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 2013  luglio 07 Domenica calendario

VOGLIA DI FORZA ITALIA

La forza del segno, il ri­chiamo di una memoria stori­ca, un tuffo nella prima giovi­nezza politica, il desiderio e la nostalgia di una rivoluzione in­compiuta. Si dice che un parti­to o un movimento esista sol­tanto in presenza di un simbolo che lo rappresenti e resista alla prova del tempo. Sarà per que­sto che Silvio Berlusconi da an­ni continua a rimpiangere e ad evocare il ritorno a Forza Italia, al suo logo e al suo emblema. Le rilevazioni di cui è in possesso d’altra parte offrono sempre lo stesso, inequivocabile risulta­to: Forza Italia sulla scheda elet­to­rale rappresenta un valore ag­giunto, è il simbolo che gli italia­ni riconoscono e ricordano più di ogni altro di quelli della Se­conda Repubblica, in sostanza è il migliore di quelli che si sono succeduti negli anni che vanno dal ’94 al 2009.
In questi giorni a Roma si la­vora al rilancio del logo che avrà come primo banco di pro­va, nel prossimo mese di otto­bre, le Regionali in Basilicata e le provinciali in Trentino Alto Adige. Berlusconi ha le idee chiare. Non ci sarà alcuna dici­tura 2.0. Si procederà con il sim­bolo originario, senza modifi­che grafiche, perché la forza evocativa viene giudicata intat­ta e la presenza nell’immagina­rio dell’elettorato ancora soli­dissima. Niente a che vedere con il brand del Pdl, la cui perce­zione è negativa perché a quel marchio viene associato il liti­gio e il ribaltone finiano e la lun­ga agonia della XVI legislatura. Insomma: la politica nel senso più deteriore del termine, inte­sa come ritualità di palazzo, lon­tananza dalla gente, bizantini­smo e tatticismo fine a se stes­so.
Le stesse certezze Berlusconi le mise in campo già nel ’94. «Mi chiamò e mi disse: “Tieniti pronto che facciamo un parti­to“» ricorda Giancarlo Galan. «Risposi subito di sì. Però quan­do mi sottopose il nome Forza Italia, non mi trattenni. “Ma no, non può funzionare, sarà un di­sastro“. E lui sorridendo: “Si ve­de che non capisci niente, è per­fetto“. Direi che alla prova dei fatti che aveva ragione lui». La stessa scelta del logo tra i tanti bozzetti che servirono per arri­vare al marchio definitivo (tra i quali c’è perfino un «Italia Giu­sta», con la bilancia della Giusti­zia nel simbolo) avvenne per mano di Berlusconi che scelse senza troppe esitazioni quel simbolo grafico: una bandiera con i colori del Tricolore dispo­sti non in modo tradizionale (il verde è in alto e il rosso in bas­so), con un taglio obliquo che rendeva l’insieme grafico dina­mico e moderno. Erano i tempi di «Meno tasse per tutti», di «Pensioni più dignitose» fino a «Un buon lavoro anche per te». Slogan diretti e semplici che cambiarono la co­municazione politica italiana, insieme a un inno entrato an­ch’esso nella memoria e nell’immaginario. Un nuovo alfa­beto del marketing politico accolto tra stupore e ironia. Ma tutto partiva da quel logo che proponeva un nuovo tipo di rap­porto - chiaro, diretto e imme­diato - con i cittadini, evocava una comune appartenenza e l’invito a rimettersi in moto, attraverso il più classico incita­mento sportivo, l’azione positi­va, l’unità d’azione. Un fattore di discontinuità evidente rispet­to a tutti i vecchi e nuovi partiti politici italiani.
«Quello di Forza Italia è un simbolo che parla da solo e rap­pre­senta una discontinuità evo­cativa rispetto al passato. Un messaggio che valeva allora e vale oggi» spiega Antonio Pal­mieri, responsabile comunica­zione elettorale e internet del Pdl, e curatore, insieme a Gian­ni Comolli, Cesare Priori e Mas­simo Maria Piana del volume pubblicato lo scorso anno «Co­me Berlusconi ha cambiato le campagne elettorali in Italia». «Innanzitutto contiene un’inci­tazione, Forza Italia appunto, che mai come adesso suona at­tualissima. La seconda: quel simbolo dice che là c’è Berlu­sconi e lo dice senza bisogno di scriverlo. La terza: può evocare un nuovo inizio, una ”chiama­ta alle armi”, per chi alle ultime elezioni magari ha scelto Grillo oppure non si è recato alle ur­ne». Insomma il bis di una sfida liberale le cui ragioni non sono certo evaporate. Una sfida chiamata a smentire il vecchio ada­gio secondo cui i remake sono sempre peggio dell’originale.