Antonio Pascale, Corriere della Sera 09/07/2013, 9 luglio 2013
CHILOMETRO ZERO? SI’ MA SENZA ESAGERARE
Se chiedete in giro cosa si intende fare per migliorare la nostra agricoltura (incide per il 2 per cento sul Prodotto interno lordo), in tanti risponderanno: frutta di stagione e chilometro zero. Ora, a volte, queste ricette, per quanto costruite su buone intenzioni sono suggestive ma poco precise. Vai in un ristorante in pieno inverno e lo chef esce dalla cucina per consigliarti una pasta con le melanzane, perché, dice, «è un ortaggio di stagione, arrivato ora ora dall’orto di un contadino mio amico, dunque a chilometro zero».
Come di stagione? La melanzana teme le basse temperature, è un tipico ortaggio estivo. Vero è che grazie ai potenti mezzi dell’ingegno umano e alla conoscenza della fisiologia siamo stati capaci di destagionalizzare alcuni prodotti. In fondo è un bene mangiare la parmigiana d’inverno. Il fatto è che l’agricoltura è cambiata nel giro di poco (con la rivoluzione verde) e noi non ci ricordiamo più com’era solo pochi anni fa — anzi com’era cattiva: cos’è Pinocchio se non il grande racconto della fame che allora si pativa? Abbiamo rimosso il passato e la fame. Si sa, ogni rimozione genera un’idealizzazione. Così spesso sposiamo una visione bucolica dell’agricoltura. E le ricette suddette diventano dei mantra ambigui, vogliamo mangiare bene e tanto ma utilizzando il piccolo orto del contadino, ci piace la vacca (la mucca come dicono in tanti) che bruca l’erbetta e rumina in pace e produce poco ma pretendiamo il latte fresco tutti i giorni.
Tuttavia, nonostante le semplificazioni non bisogna respingere queste richieste. Si basano su buone intenzioni. Le risorse scarseggiano ed è necessario ricercare, anche in campo agricolo, l’efficienza. Forse la scommessa è quella di informare il cittadino su alcuni elementi, come dire, controintuitivi. Una buona agricoltura che assicuri buon cibo non può prescindere dall’innovazione tecnologica. Nemmeno si può abbandonare la matrice industriale, meglio produrre tanto e bene su poca terra che su appezzamenti estensivi. Insomma, ci tocca affrontare la fase analitica e magari introdurre nel discorso pubblico cose basiche e tecniche, tipiche dei bravi periti agrari.
Dunque, a proposito di chilometro zero, va bene la produzione locale, ma è necessario ricordarsi di una cosa: siamo anche esportatori. Il 42 per cento della produzione è diretta in Germania e nel Regno Unito. Negli anni passati siamo stati il primo Paese esportatore nella Ue. Un buon guadagno, per i produttori e anche per l’ambiente: un contadino inglese consumerebbe più Co2 se volesse produrre le mele in loco. Per loro, dunque, meglio importarle. Tuttavia si dice: ma quando parliamo di chilometro zero pensiamo agli ortaggi. Va bene, quanti pomodori esportiamo? Il pomodoro fresco si concentra in Sicilia, poi Calabria, Puglia e Campania, mentre quello da industria in Emilia e Lombardia; e fino a qualche anno fa, prima che subentrasse la Cina, eravamo il leader dell’export di concentrato.
Che cosa vogliamo fare? Per il bene della tradizione italiana nel mondo, ’sti pomodori li facciamo viaggiare un poco, oppure seguiamo i rigidi protocolli del chilometro zero? Ma no: per chilometro zero intendiamo dire che i cittadini devono rifornirsi dai piccoli agricoltori locali. Cioè i chilometri devo farli io e non il camionista? E poi, solo nel mio quartiere ci sono 300 mila persone, e a parte che ci vorrebbero tanti piccoli orticelli per soddisfare la domanda, ma se andiamo in 300 mila in campagna sai che ingorgo. I piccoli mercati servono, per definizione, pochi cittadini. Se tanti cittadini vanno al mercatino questo diventa mercatone o super mercato. O no? Senza considerare che per produrre ortaggi importiamo da ogni dove concimi, agrofarmaci, macchine agricole e tecnologia.
Prendiamo un prodotto tipico, la pasta italiana: è tagliata in buona parte con grano canadese e australiano — il nostro grano duro non raggiunge il necessario contenuto in glutine. Anche dietro al piccolo orticello c’è un mondo variopinto che si muove. Per forza, siamo sette miliardi. Lottiamo allora per una sana e pacifica coesistenza, si può fare: sì industria e sì chilometro zero, sì alla tecnologia dunque sì alla qualità e sicurezza alimentare. Pensiamo anche in grande e non solo a chilometro zero. Che poi, tra l’altro, è anche un concetto autarchico che ricorda un triste passato.
Antonio Pascale