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 2013  luglio 09 Martedì calendario

MERCATO UNICO USA-UE PER IL FOGLIO DEI FOGLI DELL’8 LUGLIO 2013


Le due più grandi economie del pianeta, Europa e Stati Uniti, si siedono oggi a un tavolo a Washington per discutere della creazione di un’area atlantica di libero scambio. Si chiamerà Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip). Il negoziato durerà due anni e potrebbe cambiare il panorama geoeconomico mondiale.

Un’area di libero scambio atlantica rappresenta il 50 per cento del Pil mondiale e il 30 per cento del commercio globale, stando ai calcoli del centro di ricerca londinese del Cerp. [1]

Le relazioni economiche tra Unione europea e Stati Uniti sono già intense. Il made in Europe vale 414 miliardi di euro di esportazioni all’anno sul mercato americano. Il made in Usa pesa per 327 miliardi degli acquisti europei. Gli investimenti bilaterali raggiungono i 3.700 miliardi. La Casa Bianca stima a 13 milioni di posti di lavoro gli occupati che sulle due sponde dell’Atlantico devono il posto a questo tessuto di rapporti bilaterali. [2]

Secondo il premier inglese David Cameron con la creazione del Ttip si creeranno due milioni posti in più. [1]

Il concordato punta ad eliminare dazi, tariffe (che ora sono in media del 5,2% per l’Europa e del 3,5% per gli Usa) e barriere spesso invisibili: «Per esempio, la clausola Buy America che impone il protezionismo nelle commesse pubbliche. Poi ci sono tante regole sanitarie, ambientali, sulla protezione della sicurezza, che talvolta sono giustificate (vedi le riserve europee contro gli organismi geneticamente modificati), altre volte mascherano interessi lobbistici: per anni ne hanno fatto le spese i salumi italiani bloccati da assurdi regolamenti “sanitari” Usa» (Federico Rampini). [2]

Al momento è vietato importare negli Stati Uniti mele europee o formaggi italiani e francesi. [1]

I vantaggi di un accordo sono reciproci: ad esempio, gli Usa cercano sbocchi per grano e soia. Noi vendiamo alcolici, vino, birra, prodotti alimentari, formaggi, insaccati e cioccolata. Abbiano interesse a piazzare prodotti di qualità. Basta pensare che attualmente la carne paga dazi per il 30%, i prodotti caseari per il 139%. [3]

Secondo gli studi della Commissione europea, ma anche del governo tedesco, il grande beneficiario di questa nuova intesa sarà l’auto europea, settore in crisi (anche se non dappertutto), tra vendite in diminuzione e capacità produttiva sovradimensionata. Grazie a omologazione, semplificazione e riconoscimento reciproco degli standard di sicurezza, ambientali e produttivi, il mercato delle quattro ruote si impennerà: più 149 per cento delle esportazioni dall’Europa verso il Nord America, più 42 per cento delle esportazioni Ue verso il resto del mondo. [4]

Ancora qualche numero. La creazione del Ttip porterebbe un beneficio in termini di Pil per gli Stati Uniti di 95 miliardi di euro all’anno, con un vantaggio per la famiglia media Usa di 655 euro annui, mentre per gli europei l’incremento del Pil ammonterebbe a 119 miliardi annui con un vantaggio medio per famiglia di 545 euro all’anno. I calcoli sono sempre dal Cerp. [1]

I negoziati si svolgono così: gli Stati dell’Ue conferiscono alla Commissione esecutiva (cioè al responsabile per il Commercio, Karel De Gucht) l’incarico di trattare con gli americani sulla base d’un mandato che indica desiderata e vincoli della possibile intesa. Il testo finale deve essere approvato dai 27 Stati (il Consiglio europeo) insieme con l’Europarlamento. Washington mette più semplicemente in campo il Dipartimento del Commercio che nomina un negoziatore e alla fine chiede il beneplacito al Congresso. [3]

Dopo proteste e minacce di far saltare tutto, la Francia ha ottenuto che il settore audiovisivo resti fuori dal negoziato. Se ne potrà ridiscutere in futuro, se cambieranno le posizioni. Si sono mobilitati per l’occasione artisti e registi, da Almodóvar a Sorrentino, da Haneke a Kaurismaki. Finora infatti l’audiovisivo ha goduto di una «eccezione culturale». Per tutelare la produzione europea davanti allo strapotere americano, l’Ue ha concesso la possibilità di sostenere il cinema e imporre quote di mercato per i prodotti d’importazione. [5]

Stefano Montefiori: «Non si tratta di contrapporre la nobile cultura al vile dollaro, barbosi film d’essai all’entertainment hollywoodiano, Godard a Guerre Stellari. Secondo i dati dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo di Strasburgo, l’anno scorso in Europa il 62,8% degli ingressi al cinema sono stati per vedere film americani, e il 33,6% per film europei: di questi, oltre il 13% francesi (contro il 2,9% italiani). Pur con limiti e storture, la politica culturale francese ha ottenuto qualche risultato, e anche per questo l’Italia (assieme a Polonia, Belgio, Romania, Austria e altri) la approva». [5]

Altro punto critico del negoziato è la privacy, un nodo esploso con lo scandalo Fbi-Nsa e che riguarda non solo l’accesso ai nostri dati personali da parte dell’intelligence ma anche quello dei provider di servizi (tutti statunitensi) per motivi commerciali. Stesso discorso per la neutralità di Internet: l’accordo Acta bloccato pochi mesi fa dal Parlamento Ue limitava la libertà della Rete, ora quei principi riaffiorano nel Ttip. Suona l’allarme per la società civile, che inizia a mobilitarsi. [4]

Uno degli argomenti forti di chi vuole l’accordo è poi quello dell’effetto volano di un’intesa Ue-Usa su tutto il commercio mondiale. Alberto D’Argenzio: «La tesi è semplice: armonizzando il maggior mercato del globo, anche le altre potenze planetarie, a partire dai Bric, verranno spinte ad allinearsi sugli standard transatlantici, facilitando le esportazioni nel mondo di chi è al centro di questo sistema». [4]

«Gli albori del progetto di free trade tra Stati Uniti e Europa risalgono ormai a trent’ani or sono e già allora fu bloccato dalla “resistenza culturale” francese. Dopo essere rimasto a lungo dormiente, nell’ultimo anno il piano è tornato in auge: a favorire l’ipotesi di un’integrazione sono anzitutto le mutate condizioni economiche internazionali, che vedono la Cina avanzare mentre l’Europa è in crisi e la ripresa statunitense resta in affanno» (Marco Valsania). [6].

André Sapir, analista del Think Tank Bruegel: «Nelle parole usate da alcuni leader europei per giustificare il Ttip si ritrova ancora un linguaggio da Guerra Fredda. Questa volta il nemico non è l’Unione Sovietica ma sembrano essere i paesi Brics (e in particolare la Cina), che già oggi hanno un Pil aggregato equivalente a quello europeo o statunitense, e ancora maggiore se la comparazione viene fatta a parità di potere d’acquisto invece che usando il tasso di cambio. All’attuale, infatti, Pechino sarà la più grande economia mondiale prima del 2030, una posizione che in realtà potrebbe raggiungere già prima del 2020, se si calcola il Pil a parità di potere di acquisto». [7]

«L’Atlantico non è il passato, è anche il futuro» ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Rampini: «Davvero la crescita può ripartire grazie ad un gigantesco accordo di libero scambio? La Terra Promessa delle liberalizzazioni ha già riservato delusioni agli europei. Nel 1988 un avvenire radioso fu preannunciato dal Rapporto Cecchini, commissionato dall’allora presidente della Commissione Jacques Delors: prometteva un futuro di crescita vigorosa e aumento dell’occupazione, grazie alla costruzione del mercato unico europeo a partire dal 1992. Molte di quelle proiezioni si rivelarono decisamente ottimistiche. L’equazione “liberalizzazioni=crescita” non sempre funziona come si vorrebbe». [2]

(a cura di Luca D’Ammando)

Note: [1] Roberto Petrini, la Repubblica 5/7; [2] Federico Rampini, la Repubblica 18/6; [3] Marco Zatterin, La Stampa 14/6; [4] Alberto D’Argenzio, l’Espresso 14/6; [5] Stefano Montefiori, Corriere della Sera 15/6; [6] Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 14/6; [7] André Sapir, Linkiesta 10/3.