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 2013  luglio 09 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I FRANCESI SI COMPRANO LORO PIANA


MILANO - Diventa francese il marchio, ma resta garantita la produzione e la qualità italiana. Anzi, Sergio e Pier Luigi Loro Piana sono convinti che grazie all’arrivo di Lvmh si creeranno notevoli sinergie capaci di dare al marchio una spinta in più, creando più occupazione e più posti di lavoro.
Perché dopo sei generazioni avete deciso di passare la mano?
La scelta è stata determinata dal timing, dal fatto che nel mondo il numero di ricchi e di persone alla ricerca di un esperienza di benessere sta aumentando senza precedente ed è difficile correre a questi ritmi per un’azienda come la nostra che realizza qualità senza compromessi. Ci siamo resi conto che avevamo un opportunità, ovvero il mercato che cresce, ma anche delle responsabilità nei confronti di un mondo inasprito dalla competizione. E così dopo anni che respingiamo tutte le offerte, per la prima volta abbiamo esaminato quella della famiglia Arnault, che come noi condivide tanti valori e che ha dimostrato con altre acquisizioni di grandi aziende come Bulgari o di realtà più piccole come Acqua di Parma, di saper creare valore senza snaturare le radici di un marchio.
Ma non c’era una settima generazione in caso di farlo?
In asse diretto abbiamo otto eredi, ma non è questo il punto. Lvmh ci ha rapprsentato una prospettiva migliore per Loro Piana, da cui l’azienda che non aveva bisogno, sarebbe uscita rafforzata. Insieme a Lvmh si crereanno importanti sinergie, basta pensare al segmento tessuti che rappresenta circa un terzo del nostro fatturato e che da domani potrà contribuire a tutti i marchi del gruppo. Ci sarà inoltre un supporto in più sulla distribuzione, sulla comunicazione e su tanti aspetti, senza che i nostri clienti si accorgano della differenza e senza intaccare con l’aumento delle produzione la qualità del nostro prodotto.
La notizia ha sorpreso tutti, nessuno se l’aspettava...
Perché è stata una trattativa veloce, c’è stato fin da subito grande sintonia su tutto e in meno di un mese abbiamo chiuso l’operazione. Arnault ha una visione e una capacità di intuire il dettaglio in cui ci siamo ritrovati, e tutto è diventato più facile.
Arnault ha persuaso i Loro Piana, ma non è riuscito a fare breccia con i Dumas di Hermes, come mai?
A questa domanda non sappiamo rispondere, la nostra esperienza con la famiglia Arnault è stata molto positiva e anche per l’Italia questa sarà un operazione positiva perché si crereanno più posti di lavoro e più impiego in azienda.
Ma non è che in Francia sono più bravi a fare sistema e a difendere i loro marchi?
Direi che è Lvmh, che è il colosso mondiale del lusso, è il campione nel fare sistema e nell’integrare tanti marchi molto diversi tra di loro. per questo direi che i francesi sono più bravi degli italiani. Nessun gruppo italiano ha offerto a Loro Piano le potenzialità di Lvmh, e non mi riferisco alla cifra, ma alle prospettive.
E voi cosa farete con due miliardi, nuova industria una seconda Loro Piana?
Se avessimo voluto fare una seconda Loro Piana, non avremmo venduto la prima. Quello che è stato creato in tante generazioni non si può rifare dall’oggi all’indomani. Finora abbiamo solo e sempre pensato alla nostra azienda, ora dovremo trovare come reinvestire anche in altro, insieme ai nostri figli e alla nostra famiglia.
(08 luglio 2013)

REPUBBLICA.IT
MILANO - Questi le società del made in Italy passate in mano straniera negli ultimi anni.
Fendi. Insieme a Patrizio Bertelli di Prada, Arnault rielva il 51% del marchio Fendi, dall’omonima famiglia romana, valutando l’intero gruppo una pari a cifra mezzo miliardo di euro.
Pucci. Il gruppo Lvmh acquista Emilio Pucci, senza rendere noti i termini dell’operazione. La figlia di Arnault Delphine, per anni si è dedicata al rilancio del marchio
Gucci. Dopo una battaglia tra Lvmh e Ppr, oggi Kering, prima del crollo delle Torri Gemelle Pinault sigla un accordo con Domenico De Sole per lanciare un’Opa da 7 miliardi a partire dal 2004. Gucci ha poi rilevato il marchio della ceramica fiorentino Richard Ginori.
Safilo. Il debito contratto per liquidare i fratelli obbliga Guglielmo Tabacchi a chiedere l’aiuto di nuovi soci e con 250 milioni arriva il fondo Hal che fa capo alla famiglia di armatori olandesi
Bulgari. La famiglia Bulgari vende a Lvmh le sue quote di maggioranza ad Arnault che lancia un’Opa da 4 miliardi e pagando anche in azioni del gruppo francese i fratelli Paolo e Nicola Bulgari
Brioni. Kering, il colosso guidato da Francois Henri Pinault acquista il 100% del marchio di abbigliamento di lusso spendendo, debiti compresi, circa 300 milioni di euro
Valentino. La famiglia dell’emiro del Qatar Al-Thani a titolo personale rileva dai Marzotto e dal fondo Permira il controllo del 100% di Valentino, valutando al griffe una cifra di circa 650 milioni
Pomellato. Dopo che Lvmh ha rilevato Bulgari, anche Kering punta sui gioielli italiani e lo fa rilevando la maggioranza di Pomellato per un prezzo che debiti compresi è di circa 380 milioni
Loro Piana. Bernard Arnault stacca un assegno da 2 miliardi per la famiglia Loro Piana, somma che sottintende una valutazione dell’intero gruppo di 2,7 miliardi debiti compresi
(08 luglio 2013)

CORRIERE.IT
MILANO – Di fronte a certe cifre è difficile dire di no. E, così, anche Loro Piana è diventata di proprietà francese. Lvmh, il colosso del lusso che fa capo a Bernard Arnault, ieri pomeriggio ha annunciato di aver raggiunto l’accordo per acquistare l’80% della società di Quarona Sesia, in provincia di Vercelli, famosa per il cachemire. Prezzo: 2,160 miliardi di euro. Significa che Lvmh ha valutato 2,7 miliardi di euro l’intero gruppo che nel 2012 ha realizzato 626,6 milioni di euro di ricavi consolidati, 123 milioni di margine operativo lordo e 65,7 milioni di utile netto. Una valutazione pari a 22 volte il margine operativo lordo. Nel 2013 i ricavi dovrebbero salire a 700 milioni.
Pier Luigi e Sergio Loro Piana mantengono la guida dell’azienda e anche una partecipazione del 20%, sulla quale c’è però una opzione put di tre anni. Esce, invece, la sorella Lucia, che ha ceduto tutta la sua quota.
«La nostra famiglia è fiera di associare oggi il suo nome a Lvmh», hanno dichiarato Pier Luigi e Sergio Loro Piana. «E’ una società rara — ha detto a sua volta Arnault —. Rara per la qualità unica dei suoi prodotti, in particolare i suoi prodotti tessili in cachemire, e rara per le radici familiari che risalgono a sei generazioni. Sono molto contento che Sergio e Pier Luigi Loro Piana ritengano che il nostro gruppo sia il migliore per assicurare il futuro della società Loro Piana. Condividiamo gli stessi valori, sia familiari che aziendali, la ricerca permanente della qualità e sono convinto che il nostro gruppo possa apportare un forte contributo al futuro della Loro Piana che possiede grandi potenzialità».
La famiglia Loro Piana è stata assistita dallo studio Chiomenti, il gruppo Lvmh dallo studio Bonelli Erede Pappalardo.
La notizia della vendita del gruppo piemontese ha colpito molto il mondo della moda e dell’impresa. E non solo perché va a ingrossare le fila dei marchi italiani passati in mani estere, e in particolare francesi, già molto nutrita. Ma anche per la storia dell’azienda e per il ruolo svolto dalla famiglia all’interno delle istituzioni del tessile e moda: Pier Luigi Loro Piana è presidente di Ideabiella ed è stato presidente di Milano Unica, il Salone del tessile italiano, nel cui comitato di presidenza siede ancora oggi, mentre Sergio è appena entrato nel consiglio direttivo della Cnmi-Camera nazionale della moda, parte di un progetto di rilancio del ruolo dell’Italia nella moda mondiale.
E così Mario Boselli, presidente della Cnmi, dice di essere rimasto «molto sorpreso» della notizia. Ma poi «si consola» sottolineando che «certamente si preferirebbe che i marchi rimanessero italiani, ma i francesi, con le operazioni che hanno fatto in Italia, sono stati fedeli alle origini del made in Italy, in qualche caso più rigorosamente di alcuni nostri imprenditori». Secondo Claudio Marenzi, presidente di Smi, l’organizzazione confindustriale della moda, questa «è l’ulteriore conferma del valore di cui gode il made in Italy nel mondo, su cui andrebbe fatta un’approfondita riflessione da parte di tutti coloro che hanno a cuore il futuro della nostra industria manifatturiera. Le alleanze strategiche finanziarie possono avere respiro internazionale, l’importante è che le competenze rimangano in Italia».
Nei giorni scorsi Lvmh, che in Italia possiede brand del calibro di Bulgari, Fendi, Pucci e Acqua di Parma, aveva annunciato l’acquisto delle Pasticcerie Cova, contese anche da Prada. In Italia è molto attivo pure l’altro colosso francese, Kering/Ppr della famiglia Pinault, che possiede nomi come Gucci, Bottega Veneta, Brioni e Pomellato, oltre a Richard Ginori (attraverso Gucci). Valentino è divenuto proprietà del Qatar, che ha anche l’hotel Baglioni, la Costa Smeralda e il 40% del progetto immobiliare milanese Porta Nuova.
Maria Silvia Sacchi

CORRIERE.IT
Chissà di che cosa si sarà innamorato monsieur Bernard Arnault, prima di questo suo ennesimo shopping italiano. Delle fibre ultrapreziose di lana che più leggere non si può? Di quei maestosi plaid, rassicuranti coperte di Linus per insicuri con chalet a Gstaad? Il morbido menu di Loro Piana è talmente ricco da poter stupire e sorprendere anche un navigato tycoon del lusso come lui. Non a caso se l’è comprato.

Ma, al di là del catalogo e dei costosi modi per togliersi i capricci di qualsiasi stagione e a qualsiasi latitudine, Loro Piana è entrato nella storia del costume per come ha saputo cambiare il modo di vestire maschile. Soprattutto quello formale. Fino a un certo momento, nei consigli di amministrazione, nei templi della finanza, nelle istituzioni, gli uomini hanno indossato abiti di flanella, lane pettinate, principi di galles, gessati, ma sempre corposi soprabiti. Fino a quando è arrivata la grisaglia di Tasmanian: una lana leggera ma sufficientemente calda o fresca, che ha distrutto il sacro dogma della stagionalità. Almeno nel vestito. All’inizio gli ortodossi dell’english style, tutto tweed e velluti a coste , sono rimasti un po’ perplessi. Quel nuovo tessuto sottile e svolazzante sulle scarpe e negli spacchi delle giacche, quanto le vecchie flanelle cadevano a piombo, mostrava una faccia fin troppo nuova. Ed è noto come un certo strato professionale maschile non si sia mai segnalato, anche nel guardaroba, per propensioni rivoluzionarie. Poi piano piano il nuovo verbo, complice l’effetto serra globale e la climatizzazione nei posti di lavoro, con tepori primaverili pure a gennaio e febbraio, si è imposto anche fra i più riottosi. Una volta indossato da Marco Tronchetti Provera, Guido Barilla, Alessandro Profumo e compagnia, il Tasmanian (nome brevettato dall’azienda piemontese) e le stoffe leggere prodotte da altri grandi lanifici, hanno avuto via libera. Loro Piana, un doppio cognome ma pure una doppia anima ben rappresentata dai due fratelli che hanno ceduto ad Arnault. Sergio, cultore del doppiopetto vintage e dei cavalli, è il piemontese più devoto al mito fitzgeraldiano del Grande Gatsby. Pier Luigi è invece la metà della medaglia più sportiva, appassionato di vela e ottimo marinaio al timone del suo «Out of the Blue». Quanti record hanno portato nel biellese i due fratelli per filati extra-tutto, ricavati da pecore pascolanti ad altitudini da scuola di sopravvivenza? Moltissimi. Cachemire, vicuña e altre morbidezze stratosferiche da cui poter ricavare soltanto pochi capi per clienti soddisfatti di accarezzarsi con tanta grazia. Fitzgeraldiani anche in passatempi e accessori come gli scacchi intarsiati di legno su scacchiere cachemirate, o gli occhiali con lenti studiate per i piloti degli alianti. Si potrebbe continuare con i giacconi setosi o falsamente ruvidi, quelli che nascondono all’interno visoni e cincillà o che neutralizzano vento, acqua e altre calamità meteo. Tutte cose che Arnault si è segnato pazientemente sul suo ricchissimo taccuino.

FRANCESCA BASSO CORRIERE DI STAMATTINA
MILANO — A riassumere l’incursione del colosso francese del lusso Lvmh (Louis Vuitton) nel cuore del Piemonte e del Made in Italy è Pier Luigi Loro Piana, presidente e amministratore delegato dell’azienda di famiglia, passata per oltre 2 miliardi in mani straniere: «Primo: la visione di lungo termine ci ha fatto avvicinare ad Arnault. Secondo: è un investimento importante. Terzo: ci ha dato garanzie per la nostra gente». Tutto il resto, è polemica.
«Parlare ancora di Francia e Italia è una prospettiva da sotto il Campanile. È un non problema: l’azienda è e rimane italiana, mentre la capacità organizzativa ora sarà francese», prosegue Sergio Loro Piana, vice presidente e anche lui amministratore delegato. I due fratelli, che si alternano al vertice, sono a capo dell’azienda di famiglia dagli anni Settanta, l’hanno fatta crescere e diventare uno dei più importanti marchi al mondo per la lavorazione del cachemire e delle lane pregiate. Ora hanno deciso la svolta, cedere la partecipazione di maggioranza a Lvmh, conservando il 20% e le loro funzioni alla guida dell’azienda. Per i “signori della lana” è una questione di «comunanza di vedute» e non di nazionalità: «Il gruppo Lvmh è noto per il rispetto che ha delle peculiarità e dell’identità dei marchi che acquisiscono».
Perciò nessuno stupore se un’azienda simbolo del Made in Italy, fondata nel 1924 e in ottima salute, passa ai francesi. «Per capire perché un’azienda profittevole, che genera cassa e che apparentemente non ha bisogno di fondi, prenda una simile decisione — spiega Sergio Loro Piana — bisogna pensare a com’è cambiata la piramide del lusso negli ultimi anni: il mercato dei ricchi con esperienza di ricchezza, che sono stufi dei soli loghi. La dimensione, per un’azienda come la nostra che ha l’ambizione di essere leader mondiale, è un fattore chiave». Ma era proprio necessario rivolgersi ai francesi, che negli ultimi anni stanno facendo indisturbati shopping dei migliori marchi italiani? «Ogni azienda ha storia a sé – prosegue Sergio Loro Piana – e non si possono fare paragoni. Il gruppo Lvmh è noto per le sinergie che sa mettere in atto, perché sa attrarre talenti e mantenere l’identità dei marchi. È fondamentale per il nostro nome poter aspirare a essere il numero uno italiano nel mondo: siamo andati a chiedere a chi poteva realizzarlo. L’azienda però resta italiana».
Per i fratelli Loro Piana bisogna guardare avanti e fronteggiare le nuove sfide della globalizzazione. Il risultato dell’operazione è che «ci sarà uno sviluppo più rapido della marca — continua il vicepresidente — in modo più coordinato in certi mercati, non solo in Cina ma in tutta l’area del Pacifico, senza trascurare il Sud America, il Messico e gli Stati Uniti che offrono ancora grosse possibilità di sviluppo. E poi sul tessile, grazie alle nostre caratteristiche tecnico-qualitative, ci sarà una sinergia di gruppo con i marchi di Lvmh. Ci auguriamo, perciò, per l’azienda uno sviluppo in termini di posti di lavoro e di investimenti nella regione». Un aspetto importante quest’ultimo, come sottolinea Pier Luigi Loro Piana: «Le imprese sono fatte da uomini. Non abbiamo deciso finché non ci siamo convinti che questa operazione voleva anche dire opportunità per la nostra gente, per chi lavora con noi». La scelta di mettersi in affari con Bernard Arnault nasce da «una condivisione di valori: è stato un confronto diretto con un imprenditore che parla la nostra stessa lingua, con chiarezza e semplicità, poca forma e molta sostanza».
Francesca Basso

CORRIERE.IT
Il mercato dei bond ha accolto con successo l’emissione da 500 milioni di Kering (ex Ppr), il colosso francese del lusso che in Italia controlla i marchi Gucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi e di recente ha completato l’acquisizione di Pomellato. Il gruppo controllato da François-Henri Pinault
ha avuto per il suo bond settennale offerte pari a 4,5 miliardi di euro, praticamente nove volte il valore dell’emissione. Di conseguenza i rendimenti si sono molto ridotti, con un premio offerto ai sottoscrittori di soli 98 punti base a fronte dei 105-110 area previsti inizialmente. Il bond di Kering, scadenza 15 luglio 2020, sarà quotato in Lussemburgo e paga una cedola secca del 2,5%. Le banche che hanno curato l’operazione (lanciata nell’ambito del programma di medio termine dell’emittente), sono state Banca Imi, Crédit Agricole Cib, Commerzbank, Natixis, Rbs, e Société Générale Cib. Il bond è stato piazzato soprattutto in Francia (29%), Gran Bretagna (28%), Germania e Austria (27%), Benelux (7%) e Svizzera (4%).

LA STAMPA STAMATTINA
È un vero colpo di scena l’operazione che il colosso francese Lvmh ha chiuso con Loro Piana. Un «lavoro» perfetto che è stato orchestrato in poco più di un mese durante il quale la lungimiranza e la determinazione di due imprenditori valsesiani a voler continuare a dare un futuro al tessile italiano hanno prevalso sul sapore amaro che ha ogni cessione.
Se l’abito per un uomo è un simbolo indiscusso di stile e di eleganza, Loro Piana da sempre è un simbolo del lusso e del Made in Italy, è un sinonimo di passione, tramandata di generazione in generazione, di know how affinato nel tempo, di grandi orizzonti e di fibre pregiate. Una storia partita da trama e ordito che oggi è diventata un marchio a tutto tondo e che per continuare a crescere aveva bisogno di una svolta. L’avventura imprenditoriale che si è aggiudicata la Lvmh ha radici lontane e ha sempre tratto la sua forza e il suo vanto dalla capacità di tramandare il «saper fare» di lanaioli e di imprenditori di padre in figlio.
E mentre ancora fa discutere l’acquisizione di Cova, non è un caso che il gruppo francese si sia aggiudicato l’80% dell’azienda di Quarona, all’ombra del Monte Rosa, una delle griffe più quotate nel sistema tessile-moda italiano. L’operazione vale 2 miliardi di euro, e lascia ai fratelli Sergio e Pier Luigi Loro Piana (che manterranno le loro funzioni) una partecipazione del 20% nella società.
Saranno loro a garantire la continuità dei loro prodotti, ad accompagnare il brand Loro Piana (che ha chiuso il 2012 con ricavi pari a 630 milioni a cambi correnti contro l’anno precedente di 557 milioni), verso nuovi e più ambiziosi traguardi a bordo del transatlantico di Bernard Arnault.
Con un colpo da maestro il gruppo d’Oltralpe si è aggiudicato la «filiera», l’intero processo di lavoro che parte dalla fibra e arriva all’abito passando per il tessuto e la confezione, un tassello importante per «chiudere il cerchio» nel comparto del lusso italiano (le precedenti acquisizioni del resto fanno fede alla strategia: Bulgari, Acqua di Parma e Fendi). Dal canto suo Loro Piana ora avrà la certezza di assicurare lavoro e futuro agli oltre 2500 dipendenti e a quelli che andranno a integrare gli organici grazie alle nuove sinergie.
Loro Piana è ben di più di un marchio, è l’impronta della passione di una famiglia per i più alti standard di artigianalità e qualità. Prodotti e stoffe eccezionali, cachemire di cui Loro Piana è la prima azienda trasformatrice al mondo, vicuna e lane australiane finissime per cui l’azienda detiene record mondiali. Quello attuale è quello di 10,6 micron per la fibra prodotta da allevatori neozelandesi sostenuti dalla griffe. È la più fine della storia ed è conservata in cassaforte nella sede di Quarona.
In un momento in cui il manifatturiero è in affanno in tutto il mondo, sulla decisione di cedere ha pesato la possibilità di continuare a crescere, di aumentare dimensione e struttura, di raggiungere nuovi mercati giocando su numeri già favorevoli: una crescita del 13,1% nel 2012 che si consolida se affiancata a un altro dato significativo, un incremento degli organici di 174 unità (+7%) arrivati a quota 2533 (in Italia sono operative 1356 unità) e una rete di oltre 130 negozi esclusivi nel mondo per la distribuzione dei prodotti.
Analizzando i numeri nel dettaglio, la divisione Luxury goods ha raggiunto nel 2012 ricavi pari a 427 milioni (+ 17,1%). Il Retail (che rappresenta l’85% del fatturato di divisione e sul quale è stato fatto il maggior investimento pari a 38 milioni) salito del 18,3%, supportato da 7 nuove aperture e la chiusura di 5 punti vendita minori: la rete mondiale totalizza così 137 tra negozi monomarca e franchising oltre a un numero selezionato di negozi multimarca. L’export, che rappresenta l’85% del totale del fatturato, su tutti i principali mercati di riferimento ha chiuso con incrementi rilevanti rispetto all’anno precedente. In particolare l’America è cresciuta del 24%; la Greater China ha registrato ricavi in aumento del 35%; l’Europa (esclusa Italia) riporta un +15%.
"L’azienda conserva in cassaforte la lana più fine mai prodotta nella storia: 10,6 micron"

INTERVISTA DELLA STAMPA DI STAMATTIna
Sergio Loro Piana, assieme al fratello Pier Luigi, ha appena comunicato la cessione della maggioranza dell’azienda familiare al gruppo Lmvh. Il telefono non fa che squillare, loro spiegano le motivazioni di una decisione che definiscono «sfidante» e «ambiziosa».

Da anni si parla di marchibandiera del made in Italy che vengono corteggiati e poi rilevati da gruppi stranieri. Mai pensato che succedesse anche al vostro?

«Il discorso non va posto in questi termini, non è una cosa brutta. Noi abbiamo un’azienda che va bene, che ha vissuto grandi crescite e che ha accelerato le sue prese di posizione negli ultimi anni. Insomma, guadagniamo e ci autofinanziamo. Ma nel mondo del lusso, e intendo quello vero, non aspirazionale, il nostro marchio cresce; e cresce anche l’ambito competitivo dei paesi emergenti, e parallelamente aumentano i consumatori ricchi ai quali noi possiamo offrire ciò che abbiamo sempre offerto ai nostri consumatori “con esperienza di ricchezza”, e cioè l’altissima qualità, l’attenzione al dettaglio, al buon gusto, insomma quanto di più italiano si possa immaginare».

E tutto questo non si può proprio garantire restando italiani al 100%?

«Ripeto, noi non siamo affatto “piccoli”, ma siccome il nostro ha il potenziale per diventare “il” marchio della qualità, la dimensione è ormai il fattore chiave».

La vostra è un’azienda che conta già sei generazioni, basterà il vostro 20% perché il patrimonio familiare in termini di innovazione non si perda? Che rassicurazioni avete avuto?

«Ma l’azienda resta italiana, è la proprietà che va all’estero; e quest’ultima ha comunque dimostrato di sapere mantenere l’identità aziendale. Ci hanno chiesto di restare proprio per garantire tutto questo. La famiglia Arnault ha dato segni di capirlo molto bene, mi stupirebbe che intendesse fare qualcosa di diverso. Il suo è stato un investimento considerevole, credo che anch’essa voglia restare in quella fascia altissima che non è moda e non è nemmeno lusso aspirazionale…»

Quando sono iniziate le manovre di avvicinamento?

«Non più di un mese fa; la trattativa è stata chiara e lineare. Noi conoscevamo monsieur Arnault, lui conosceva noi perché in quel segmento siamo significativi».

Com’è stato trattare con Monsieur Arnault?

«Lo si immagina come un rider, invece è un fanatico del dettaglio, ci ha stupito per quanto conoscesse da vicino la produzione. Non a caso è il numero uno».

Avete pensato a come sarebbe stata accolta la notizia? Quali sono stati i primi commenti?

«Abbiamo ricevuto molte telefonate, ci dicono “bravi” perché hanno colto il fatto che noi restiamo».

Quindi alla fine è stata una decisione facile?

«È stata una decisione ambiziosa, sfidante, presa perché Loro Piana possa diventare il numero uno al mondo nella qualità e nel buon gusto, senza compromessi. E, soprattutto, una decisione presa solo dopo che ci siamo resi conto che dentro c’era il bene dell’azienda e della sua gente».

LA STAMPA
L’ acquisizione di Loro Piana da parte di Lvmh è un’ottima notizia per l’economia, ma l’ennesimo schiaffo ad un sistema-Paese che evidentemente non funziona. La «sintesi» dell’ultima conquista di quella campagna d’Italia che vede da ormai da quindici anni affrontarsi i due colossi francesi ma globali - Lvmh e Kering (ex Ppr) - è di Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia e imprenditorialità alla Sda-Bocconi.

La lunghezza dell’elenco è ormai imbarazzante e comprende marchi di tutte le misure e specializzazioni. Dalla milanesissima pasticceria Cova, in via Montenapoleone, alle ceramiche di Richard Ginori. Dai gioielli di Pomellato (Ppr) a quelli di Bulgari (Lvmh), da Gucci a Fendi, da Emilio Pucci a Bottega Veneta.

«Di primo acchito l’opinione è quella», concorda Riccardo Illy. Se i pezzi più pregiati del made in Italy finiscono in mano a capitali stranieri, il rischio di un impoverimento del sistema-Paese è concreto. Ma d’altra parte, dice gelido Illy, «il sistema-Paese non ha fatto nulla per impedirlo». Mancano capitali, certo. Mancano capacità manageriali adeguate, forse no, dato che la stessa Lvmh dopo aver acquisito Bulgari ha messo l’ad della casa italiana, Francesco Trapani, a capo della divisione gioielli e orologi di tutto il gruppo, che comprende marchi come Dior Watches, Chaumet o De Beers. Il modello Luis Vuitton Moët Hennessy proprio Illy lo conosce bene e in qualche misura lo sta replicando con successo nell’industria agroalimentare d’eccellenza, dal cacao Domori al tè Dammann. Che guarda caso è francese e rappresenta uno dei pochi casi di shopping italiano oltralpe. La forza dei francesi, spiega Illy, è proprio quella: lasciano in mano la gestione alla famiglia fondatrice che viene cooptata nel gruppo e non «mangiata». Forniscono capitali, management, acquisti centralizzati di pubblicità e gestione dei punti vendita monomarca. «Se devo dire se patriotticamente mi dà fastidio rispondo di no», dice ancora Carnevale Maffè. «I migliori casi di marchi familiari non possono che andare in questa direzione». Anche perché «il settore del lusso richiede capitali ingenti per gestire la complessità delle operazioni di crescita sui nuovi mercati». Capitali che evidentemente scarseggiano, insieme a tante altre carenze «di sistema», appunto. Ancora Carnevale Maffè: «Pensiamo alla tutela della proprietà intellettuale: in Italia servono 1400 giorni per un giudizio. Un tempo immenso. Se lavoro nel settore della moda, perdo otto collezioni».

«Con il nostro gruppo - dice ancora Illy - siamo presenti in molti paesi e posso dirle che non esiste in nessun altro posto una burocrazia come la nostra». E racconta un episodio emblematico: «A Montalcino, per impiantare una nuova vigna di Brunello, abbiamo dovuto fare una prova sismologica. Risultato: abbiamo perso una stagione per verificare quanti danni avrebbe fatto il crollo delle viti in seguito a un terremoto». Però quello dell’inefficienza pubblica sarà un problema anche per i francesi, da domani. Vero solo in parte, dice ancora Illy: «Lvmh fornirà capitali a Loro

Piana finanziandosi in Francia e pagando un premio sullo spread francese, molto più basso di quello italiano e pagando quindi il denaro molto meno di quello che avrebbe pagato una Loro Piana “italiana”. Di chi è la colpa? non certo degli imprenditori. Piuttosto, di una classe politica che ha fatto poco o nulla per evitare questo stato di cose».

Il rischio maggiore, spiega Carnevale Maffè, è che la filiera produttiva che sta dietro a Loro Piana non riesca a cogliere l’opportunità e si trovi tagliata fuori. Un rischio scongiurato dai fornitori di Gucci o di Bottega Veneta, ad esempio. Che proprio grazie all’alleanza con un grande gruppo hanno trasformato le eccellenze produttive in nicchie di mercato globali.

Certo resta ancora il rammarico di un Made in Italy terra di conquista, senza che nessun gruppo italiano abbia saputo aggregare intorno a sé altri marchi e eccellenze del lusso e della moda. La domanda che veniva alla mente leggendo le parole pronunciate da Trapani due anni fa. Annunciando l’acquisizione di Bulgari da parte ancora di Lvmh dichiarò: «Volevamo un polo italiano ma nessuno ci ha risposto. Tutti hanno preferito tenere il controllo anche a costo, magari, di avere dei problemi». Domande rimaste ancora senza risposta.
"miliardi"
220 MILIARDI
"Tanto vale il mercato mondiale del lusso trainato da Cina, India, Brasile. Nel 2015 potrebbe superare i 250 miliardi"
"L’IMPRENDITORE"
"Illy: «Siamo presenti in molti Paesi, nessuno ha tanta burocrazia»"
"IL DOCENTE DELLA BOCCONI"
"Maffè: «I migliori marchi familiari non possono che andare in questa direzione»"