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 2013  luglio 09 Martedì calendario

ALTRO CHE ISLAM E PETROLIO: IN MALI È IN GIOCO L’EGEMONIA NEL SAHEL


[Mamadou SAMAKÉ, professore all’università di Bamako; Ahmed EL KHOBRI, giornalista; Mohamed AG ERLAF, politico; Mariam DJIBRILLA MAIGA, scrittrice; Shaikh Mahmoud DICÒ, presidente dell’Alto Consiglio islamico del Mali; Martin A. BROUWER, già ambasciatore dei Paesi Bassi in Mali.]

LIMES Cosa significa, oggi, essere maliano?
SAMAKÉ Per me significa soprattutto essere un patriota e un uomo di fede. «Un popolo, un obiettivo, una fede»; così recita il nostro motto nazionale. Meglio morire che provare vergogna. Dobbiamo recuperare i nostri valori fondativi: il coraggio, la rettitudine, lo spirito combattivo. Valori che oggi abbiamo smarrito.
EL KHOBRI Per me significa essere un arabo del Nord. Sono nato e cresciuto a Timbuctù, da madre e padre di origini marocchine, discendenti della comunità araba venuta in Mali durante l’arabizzazione dell’Africa. Appartengo a quella generazione di maliani che non ha conosciuto la distinzione fra nero e bianco, fra sonrahi, arabo e tamashek. Credo che chi è nato a Timbuctù rimarrà sempre di Timbuctù. La nostra città appartiene al Mali dalla notte dei tempi: non posso avere altra patria che il Mali.
AG ERLAF Mi sono chiesto spesso se sono prima un tuareg o un maliano. Sono molto fiero di essere maliano: ho avuto l’opportunità di prendere altre nazionalità, come quella francese, ma ho rifiutato. Nutro un attaccamento profondo a questo paese, che mi ha dato tutto e a cui credo di aver dato tutto. Eppure, mi sento un tuareg del Nord, della provincia di Tessalit.
DJIBRILLA MAIGA Sono maliana, anche io originaria del Nord. L’attaccamento alla patria è un sentimento molto forte per me. Oggi, però, non ci sentiamo più maliani. Il senso di appartenenza nazionale, fino a ieri pilastro del nostro essere, è messo a dura prova dall’umiliazione di essere stati attaccati dai nostri fratelli. I ribelli tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) sono nostri fratelli, maliani come noi. Abbiamo vissuto insieme per millenni e ora non capiamo cosa li spinga a distruggere, saccheggiare e umiliare il Nord del nostro paese. Non sono più fiera di essere maliana oggi. Anzi me ne vergogno, al punto che non riesco più a guardare la gente negli occhi quando cammino per strada.
DICÒ Anch’io sono preoccupato da quello che succede nel mio paese, ma ciò nonostante resto felice di essere maliano e africano. In quanto nato e cresciuto nella regione di Timbuctù, sono ancora più toccato da quanto sta succedendo nel Nord.
LIMES Cos’è cambiato in Mali dopo il colpo di Stato militare del 22 marzo scorso?
BROUWER Vent’anni fa la società maliana era attraversata da dinamiche interessanti, di natura sia politica sia socioeconomica. Dopo la rivoluzione di Amadou Toumani Touré e l’avvento della democrazia, molti guardavano al Mali come a un esempio di stabilità in una regione problematica. Quest’anno ci siamo resi conto del fatto che la democrazia altro non era che una facciata: il sistema è collassato all’improvviso. Se guardiamo agli obiettivi che i golpisti si sono proposti – governance, stabilità, sicurezza, diritti umani, lotta alla corruzione e al nepotismo – la loro azione è stata un completo fallimento. Anzi, forse le cose vanno anche peggio di prima. Comunque è stato un momento alto per la popolazione maliana, che ha capito che una finta democrazia non le avrebbe dato più nulla. Il danno procurato è grande, ma mi sento di dire che, in prospettiva, potrebbe esserne valsa la pena, se i maliani prenderanno finalmente in mano il loro destino.
SAMAKÉ È vero, il colpo di Stato ha in parte liberato il popolo maliano. Molti prima accusavano il potere costituito di essere corrotto, nepotista. Negli ultimi tempi il lassismo istituzionale era tale da profilare lo spettro dell’anarchia e la sicurezza era fortemente minacciata dalla crisi del Nord. L’articolo 118 della costituzione del 25 febbraio 1992 definisce l’integrità del territorio come uno dei pilastri della nostra repubblica. La brusca sospensione delle riforme in corso era dunque necessaria per riconquistare l’integrità nazionale e riprendere il cammino rivoluzionario iniziato nel 1991. E poi nella popolazione c’era una forte volontà di cambiamento. Ma purtroppo il colpo di Stato, che avrebbe potuto sollecitare i passaggi necessari alla maturazione della Repubblica maliana, ne ha invece interrotto il cammino. Fino ad oggi la promessa di cambiamento, di un nuovo corso istituzionale, non è stata mantenuta dal capitano Sanogo e dal nuovo governo. Aspettiamo nuove elezioni, ma prima bisogna riconquistare il territorio del Nord. Dovranno essere le elezioni di tutto il popolo maliano, non solo di una parte.
EL KHOBRI Il colpo di Stato ha portato solo frustrazione. Il ritorno all’ordine costituzionale è solo una messa in scena: non è un segreto per nessuno che il presidente della Repubblica ad interim non guida il paese e che il primo ministro non ha veri poteri. Il presidente Diocounda Traoré non è stato eletto dal popolo, non ha legittimità. Questa confusione istituzionale ha portato a un potere politico tricefalo: il presidente va in una direzione, il primo ministro in un’altra e chi detiene veramente il potere sono i sottufficiali golpisti, che non sono nemmeno colonnelli. Con i graduati ti puoi sedere a un tavolo e parlare, guardarli in faccia e discutere, ma questi sono giovanotti senza esperienza, drogati e ubriachi. Non sappiamo neanche bene chi siano: ad oggi non si conoscono ancora i nomi di chi ha guidato il golpe. Conosciamo solo Konaré e Sanogo, che tirano le fila del paese nascosti nella loro base di Kati. Non esiste una nuova classe politica. La politica oggi in Mali è in mano a militari incompetenti.
AG ERLAF Ma che golpe, non c’è stato alcun colpo di Stato in Mali. Si è trattato semplicemente di un ammutinamento interno all’esercito, che ha costretto Touré a dimettersi. E poi non credo che tutti i problemi del Mali siano arrivati il marzo scorso. L’origine della crisi sta in un insieme di minacce ai valori nazionali che non sono state affrontate a dovere in passato. Tutto il male di oggi viene dal malgoverno di Touré, sommatesi ai conflitti interni all’islam.
DJIBRILLA MAIGA Sono d’accordo. Per noi maliani non si è trattato di un colpo di Stato, ma di un ammutinamento: un piccolo gruppo di soldati che, vedendo l’esercito umiliato, ha chiesto al presidente della Repubblica di fornirgli i mezzi per poter combattere al Nord. Promessa mai mantenuta. È stato allora che hanno marciato su Koulouba, la residenza di Touré. Basta guardare la facilità con cui hanno deposto il presidente e l’approvazione della maggioranza dei maliani per capire che non si è trattato di un golpe. Ci sentivamo mutilati del nostro esercito e umiliati per questo. Touré e Alpha Omar Konaré hanno tradito il Mali. Sono loro che, pur dicendosi democratici, hanno indebolito l’esercito maliano, introdotto la corruzione, il malgoverno e il nepotismo all’unico fine di arricchirsi.
EL KHOBRI Touré non è il male assoluto; lui giunse al potere nel 1991 con un progetto politico ben preciso. Aveva dietro ampie fasce della società civile: avvocati, professionisti, intellettuali, che coinvolse per costruire il nuovo Mali. Al contrario, i «nuovi politici» odierni non hanno alcuna visione. Non è vero, come dicono in molti, che Touré è durato troppo al potere. Ha fatto due mandati. Ma se anche fosse vero, che senso ha deporre con la forza un presidente che dopo un mese avrebbe lasciato il potere e organizzato nuove elezioni?
DJIBRILLA MAIGA Touré non avrebbe lasciato il potere quaranta giorni dopo. Preparava una crisi per poter restare in sella. All’ultimo avrebbe detto che le elezioni non sarebbero state possibili e avrebbe proclamato lo stato d’emergenza, per prolungare la transizione e permettere la creazione dello Stato tuareg dell’Azawad. Questo era Touré, un traditore,
DICÒ Un paese che ha subito un colpo di Stato militare e l’occupazione di metà del proprio territorio cambia per forza. Forse oggi gli effetti positivi del cambiamento non si vedono ancora, ma occorre avere pazienza. Presto tutta la popolazione capirà che ne è valsa la pena.
LIMES Qual è il ruolo della religione nella crisi maliana?
BROUWER È dal tempo dei tre grandi imperi che la religione svolge un ruolo determinante in Mali, anche nella politica. In questo paese oltre il 95% della popolazione è musulmana. L’islam, attraverso le sue guide spirituali, consiglia la politica e incita al buon governo. Oggi più che mai.
SAMAKÉ La componente islamica, preponderante nella società, rivendica da anni la rappresentanza dei propri princìpi all’interno dello Stato maliano. Grandi battaglie sono state fatte da gruppi islamisti per inserire precetti coranici nel codice della famiglia, che permette la poligamia, anche se la Repubblica del Mali, come dice la costituzione del 1992, è laica e fondata sulla libertà di culto.
DICÒ L’islam è come un albero con molti rami. Non c’è conflitto, ma convivenza. C’è unità nella diversità delle varie correnti musulmane presenti in Mali. Prendiamo ad esempio il sufismo e il wahhabismo: pur non condividendo molti punti di vista sull’interpretazione della religione, convivono serenamente e rappresentano un blocco comune.
DJIBRILLA MAIGA Non è vero. I sufi, che sono i più numerosi e tolleranti, sono sottorappresentati nelle discussioni interconfessionali e nelle associazioni che raggruppano i vari culti dell’islam presenti in Mali, come l’Alto consiglio islamico. Ci siamo posti molte domande sulle relazioni fra certi elementi dell’Alto consiglio, a prevalenza wahhabita, e i gruppi terroristici del Nord. La società civile è molto preoccupata per le prospettive future del conflitto interreligioso che si profila in Mali. Qui siamo abituati a un islam tollerante e non violento. Siamo africani, non arabi. Oggi ci vorrebbe un governo forte, che provveda al coordinamento e al controllo dei diversi culti, per evitare infiltrazioni terroristiche.
AG ERLAF È vero. Le differenze di culto in Mali stanno diventando sempre più un problema sociale, che andrebbe urgentemente affrontato. L’estremismo religioso, nell’accezione qaidista di Aqim e del Mujao, è presente nel Nord da almeno una decina d’anni. Ansar al-Din, che sta cercando d’imporre la shari’a come fonte primaria del diritto in Mali, è una nuova faccia di un vecchio problema. Questi tre gruppi ribelli pongono diversi problemi alla pratica dell’islam nel nostro paese, volendone cambiare i tratti tradizionali.
EL KHOBRI Certo, l’islam praticato dagli integralisti del Nord è ben diverso dal tollerante e maggioritario culto malikita. Ma a Bamako e in tutto il Mali i conservatori wahhabiti sono sempre di più ed è questo che ci spaventa. C’è un’infiltrazione reale del terrorismo di matrice islamica nel conflitto interreligioso fra wahhabiti, salafiti e sufi. Questo è molto pericoloso a lungo termine, perché mette in discussione la molteplicità di culti e di fedi da sempre presente nel nostro paese. Il vento estremista non arriva solo da Algeria, Nordafrica e Penisola arabica; soffia anche da sud, da Burkina Faso, Costa d’Avorio e Senegal.
BROUWER Oggi c’è chiaramente un conflitto interreligioso all’interno dell’islam, che interessa anche la società maliana. L’antagonismo fra wahhabiti e sufi cresce da anni. Ma il vero problema è che alcune frange radicali del wahhabismo si stanno pericolosamente avvicinando al salafismo. L’Alto consiglio islamico, ad esempio, è controllato in gran parte da gruppi wahhabiti di cui non si sa con certezza quanto siano vicini ai gruppi salafiti. La comunità sufi, pur essendo maggioritaria nella società, non ha sponsor né fondi per influenzare il voto in seno all’Alto consiglio islamico, a differenza del wahhabismo. Quello che vediamo oggi nella comunità religiosa maliana è una pericolosa lotta per l’accaparramento delle risorse economiche e politiche. Tutto in Mali ha a che fare coi soldi, anche la religione.
DICÒ Lo ripeto: in Mali non c’è e non c’è mai stato alcun conflitto fra le comunità musulmane, sebbene il 60-80% dei maliani sia malikita. La prova è che nell’Alto consiglio islamico sono rappresentate tutte le tendenze islamiche del paese, nessuna esclusa. Chi distrugge i mausolei sufi al Nord non è maliano, è gente venuta da fuori. In Mali nessuno ha mai distrutto una tomba. Tutte le credenze qui sono rispettate. I problemi attuali non hanno nulla a che fare con un conflitto interno all’islam. Quello che imperversa oggi nel Nord non è vero islam, né vera shari’a. Sono trafficanti di droga e uomini, criminalità organizzata transfrontaliera che sta portando avanti una guerra psicologica per provocare deliberatamente l’opinione pubblica maliana, regionale e internazionale.
LIMES Quali sono, secondo voi, gli interessi degli attori esterni nella crisi del Mali?
EL KHOBRI Il Mali, come il vicino Niger, trabocca di risorse energetiche, come gas, uranio e petrolio. Come ha detto il presidente dell’Assemblea nazionale all’inaugurazione della sessione parlamentare di quest’anno, dietro a tutti i problemi del Mali ci sono le mire geostrategiche ed economiche sulle nostre risorse.
DICÒ Se in Mali c’è il petrolio, non l’abbiamo ancora visto. Credo che l’interesse attorno al Mali sia giustificato dal fatto che il nostro paese si trova nella grande zona franca che oggi è la striscia sahelo-sahariana, la porta del Sahara e dell’Africa che tutti ambiscono a controllare. Chi si vuole presentare come campione della sicurezza mondiale o regionale, come Stati Uniti e Francia, non può starne fuori.
BROUWER Non credo che il petrolio sia un fattore determinante della crisi in Mali. In futuro le risorse del sottosuolo potrebbero giocare un ruolo, ma non penso che siano state un elemento scatenante della crisi.
SAMAKÉ Secondo me, invece, la vera partita che si sta giocando sulla nostra pelle è quella fra occidentalizzazione e islamizzazione. È uno scontro tra influenze culturali ed economiche.
LIMES Qual è, in particolare, il ruolo degli Stati Uniti?
DICÒ L’America è determinata a non perdere il proprio dominio militare e culturale nel mondo. Porterà qui guerra e morte, come ha già fatto altrove.
SAMAKÉ Washington vorrebbe prima le elezioni, poi la risoluzione del problema del Nord. Ma se votassimo ora, senza metà del paese, sarebbero elezioni non valide, né rappresentative. Gli Usa fingono di volerci aiutare, ma in realtà vogliono dividerci ancor di più e trasformare il Nord del Mali in una grande base militare, per controllare i paesi arabi e difendere Israele.
EL KHOBRI Secondo me, invece, stanno cercando di contenere l’ascesa della Cina, che negli ultimi anni è arrivata in Africa dando fastidio alle potenze occidentali.
BROUWER Gli Stati Uniti hanno interessi ovunque nel mondo. Non credo che quello verso il Mali sia più grande che in altre zone. L’agenda americana in questo paese risponde alla dottrina della democrazia come vettore di sviluppo ed è subordinata alla guerra al terrorismo internazionale. Sono convinto che non si vedano come l’attore principale qui.
LIMES E la Francia?
DICO La Francia è per noi l’ex potenza coloniale. Ci sono dei legami storici, condividiamo la stessa lingua. È difficile che il Mali si possa sbarazzare dell’incombente presenza francese. In un modo o nell’altro, le vicende che ci riguardano vedranno sempre come protagonista esterno principale la Francia.
SAMAKÉ Parigi tenta di mantenere una posizione egemonica nella regione, in perfetta coerenza con il suo passato coloniale, cercando di contenere le ambizioni di Qatar e Algeria. Sarkozy o Hollande, la musica non cambia.
DJIBRILLA MAIGA La Francia sostiene l’Mnla e le sue velleità indipendentiste, come la creazione dello Stato dell’Azawad. Il quartier generale dell’Mnla è a Parigi, da dove le menti della rivolta tuareg dirigono le mosse dei loro fratelli armati in Mali e costituiscono ormai una lobby politica molto influente.
BROUWER La Francia ritiene che al-Qa’ida nel Maghreb islamico (Aqim) sia il maggior pericolo per la sicurezza regionale e probabilmente ha ragione. Sono loro i veri nemici, mentre con gli altri – l’Mnla e tutti i gruppi che saranno disposti a prendere le distanze da Aqim – si potrà dialogare. Ma essendo l’ex potenza coloniale della zona ed essendo così esplicitamente interventista, si presta a forti critiche. Soprattutto da parte dell’Algeria, suo concorrente diretto per l’egemonia regionale.
LIMES Quello tra Algeria e terrorismo è un rapporto delicato e, per molti aspetti, ambiguo.
DJIBRILLA MAIGA L’Algeria è la chiave per comprendere quello che sta succedendo oggi in Mali. Aqim viene dall’Algeria, che ha interesse a mantenere una posizione dominante nella regione sahelo-sahariana.
EL KHOBRI Hanno scacciato i terroristi come si spazza la polvere fuori dalla porta di casa. Al primo colpo di vento, rientreranno.
BROUWER L’Algeria è invischiata fino al collo in questa crisi. Nel passato ha mediato tra lo Stato maliano e i gruppi di ribelli tuareg. La popolazione dell’Algeria sudorientale è in gran parte di origine tuareg ed è in relazione diretta con i «fratelli» di Kidal. Ci sono forti sentimenti in gioco, dunque. Allo stesso tempo ci sono forti interessi, specialmente da quando, negli anni Novanta, l’Algeria ha visto sorgere al suo interno diversi gruppi terroristici, poi confluiti in Aqim. Questo paese segue con i gruppi qaidisti la stessa politica di contenimento usata da Touré con i tuareg. Ecco perché è contraria all’intervento armato della Cedeao nel Nord del Mali e continua a proporsi come mediatrice della crisi.
LIMES Infine, il Qatar.
BROUWER Il Qatar ha personalità molto influenti e associazioni salafite che stanno finanziando direttamente i gruppi terroristici nel Nord del Mali. Ma non sono sicuro che ciò risponda a una strategia. Credo che in quel paese il governo non controlli tutto.
EL KHOBRI Di sicuro sostiene anche i movimenti islamisti wahhabiti nella capitale. Come l’Arabia Saudita. Anzi, contro l’Arabia Saudita, per scalzarne l’influenza nel mondo musulmano.

A cura di Andrea De Georgio