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 2013  luglio 08 Lunedì calendario

NON CI RESTA CHE PIOVERE

È uno degli ultimi provvedimenti del governo Monti: dimezzare la flotta antincendio della protezione civile. I mezzi chiamati a spegnere gli incendi, questa estate, passano da 30 a 15. Motivo: mancanza di fondi. Non solo. Il controllo della flotta – che dal 2010 a oggi è passato di mano per tre volte – finisce ai vigili del fuoco che hanno già le casse ridotte all’osso. Una volta i soldi abbondavano e Guido Bertolaso teneva in mano quei Canadair che considerava piccoli gioielli, ma questa decisione oggi, con le casse completamente vuote, rischia di esporre il Paese in maniera drammatica. Una speranza: affidarsi al destino, sperare che non ci siano piromani scatenati, augurarsi un’estate piovosa e chi più ne ha più ne metta.
Il taglio sotto silenzio
La comunicazione, come tutte quelle scomode, è passata quasi in silenzio. Poche righe, molto istituzionali: il Consiglio dei ministri “ha approvato in via preliminare il regolamento che disciplina i tempi e le modalità di attuazione del trasferimento della flotta aerea antincendio della Protezione civile al dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa del ministero dell’Interno”. E ancora: “Per garantire il funzionamento della flotta il dipartimento dei vigili del fuoco potrà avvalersi di personale in posizione di comando o distacco proveniente da altre amministrazioni pubbliche, fino a un massimo di 20 unità. Le operazioni di trasferimento dovranno terminare entro i 30 giorni che precedono l’inizio della campagna antincendio boschivo 2013. In caso contrario il regolamento prevede che vengano sospese e completate entro i 30 giorni successivi alla fine della campagna”.
Bene. Di riduzione non se ne parla. Poi il 24 maggio, la nota sensibilmente più approfondita, ignorata dai giornali e dalle agenzie di stampa, fatta eccezione dell’Asca che spiega come l’acquisizione sia stata completata: “I vigili del fuoco hanno completato l’acquisizione della flotta antincendio, gestita fino a oggi dalla Protezione Civile, costituita dai 19 Canadair CL-415 destinati allo spegnimento degli incendi boschivi. Sono state completate, infatti, alla mezzanotte del 21 maggio le operazioni di consegna dei velivoli e dei relativi materiali, precedute dalle procedure amministrative con cui, in adempimento alla legge n. 100 del luglio 2012, il dipartimento dei vigili del fuoco è subentrato nella titolarità di tutti i contratti, in particolare di quello riguardante la gestione operativa e logistica della flotta, affidata a seguito di una gara europea al raggruppamento temporaneo di imprese costituito da Inaer Aviation Italia. All’avvio della prossima campagna estiva di contrasto agli incendi boschivi - che raggiunge il suo apice nella stagione calda, con punte di criticità sia per la diffusione che per la gravità degli eventi - lo Stato potrà supportare le richieste di concorso aereo provenienti dalle Regioni con un massimo di 15 Canadair operativi (gli altri quattro ruoteranno per la necessaria manutenzione) e da un elicottero AB412 dei vigili del fuoco, a cui potrà aggiungersi qualche altro mezzo se saranno reperite le risorse ed espletate le necessarie procedure amministrative. Rispetto allo scorso anno, quindi, quando la flotta aerea statale era composta da oltre 30 velivoli (ai Canadair e all’AB412 dei vigili del fuoco, infatti, si aggiungevano quattro S64 del corpo forestale dello Stato e otto Fire Boss gestiti dal Dipartimento della Protezione Civile, nonché altri elicotteri messi a disposizione da Esercito Italiano, Marina Militare e Capitaneria di Porto), si avrà una riduzione del numero dei mezzi disponibili a causa della contrazione delle risorse statali”. Così è. Punto. Restano in ballo gli F35 per combattere nemici finora inesistenti. E pensare che con un decimo di quelle risorse si potrebbe creare la migliore flotta anti-incendio del mondo, che il casco di un F35 costa quanto centinaia di caschi dei pompieri (come hanno ricordato i sindacati di base che sabato hanno protestato a Novara). Intanto i Canadair che servivano per spegnere gli incendi vengono ridotti del 50 per cento. Con effetti che potrebbero essere devastanti.
La situazione negli ultimi tre anni è precipitata. Allora l’uomo dei cieli della Protezione civile made in Bertolaso, si chiamava Giuseppe Spadaccini da Pescara, depositario, grazie a una gara d’appalto privata, della gestione dei Canadair della protezione civile fino al 2014 alla sua Sorem. Spadaccini, 53 anni, abruzzese di Chieti, nipote di Felice, vecchio notabile democristiano, finisce in carcere con l’accusa di essere a capo di un’associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale. Un gruzzolo – secondo le accuse che gli vennero mosse - di 90 milioni di euro sottratto allo Stato. Accusa che provoca immediatamente la revoca dell’appalto.
La storia di Spadaccini e della Sorem nasce nel 1997. Cominciò ad avere i primi problemi, proprio quando strappò l’appalto alla Sisam, società che all’epoca era controllata dall’Alitalia. Spadaccini, che insieme a Bud Spencer, all’anagrafe Carlo Pedersoli, controllava la società di Aerotaxi Air Columbia e che ancora prima aveva gettato le basi per la nascita di Air One, presentò l’offerta nove minuti dopo la chiusura della gara d’appalto indetta dalla Protezione civile, guidata allora da Franco Barberi. Ma la Sorem ottenne tuttavia l’appalto attraverso una trattativa privata , nonostante la società non avesse piloti, né esperienza né strutture per la manutenzione degli aerei.
Finita l’epoca Spadaccini l’emergenza viene affidata, l’anno successivo, dopo una serie di difficoltà, a un raggruppamento di imprese formato dalla società Inaer Helycopter Italia e dalla Inaer Aviones Anfibios che era stata messa in piedi proprio per questa gestione. Ma si il consorzio ha battuto in ritirata.
La reazione del Wwf
“Sistemi di telecamere diurne e notturne (a raggi infrarossi) collegate ad una sala operativa nostra o delle forze preposte (forestali e vigili del fuoco) al fine di ottimizzare l’impiego delle risorse umane nell’arco dell’intera giornata e corsi di formazione e informazione per l’avvistamento degli incendi, una buona organizzazione per avvisare le autorità preposte è a nostro avviso la migliore prevenzione”. Questo è quello che il Wwf predica da anni. Ma figuriamoci se c’è uno spazio per attuare queste norme. Anzi. Tagliare i mezzi antincendio non solo vuol dire rinunciare completamente alla prevenzione, ma azzerare anche le possibilità di agire di fronte all’emergenza. “Non sappiamo”, spiegano dal Wwf, “incontro a quale situazione andremo. Il dimezzamento della flotta è una cosa molto seria, siamo impreparati. È un ritorno al passato e una rinuncia a quello che si sarebbe potuto fare nel futuro”. Anche perché la mano dell’uomo è dietro l’angolo e pronta a scatenarsi. Dietro a ogni incendio ci sono interessi economici, sopravvive la criminalità. E quello il governo ha appena convalidato per decreto è senza dubbio una rinuncia a combatterla la criminalità.

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OGNI ESTATE DEVASTATE AREE GRANDI IL DOPPIO DI MILANO -
Immaginate 41mila campi da calcio, o l’intera città di Milano moltiplicata per due. Poi ricoprite tutto di cenere e di nero, e avrete una fotografia dei boschi italiani che ogni estate vengono dati alla fiamme. E se questo non basta ci sono i numeri raccolti dal Corpo forestale dello Stato a parlare e a dare un’idea dei roghi che ogni anno, puntuali, portano via chilometri e chilometri di paesaggio. Solo nel 2012, in tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte, si sono registrati 8700 incendi, di cui circa 6500 nel periodo che va da 15 giugno al 29 settembre. Da gennaio a dicembre, sono andati in fumo quasi 100mila ettari di superficie, la metà ricoperta da boschi e foreste. 27mila ettari in più rispetto a quelli del 2011, e quasi il doppio di quelli bruciati nel 2010. In altre parole, è andata distrutta un’area pari a sette volte quella di Bologna e a dieci volte quella di Firenze.
NESSUNA REGIONE è stata risparmiata, anche se nella classifica italiana delle zone più colpite domina la Sicilia, dove nel 2012 sono andati in fumo 14473 ettari di bosco (9mila ettari in più rispetto all’anno precedente). L’associazione Legambiente ha registrato in tre anni un aumento degli incendi nell’isola pari al 67,1%, la maggioranza di origine dolosa. Dato che ha trasformato Palermo nella terza città più colpita. Nell’elenco delle regioni, seguono poi la Calabria, dove sono bruciati oltre 6620 ettari di foreste, la Campania con 5330 ettari di superficie boscata percorsa dal fuoco, la Puglia con 4861 ettari, e il Lazio con 4502 ettari. Se si guarda poi la superficie totale, anche la Basilicata e la Sardegna si guadagnano un posto di rilievo : nel 2012 sono stati distrutti rispettivamente 5700 e 3300 ettari tra boschi e terreni dati alle fiamme.
UN RITRATTO di un Paese in fumo, che non migliora se si dà uno sguardo al passato. Il bilancio è da bollettino di guerra. Secondo l’archivio dati del Corpo forestale dello Stato, che ha raccolto le cifre degli ultimi 40 anni, il numero degli incendi ha subito alti e bassi, senza però mai diminuire drasticamente. Dal 1970 al 1978 il totale dei roghi si è mantenuto al di sotto dei 10mila, per crescere dal 1978 in poi. L’impennata s’incontra a metà degli anni Ottanta: dal 1980 al 1981, la superficie percorsa dal fuoco passa da 143mila a 230mila ettari. Mentre il picco del numero degli incendi si ha nel 1985, con 18664 roghi. La cifra diminuisce negli anni successivi, pur mantenendosi quasi sempre intorno ai 10 mila. Il 2007 è un altro annus horribilis: 10639 roghi devastano quasi 228mila ettari di superficie, di cui poco più della metà composta da foreste. In uno studio, l’Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca ambientale ha calcolato una media di 40mila ettari di foreste italiane distrutte ogni anno dagli incendi. Un fenomeno che ha prodotto, tra gli altri danni, l’accumulo in atmosfera di circa 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni singolo anno, pari allo 0,4% delle emissioni totali nazionali di gas serra. Secondo l’istituto, poi, i roghi, oltre a rappresentare la principale fonte di devastazione del patrimonio boschivo, sono tra le prime cause di deterioramento del suolo, di perdita di produzioni legnose e non legnose, di distruzione della fauna. Le ripercussioni, per istituto di ricerca, sono ambientali, ma anche economiche, considerando che dalle foreste nazionali si possono generare 3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, pari all’1,7% del consumo primario di energia.
E LA RESPONSABILITÀ è tutta nostra. Ad appiccare il fuoco è quasi sempre la mano dell’uomo. Le indagini del Corpo forestale, infatti, hanno rivelato come 6 volte su 10 si tratti di incendi dolosi, quindi volontari, spesso legati alla speculazione edilizia e alla cementificazione selvaggia. Il 30% dei casi invece sono colposi, ossia sono roghi causati involontariamente da mozziconi di sigaretta abbandonati o dalla distruzione di stoppie ed erbacce. Solo un incendio su dieci ha origine da cause naturali.

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DIVIETO DI COSTRUIRE DOPO I ROGHI MA NON TUTTI I COMUNI LO RISPETTANO -
COSA RESTA Quello che rimane di un bosco che brucia non è solo una distesa di cenere. Un incendio lascia dietro di sé una serie di conseguenze ambientali, estetiche, economiche e umane, con dei danni difficili da quantificare. Ci sono quelli immediati, come la morte della fauna, il degrado ecologico, l’emissione di gas tossici e il riscaldamento di suolo. Ma anche effetti indiretti, che si svelano nei mesi o addirittura negli anni. Basti pensare all’impatto del fuoco sull’assetto idrogeologico del suolo, in particolare nelle zone collinari: le fiamme portano via l’humus superficiale e la vegetazione, rendendo il terreno impermeabile e incapace di assorbire le piogge.
Lo sanno bene a Genova, dove nel 2009 un gigantesco incendio ha desertificato centinaia di ettari di boschi tra Nervi e Quarto. E le conseguenze si sono toccate con mano anche negli anni successivi, quando il capoluogo ligure è stato più volte devastato da alluvioni grandi e piccole, fino a quella del 2011, che ha ucciso 6 persone. Prevenire gli incendi quindi significa anche evitare altri disastri ambientali, come frane e allagamenti. Ed è per questo che nel 2000 è stata approvata una legge quadro, la 353, che di fatto blocca i terreni devastati dalle fiamme, con l’obiettivo di scoraggiare e limitare le ambizioni di chi appicca il fuoco con precisi interessi economici e speculativi. La norma prevede il divieto di edificazione, di pascolo e di caccia nei dieci anni successivi al rogo. Ma impedisce anche di cambiare per 15 anni la destinazione di una zona, rispetto a quella che aveva prima di essere distrutta. Un pacchetto di restrizioni che però perde forza se i comuni non fanno la loro parte.
La legge infatti include anche l’obbligo di censire annualmente tutti i terreni percorsi dal fuoco, attraverso la realizzazione di un apposito catasto, nel quale siano elencate le aree in cui è vietato edificare ed esercitare caccia e pastorizia. Ma non tutti i Comuni sono in regola. Secondo un’indagine di Legambiente, che ha dato le pagelle alle singole regioni, al 2011 le amministrazioni virtuose sono solo il 69%. Per il 31% dei comuni il lavoro di contrasto agli incendi è giudicato “complessivamente negativo ”, mentre per il 9% è “g ravemente inadempiente”. Tra le regioni più virtuose compaiono la Toscana, ma anche la Campania, qui 8 Comuni su 10 ha approvato il catasto previsto dalla legge. Fanalino di coda invece la Sardegna, dove solo un terzo delle amministrazioni è in regola con il censimento.