Micaela Cappellini, il Sole 24 Ore 8/7/2013, 8 luglio 2013
LE DIECI PIAZZE PIÙ CALDE DEL MONDO
Dalla A di Argentina alla V di Venezuela. Quali sono le prossime piazze candidate a incendiarsi con proteste civili più o meno violente, più o meno rivoluzionarie? Bisogna essere coraggiosi, per azzardare una risposta. Alastair Newton l’ha fatto.
Diplomatico di lungo corso, esperto di geopolitica, in forze al think thank dell’investment bank Nomura e membro dei consigli scientifici di diversi istituti di ricerca di fama internazionale. Dieci giorni fa ha spedito ai suoi follower un elenco di undici Paesi a rischio: esattamente tre giorni dopo, uno di questi si infiamma, fino al colpo di Stato. Alastair Newton aveva previsto la rivoluzione dell’Egitto.
Chi altro era finito sulla black list? Ecco i Paesi: Argentina, Cina, India, Indonesia, Malaysia, Russia, Sudafrica, Thailandia, Venezuela. E l’europeissima Francia.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: Newton ha azzeccato l’Egitto con un tempismo eccezionale, ma non è detto che tutti gli altri dieci Paesi saltino in aria come micce. Non è nemmeno detto che si infiammino. Qualcuno potrebbe solo ospitare due o tre cortei, o una manifestazione di disobbedienza civile sul modello di Occupy Wall Street, e poi finirla lì. Però il ragionamento da cui parte l’analista di Nomura è interessante e rende le sue considerazioni utili per chiunque intenda intraprendere relazioni di business con questi Paesi.
Le riflessioni di Newton prendono spunto dalle proteste che quasi contemporaneamente - e soprattutto, in entrambi i casi, in maniera del tutto inattesa - hanno infiammato a fine maggio la Turchia e il Brasile. Due tra le più stabili, fra le grandi realtà emergenti del Pianeta. Cosa hanno in comune questi due Paesi e i loro abitanti che sono scesi in piazza? Secondo i dati in possesso di Nomura, i manifestanti brasiliani: per il 53% erano giovani sotto i 25 anni; per il 77% erano laureati; per il 71% manifestavano per la prima volta nella vita; per l’84% non si dichiaravano appartenenti a nessun partito politico; per il 40% si dicevano indignati dalla corruzione; per il 56% erano mossi dall’aumento ingiusto dei prezzi dei mezzi pubblici.
Insomma: giovani, istruiti, appartenenti alla nascente classe media, poco politicizzati, critici contro l’elite dirigente (sempre chiusa, spesso corrotta) ed esasperati dalla situazione economica in cui versano.
Gli stessi tratti Newton li ritrova nei manifestanti di piazza Taksim, in Turchia. E oggi possiamo dire che sono anche gli stessi di chi in Egitto ha acceso la miccia del colpo di stato: il leader del movimento Tamarrod, che ha dato il via alla manifestazione di piazza del 30 giugno, è un ragazzo di 28 anni laureato in informatica.
Ed ecco il passaggio successivo. Due indici tradizionali, secondo Newton, sarebbero in grado di mettere insieme e misurare tutte queste caratteristiche: l’indice internazionale di trasparenza, che misura il grado di corruzione percepita, e il coefficiente di Gini, che misura le diseguaglianze economiche all’interno di un Paese. Da qui è nato l’elenco degli undici Paesi: sono esattamente quelli che hanno entrambi gli indici elevati.
Gli eventi politici per ora confermano le intuizioni di Newton. In Thailandia, per esempio, l’autunno si preannuncia caldo: Puea Thai, il partito di governo, si appresta a chiedere un’amnistia generalizzata che potrebbe consentire anche a Thaksin Shinawatra, il vecchio leader accusato di corruzione e ora in esilio, di tornare in patria scampando la prigione. Quasi certamente l’opposizione scenderà in strada e darà battaglia. In Argentina le elezioni di medio termine, del prossimo ottobre, costituiranno una gatta da pelare per il governo della signora Kirchner, alle prese col malcontento generalizzato della popolazione. In Malaysia, a fine maggio, i supporter del leader dell’opposizione Anwar Ibrahim sono scesi in piazza per accusare di brogli il governo di Najib Razak, eletto meno di un mese prima. Contro il premier si sono schierati soprattutto i più giovani e le minoranze etniche, in particolare quelle cinesi. Infine c’è la Francia: per Newton il nodo delle pensioni e quello del mercato del lavoro potrebbero anche arrivare a scatenare proteste simili a quelle che hanno percorso la Grecia e che non stanno risparmiando il Portogallo.