Arnaldo Benini, il Sole 24 Ore 7/7/2013, 7 luglio 2013
SOLO GLI UOMINI PAINGONO. PERCHE’?
Gli uomini sono gli unici esseri viventi che a volte accompagnano le emozioni negative o esaltanti con un filo d’acqua limpida e leggermente salata, ricca d’elettroliti e proteine, che dagli occhi, non irritati, scorre lungo le guance. Le lacrime sono il solo fluido corporeo che non provoca disgusto e paura di contaminazione. Quantità minime di lacrime sono fisiologiche negli animali terrestri e servono a disinfettare e a tener umida e pulita la superficie degli occhi e a irrigare le narici per inumidire l’aria inspirata. Esse non fluiscono nel volto, ma escono inavvertite dall’orbita verso il naso attraverso un sottilissimo canalino. Altra è la lacrimazione emozionale, cioè il pianto.
Cartesio, nelle Passions de l’ame, sostiene che tristezza, amore e gioia suscitano il pianto perché spingono molto sangue nelle arterie. Dalle molte arterie degli occhi uscirebbero vapori che diventano lacrime. Convinto che gli animali, privi d’anima, non provano emozioni e dolori, Cartesio non si stupisce che solo gli uomini piangano. L’espressione, in molte lingue, risalente nel significato odierno all’alto Medioevo, "lacrime di coccodrillo" si riferisce a un comportamento ipocrita non necessariamente accompagnato da lacrime. Darwin, nello studio profondamente innovativo sull’Expression of the Emotions in Man and Animals dedica molte pagine al pianto. Egli descrive le modificazioni dei muscoli facciali e orbicolari che lo determinano e accompagnano e rileva che i bambini urlano appena nati e cominciano a piangere solo qualche settimana dopo. Darwin termina la descrizione della lacrimazione sostenendo che il pianto, è un «incidental result», un prodotto accidentale non necessario. Non si sofferma sulla stranezza che la natura non abbia eliminato un meccanismo tanto complicato se esso fosse veramente inutile.
Il pianto esiste nonostante che l’uomo possa comunicare il suo stato d’animo col linguaggio. Il densissimo libro del neuropsicologo clinico dell’università olandese di Tiburg Ad Vingerhoets intende confutare la frettolosa opinione di Darwin. Il potere del pianto è enorme e gioca un ruolo chiave nell’empatia. Esso non è solo espressione d’emozioni, ma è un comportamento complesso determinato da influenze biologiche, psicologiche e socioculturali. Chi piange non lascia indifferenti. Questa potrebbe essere la spinta alla permanenza evolutiva del pianto. Il suo meccanismo nervoso comprende parte del sistema limbico dell’affettività (soprattutto l’amigdala e la parte anteriore della corteccia cingolata) la corteccia prefrontale della razionalità e della memoria, parte del tronco encefalico e del cervelletto. L’innervazione parasimpatica della ghiandola lacrimale con acetilcolina e un peptide vasoattivo, e quella simpatica con la noradrenalina, sono le vie finali della stimolazione della ghiandola lacrimale, che si trova sopra l’occhio in una piccola nicchia del tetto dell’orbita. Lo studio di questo meccanismo nervoso è difficile, perché, oltre all’innervazione della ghiandola che produce le lacrime, esso comprende l’attività nervosa dell’attivazione dei muscoli del volto e di laringe e faringe. Il pianto è, infatti, accompagnato spesso da lamenti, grida, singhiozzi, ed è preceduto dall’alterazione della mimica per la commozione. Esperimenti con animali sono impossibili. L’autore, dopo aver riassunto quel che si sa dei meccanismi nervosi, tratta il pianto, in particolare nell’adulto, come evento psicologico, antropologico, evolutivo, filosofico, teologico, artistico, letterario e storico con gustose pagine, ad esempio, su quel che nell’era prescientifica, dagli egiziani e dai testi biblici in poi, si pensava delle lacrime.
Ippocrate fu il primo a sostenere che le lacrime non erano prodotte dal cuore ma dal cervello. La psicologia, tutt’altro che elementare, delle condizioni che portano al pianto è analizzata con straordinaria acutezza. Si piange non solo per eventi tristi (morti, separazioni, solitudine, senso del peccato, dolore fisico e morale, paura, empatia per chi soffre) ma anche per circostanze liete (nascite, matrimoni, ritrovamenti, risultati eccezionali nella professione, nello studio, nello sport, empatia per chi esulta, eccetera). In uno studio in 37 paesi si è visto che malesi, polacchi, islandesi e svizzeri piangono raramente, mentre italiani, turchi e brasiliani sarebbero facili alle lacrime. Ovunque le persone anziane sono più inclini alla commozione e al pianto. Che i bambini piangano è facile da capire, ma perché gli adulti, che possono esprimersi altrimenti? Per Vingerhoets la funzione esistenziale delle lacrime per disperazione o per gioia è di accentuare oltre le possibilità del linguaggio quel che è importante per l’uomo, che è un animale fortemente sociale, nella cattiva e nella buona sorte. Col pianto si cerca aiuto, conforto, partecipazione a eventi eccezionali. Le lacrime sarebbero un segnale sociale di grande importanza. Per questo, e non per un errore evolutivo, come pensava Darwin, sono rimaste. Piangono solo gli uomini perché da piccoli sono dipendenti dagli adulti più che qualunque altro essere vivente e da adulti per la loro emotività e socialità uniche nella natura. L’opinione di Vingerhoets è plausibile.