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 2013  luglio 09 Martedì calendario

QUANDO FANFANI SPIEGÒ A KRUSCIOV COS’ERA IL CONCILIO

«Chiede di vedermi l’incaricato di affari Usa. Mi fa conoscere il sunto di un messaggio di Rusk. Ritiene che la visita nostra a Mosca possa suscitare polemiche e non vorrebbe che a ciò si prestasse. Ritiene che sarebbe meglio non farla. Replico che tutti sono andati a Mosca o altrove da Kruscev senza informarci. Noi informiamo dando una prova di amicizia». Poche righe sul Diario di Amintore Fanfani (8 luglio 1961) registrano la tensione per un viaggio imminente. Il presidente del Consiglio è deciso, andrà a Mosca nonostante le diffidenze degli alleati. Il Diario è il suo consigliere privilegiato, una sorta di specchio che riflette emozioni e confidenze, umori e sollecitazioni. «Parto alle 8 per Mosca (2 agosto), e vi arrivo in aereo alle 13, ora locale 15. Kruscev è all’aeroporto e mi accoglie cordialmente, indicandomi la folla plaudente, come gli “schiavi del comunismo” secondo gli americani». E a seguire la trama fitta dei colloqui ufficiali e le note delle conversazioni tra i due, soprattutto durante le colazioni di lavoro. Fanfani riporta le sue impressioni, talvolta trascrive i passaggi di un colloquio. Si rivolge al capo del Cremlino: «Ma pensi quanto è importante per la pace, che le sta tanto a cuore, avere buone relazioni con la Chiesa». «Io vorrei. Ma come faccio con tante difficoltà?». «Prenda lei stesso in mano questa faccenda – consiglia Fanfani - è troppo importante […] Tanto più che la Chiesa sta preparando un grande fatto di pace». «Cioè?», domanda Kruscev. «Il Concilio ecumenico. Per il 1962. Quindi pensi come tutti i cristiani che pensano ad esso, si orientano verso la Pace».

E le pagine del diario raccolgono memorandum, brevi note, minute di lettere con vari di interlocutori che compaiono nel cammino di Fanfani attraverso il lungo dopoguerra italiano. La pubblicazione dei Diari di due decenni (1943-1963, IV volumi, promossa dall’Archivio Storico del Senato della Repubblica e dalla Fondazione Amintore Fanfani, Rubbettino 2012) è solo la metà di un’opera imponente che prevede altri quattro tomi per il periodo successivo (1964-1990). Una miniera di informazioni e giudizi impreziosita dalle introduzioni dei curatori, corredata da un rilevante apparato critico. Sono le pagine di un protagonista, un cavallo di razza del nostro passato che ha vissuto su un crinale controverso, tra incarichi di partito e responsabilità istituzionali. Il suo Diario è uno spaccato di un mondo che non esiste più con le sue contrapposizioni frontali, i vincoli ideologici, gli spazi angusti di una classe dirigente che non accetta subalternità o facili compromessi. Basti il richiamo alle relazioni con i grandi della terra durante la crisi di Cuba del 1962, nelle strettoie diplomatiche che porteranno alla costruzione del Muro di Berlino o ancora nella proiezione della politica estera italiana attenta all’emergere di nuove realtà e consapevole della centralità delle sfide nel Mediterraneo o nello scacchiere mediorientale.

Fanfani è al centro di sguardi e intuizioni che possano incrinare le certezze e le compatibilità della Guerra fredda; lo fa con passione e sfrontatezza, con tagliente ironia spesso misurandosi con le debolezze di un quadro interno segnato da instabilità e incertezza. La strada verso il centro sinistra appare irta di ostacoli e pregiudizi. Il suo carattere focoso lo espone a periodi di solitudine o isolamento; i sentieri della fede intrecciano il corso degli eventi. Espliciti richiami al clima di ostilità che talvolta lo circonda. Scrive a Moro segretario della Dc (il 9 settembre 1959): «Ti debbo avvertire di ciò che sta avvenendo. In diverse provincie d’Italia mi consta che sottufficiali dei carabinieri avvicinano nostri dirigenti e iscritti raccomandando di non appoggiare le tesi di Fanfani al prossimo Congresso. Ho personalmente constatato che un ufficiale dell’Arma si preoccupava di procurarsi addirittura gli appunti sui quali un nostro amico aveva condotto un suo intervento in una riunione privata». E alcuni giorni dopo in una nuova lettera, medesimo destinatario: «Sono in grado di dirti, senza tema di smentite che l’intervento di ufficiali e sottoufficiali dei carabinieri presso i segretari di sezione, perché dirigano le operazioni congressuali in modo sfavorevole all’on. Fanfani e favorevole all’on. Segni è avvenuto». Il Diario prende le sembianze di un taccuino riservato che presto o tardi avrebbe consegnato alle fiamme in modo da non lasciare traccia: «questi Diari non li leggerà nessuno, li brucerò prima di morire». Forse il tempo ha fatto prevalere il debito verso la storia nei tratti di penna di un protagonista.