Alessandro Merli, il Sole 24 Ore 7/7/2013, 7 luglio 2013
MINI-SALARI E DISUGUAGLIANZE OMBRE SUL MODELLO TEDESCO
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Il modello tedesco si aggira per l’Europa. il "Modell Deutschland über alles", come lo definì il settimanale "Economist" un paio d’anni fa, è indicato come la soluzione di tutti i mali dell’Eurozona e ha prodotto un’economia che, seppure a stento, cresce invece di contrarsi e, soprattutto, dove la disoccupazione è al 5,4% e quella giovanile sotto l’8%. Il confronto con il resto dell’area euro è impietoso.
Recentemente, questo modello è stato sottoposto a un’attenta revisione, anzitutto in Germania, e ha rivelato un lato oscuro i cui elementi principali sono la creazione di una vasta classe di sotto-occupati, la difficoltà di integrazione della manodopera straniera che la demografia sfavorevole impone di importare, le ampie diseguaglianze che aprono alcune crepe su un modello sociale da sempre fondato sulla solidarietà.
Sono tutti argomenti che, se non domineranno l’agenda delle elezioni in programma il 22 settembre, dovranno però essere affrontati dal Governo che si insedierà dopo. Consapevole di questo fatto, il cancelliere Angela Merkel, con caratteristico pragmatismo, ha cominciato a metterci mano fin d’ora, senza farsi scrupolo di impadronirsi di alcune idee dell’opposizione.
L’aumento di competitività della Germania negli ultimi anni rispetto ai partner europei, generalmente attribuito ai benefici delle riforme del mercato del lavoro realizzate dal Governo Schröder, la cosiddetta Agenda 2010, ha un’origine meno ovvia di quanto appare a un’analisi superficiale. Non è venuta, osserva Sebastian Dullien, in uno studio appena pubblicato dallo European Council on Foreign Affairs, da un aumento della produttività, che anzi è cresciuta più lentamente nell’ultimo decennio che in quello precedente e non differisce in modo significativo dalla media del’eurozona. Il fattore decisivo è stato invece un ferreo controllo sui salari nominali, che a sua volta, insieme alla debolezza degli investimenti, ha generato il surplus dei conti correnti. Al basso livello d’investimento ha contribuito la compressione di quello pubblico, compreso in educazione e ricerca e sviluppo. Una ragione in più, secondo Dullien, per non additarlo a modello al resto d’Europa.
Il controllo salariale è venuto anche dalla creazione di un’armata di mini-jobs, come vengono definiti in Germania i lavori che pagano meno di 9 euro all’ora e che consentono, fino a 450 euro al mese, di restare esenti da imposte. Al settembre 2012, 7,4 milioni di lavoratori avevano questo tipo di occupazione, rispetto a meno di 6 milioni nel 2003. Una larga parte di questi lavoratori a bassi salari non sono coperti dai contratti collettivi, attraverso i quali la forza lavoro impiegata in modo regolare ha recuperato potere d’acquisto negli ultimi due anni. I salari reali di questi lavoratori sono calati del 7,5% fra il 1999 e il 2010, i primi dieci anni dell’unione monetaria, mentre quelli dei lavoratori a tempo pieno sono saliti del 25% (contro un’inflazione del 18%). I mini-jobs consentono maggior flessibilità ma sono una via senza uscita: le imprese non hanno ragione per passare i lavoratori a un impiego più permanente, mentre l’esenzione fiscale convince i lavoratori stessi a restare in una sorta di trappola.
Questo ha fomentato anche diseguaglianze profonde. Uno degli aspetti meno osservati del rapporto della Bce sulla ricchezza delle famiglie nell’Eurozona (sul quale la stampa tedesca si è scatenata, sostenendo che greci e ciprioti sono in realtà più ricchi dei tedeschi ) è che la distribuzione del reddito è più diseguale in Germania che in quasi tutti gli altri Paesi europei. Una circostanza ammessa anche dal Governo: il rappporto su "Povertà e ricchezza" pubblicato a marzo dal ministero del Lavoro è chiaro su questo fenomeno. Anche se, osserva il centro studi Diw di Berlino, le diseguaglianze si sono leggermente ridotte, soprattutto nell’ex Germania dell’Est, dal 2005 in poi.
La signora Merkel riconosce tuttavia che questa potrebbe essere un’arma utile per l’opposizione nella prossima campagna elettorale, anche perché la percezione di disparità nell’opinione pubblica sembra essere superiore alla realtà, stando ai sondaggi. L’opposizione socialdemocratica le ha definite le "forbici sociali" per indicare la divaricazione dei redditi di ricchi e poveri. Per questo, il cancelliere è pronto, con grave scandalo dell’ala più conservatrice del suo partito e dei suoi alleati liberali, a far sua l’idea della Spd di introdurre un salario minimo federale dopo le elezioni.
Il mercato del lavoro tedesco si trova però di fronte a un’altra sfida difficilissima, creata dalla demografia sfavorevole e aggravata dall’incapacità di integrare del tutto nel mondo del lavoro un’immigrazione di decenni come quella turca o quella più recente dall’Europa dell’Est. La Vdi, l’associazione dell’industria meccanica, denuncia che mancano alle imprese del settore 70mila ingegneri. Altri settori dove la manodopera qualificata scarseggia sono gli ospedali, la cura degli anziani, la distribuzione. Secondo l’Iw di Colonia, mancano 210mila Mint, dalla sigla tedesca per matematica, ingegneria, scienze, tecnologia informatica. La soluzione passa attraverso l’immigrazione, ma la Germania ha bisogno di una strategia di lungo termine per l’integrazione, come afferma la Fondazione Bertelsmann. La lingua, la burocrazia, l’abitazione sono ostacoli che il ministero del Lavoro cerca ora di risolvere con uno schema, copiato da altri già avviati dal settore privato, finanziato con 139 milioni di euro e con accordi con i Paesi del Sud Europa. Gli arrivi sono molto aumentati, attratti da un mercato del lavoro che tira (+40% dall’Italia nel 2012, percentuali simili da Spagna, Grecia e Portogallo), ma i numeri assoluti restano modesti (42mila italiani, 29mila spagnoli, 34mila greci). La mobilità del lavoro, di per sé un fattore positivo in un’area a moneta unica, rischia poi di creare una fuga di cervelli e di impoverimento delle risorse umane nei Paesi d’origine. Un altro terreno sul quale la Germania e l’Europa dovranno confrontarsi dopo il 22 settembre.