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 2013  luglio 09 Martedì calendario

TRE ARTICOLI SULLA VENDITA DI LORO PIANA

Di fronte a certe cifre è difficile dire di no. E, così, anche Loro Piana è diventata di proprietà francese. Lvmh, il colosso del lusso che fa capo a Bernard Arnault, ieri pomeriggio ha annunciato di aver raggiunto l’accordo per acquistare l’80% della società di Quarona Sesia, in provincia di Vercelli, famosa per il cachemire. Prezzo: 2,160 miliardi di euro. Significa che Lvmh ha valutato 2,7 miliardi di euro l’intero gruppo che nel 2012 ha realizzato 626,6 milioni di euro di ricavi consolidati, 123 milioni di margine operativo lordo e 65,7 milioni di utile netto. Una valutazione pari a 22 volte il margine operativo lordo. Nel 2013 i ricavi dovrebbero salire a 700 milioni.
Pier Luigi e Sergio Loro Piana mantengono la guida dell’azienda e anche una partecipazione del 20%, sulla quale c’è però una opzione put di tre anni. Esce, invece, la sorella Lucia, che ha ceduto tutta la sua quota.
«La nostra famiglia è fiera di associare oggi il suo nome a Lvmh», hanno dichiarato Pier Luigi e Sergio Loro Piana. «E’ una società rara — ha detto a sua volta Arnault —. Rara per la qualità unica dei suoi prodotti, in particolare i suoi prodotti tessili in cachemire, e rara per le radici familiari che risalgono a sei generazioni. Sono molto contento che Sergio e Pier Luigi Loro Piana ritengano che il nostro gruppo sia il migliore per assicurare il futuro della società Loro Piana. Condividiamo gli stessi valori, sia familiari che aziendali, la ricerca permanente della qualità e sono convinto che il nostro gruppo possa apportare un forte contributo al futuro della Loro Piana che possiede grandi potenzialità».
La famiglia Loro Piana è stata assistita dallo studio Chiomenti, il gruppo Lvmh dallo studio Bonelli Erede Pappalardo.
La notizia della vendita del gruppo piemontese ha colpito molto il mondo della moda e dell’impresa. E non solo perché va a ingrossare le fila dei marchi italiani passati in mani estere, e in particolare francesi, già molto nutrita. Ma anche per la storia dell’azienda e per il ruolo svolto dalla famiglia all’interno delle istituzioni del tessile e moda: Pier Luigi Loro Piana è presidente di Ideabiella ed è stato presidente di Milano Unica, il Salone del tessile italiano, nel cui comitato di presidenza siede ancora oggi, mentre Sergio è appena entrato nel consiglio direttivo della Cnmi-Camera nazionale della moda, parte di un progetto di rilancio del ruolo dell’Italia nella moda mondiale.
E così Mario Boselli, presidente della Cnmi, dice di essere rimasto «molto sorpreso» della notizia. Ma poi «si consola» sottolineando che «certamente si preferirebbe che i marchi rimanessero italiani, ma i francesi, con le operazioni che hanno fatto in Italia, sono stati fedeli alle origini del made in Italy, in qualche caso più rigorosamente di alcuni nostri imprenditori». Secondo Claudio Marenzi, presidente di Smi, l’organizzazione confindustriale della moda, questa «è l’ulteriore conferma del valore di cui gode il made in Italy nel mondo, su cui andrebbe fatta un’approfondita riflessione da parte di tutti coloro che hanno a cuore il futuro della nostra industria manifatturiera. Le alleanze strategiche finanziarie possono avere respiro internazionale, l’importante è che le competenze rimangano in Italia».
Nei giorni scorsi Lvmh, che in Italia possiede brand del calibro di Bulgari, Fendi, Pucci e Acqua di Parma, aveva annunciato l’acquisto delle Pasticcerie Cova, contese anche da Prada. In Italia è molto attivo pure l’altro colosso francese, Kering/Ppr della famiglia Pinault, che possiede nomi come Gucci, Bottega Veneta, Brioni e Pomellato, oltre a Richard Ginori (attraverso Gucci). Valentino è divenuto proprietà del Qatar, che ha anche l’hotel Baglioni, la Costa Smeralda e il 40% del progetto immobiliare milanese Porta Nuova.

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Chissà di che cosa si sarà innamorato monsieur Bernard Arnault, prima di questo suo ennesimo shopping italiano. Delle fibre ultrapreziose di lana che più leggere non si può? Di quei maestosi plaid, rassicuranti coperte di Linus per insicuri con chalet a Gstaad? Il morbido menu di Loro Piana è talmente ricco da poter stupire e sorprendere anche un navigato tycoon del lusso come lui. Non a caso se l’è comprato.
Ma, al di là del catalogo e dei costosi modi per togliersi i capricci di qualsiasi stagione e a qualsiasi latitudine, Loro Piana è entrato nella storia del costume per come ha saputo cambiare il modo di vestire maschile. Soprattutto quello formale. Fino a un certo momento, nei consigli di amministrazione, nei templi della finanza, nelle istituzioni, gli uomini hanno indossato abiti di flanella, lane pettinate, principi di galles, gessati, ma sempre corposi soprabiti. Fino a quando è arrivata la grisaglia di Tasmanian: una lana leggera ma sufficientemente calda o fresca, che ha distrutto il sacro dogma della stagionalità. Almeno nel vestito. All’inizio gli ortodossi dell’english style, tutto tweed e velluti a coste , sono rimasti un po’ perplessi. Quel nuovo tessuto sottile e svolazzante sulle scarpe e negli spacchi delle giacche, quanto le vecchie flanelle cadevano a piombo, mostrava una faccia fin troppo nuova. Ed è noto come un certo strato professionale maschile non si sia mai segnalato, anche nel guardaroba, per propensioni rivoluzionarie. Poi piano piano il nuovo verbo, complice l’effetto serra globale e la climatizzazione nei posti di lavoro, con tepori primaverili pure a gennaio e febbraio, si è imposto anche fra i più riottosi. Una volta indossato da Marco Tronchetti Provera, Guido Barilla, Alessandro Profumo e compagnia, il Tasmanian (nome brevettato dall’azienda piemontese) e le stoffe leggere prodotte da altri grandi lanifici, hanno avuto via libera. Loro Piana, un doppio cognome ma pure una doppia anima ben rappresentata dai due fratelli che hanno ceduto ad Arnault. Sergio, cultore del doppiopetto vintage e dei cavalli, è il piemontese più devoto al mito fitzgeraldiano del Grande Gatsby. Pier Luigi è invece la metà della medaglia più sportiva, appassionato di vela e ottimo marinaio al timone del suo «Out of the Blue». Quanti record hanno portato nel biellese i due fratelli per filati extra-tutto, ricavati da pecore pascolanti ad altitudini da scuola di sopravvivenza? Moltissimi. Cachemire, vicuña e altre morbidezze stratosferiche da cui poter ricavare soltanto pochi capi per clienti soddisfatti di accarezzarsi con tanta grazia. Fitzgeraldiani anche in passatempi e accessori come gli scacchi intarsiati di legno su scacchiere cachemirate, o gli occhiali con lenti studiate per i piloti degli alianti. Si potrebbe continuare con i giacconi setosi o falsamente ruvidi, quelli che nascondono all’interno visoni e cincillà o che neutralizzano vento, acqua e altre calamità meteo. Tutte cose che Arnault si è segnato pazientemente sul suo ricchissimo taccuino.
Gianluigi Paracchini

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A riassumere l’incursione del colosso francese del lusso Lvmh (Louis Vuitton) nel cuore del Piemonte e del Made in Italy è Pier Luigi Loro Piana, presidente e amministratore delegato dell’azienda di famiglia, passata per oltre 2 miliardi in mani straniere: «Primo: la visione di lungo termine ci ha fatto avvicinare ad Arnault. Secondo: è un investimento importante. Terzo: ci ha dato garanzie per la nostra gente». Tutto il resto, è polemica.
«Parlare ancora di Francia e Italia è una prospettiva da sotto il Campanile. È un non problema: l’azienda è e rimane italiana, mentre la capacità organizzativa ora sarà francese», prosegue Sergio Loro Piana, vice presidente e anche lui amministratore delegato. I due fratelli, che si alternano al vertice, sono a capo dell’azienda di famiglia dagli anni Settanta, l’hanno fatta crescere e diventare uno dei più importanti marchi al mondo per la lavorazione del cachemire e delle lane pregiate. Ora hanno deciso la svolta, cedere la partecipazione di maggioranza a Lvmh, conservando il 20% e le loro funzioni alla guida dell’azienda. Per i “signori della lana” è una questione di «comunanza di vedute» e non di nazionalità: «Il gruppo Lvmh è noto per il rispetto che ha delle peculiarità e dell’identità dei marchi che acquisiscono».
Perciò nessuno stupore se un’azienda simbolo del Made in Italy, fondata nel 1924 e in ottima salute, passa ai francesi. «Per capire perché un’azienda profittevole, che genera cassa e che apparentemente non ha bisogno di fondi, prenda una simile decisione — spiega Sergio Loro Piana — bisogna pensare a com’è cambiata la piramide del lusso negli ultimi anni: il mercato dei ricchi con esperienza di ricchezza, che sono stufi dei soli loghi. La dimensione, per un’azienda come la nostra che ha l’ambizione di essere leader mondiale, è un fattore chiave». Ma era proprio necessario rivolgersi ai francesi, che negli ultimi anni stanno facendo indisturbati shopping dei migliori marchi italiani? «Ogni azienda ha storia a sé – prosegue Sergio Loro Piana – e non si possono fare paragoni. Il gruppo Lvmh è noto per le sinergie che sa mettere in atto, perché sa attrarre talenti e mantenere l’identità dei marchi. È fondamentale per il nostro nome poter aspirare a essere il numero uno italiano nel mondo: siamo andati a chiedere a chi poteva realizzarlo. L’azienda però resta italiana».
Per i fratelli Loro Piana bisogna guardare avanti e fronteggiare le nuove sfide della globalizzazione. Il risultato dell’operazione è che «ci sarà uno sviluppo più rapido della marca — continua il vicepresidente — in modo più coordinato in certi mercati, non solo in Cina ma in tutta l’area del Pacifico, senza trascurare il Sud America, il Messico e gli Stati Uniti che offrono ancora grosse possibilità di sviluppo. E poi sul tessile, grazie alle nostre caratteristiche tecnico-qualitative, ci sarà una sinergia di gruppo con i marchi di Lvmh. Ci auguriamo, perciò, per l’azienda uno sviluppo in termini di posti di lavoro e di investimenti nella regione». Un aspetto importante quest’ultimo, come sottolinea Pier Luigi Loro Piana: «Le imprese sono fatte da uomini. Non abbiamo deciso finché non ci siamo convinti che questa operazione voleva anche dire opportunità per la nostra gente, per chi lavora con noi». La scelta di mettersi in affari con Bernard Arnault nasce da «una condivisione di valori: è stato un confronto diretto con un imprenditore che parla la nostra stessa lingua, con chiarezza e semplicità, poca forma e molta sostanza».
Francesca Basso