.
Renzi spezza questo gioco, si sottrae alla cooptazione che pu­re gli è stata offerta, rifiuta di partecipare ai caminetti e ai cor­rentoni, e per questo fa paura a tutto il «Pd romano». Se e quan­do conquisterà la leadership del partito non manderà nessu­no in Siberia, non farà epurazio­ni né espellerà chicchessia, ma dicerto è l’uomo che può mandare in pensione una cultura politica autoreferenziale e profondamente conservatrice che gli è del tutto estranea. Il terro­re dei dirigenti - che si esempli­fica nel tentativo ricorrente, an­corché un po’ rozzo, di dipinge­re il sindaco di Firenze come un alieno geneticamente modifi­cato, un berluschino o una rein­carnazione di Craxi - è il vero cemento che tiene unito il Pd, co­me e forse persino più dell’anti­berlusconismo, che anzi oggi passa in secondo piano visto che è proprio il governo con il Cavaliere la più robusta barrie­ra contro Renzi. Nei mesi che verranno la partita si farà più cruenta, il gioco più spietato. Perché, per la prima volta, è in gioco la vita (politica) di un’in­tera classe dirigente.