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 2013  luglio 09 Martedì calendario

APERTURA SULL’EGITTO PER IL FOGLIO DEI FOGLI DELL’8 LUGLIO 2013

«Non mi lascerò dare ordini, né dall’interno né dall’estero. Sono il solo rais legittimo, è un golpe» (Mohamed Morsi poco prima di essere destituito). [1]

In Egitto, a un anno dal suo insediamento, Mohamed Morsi, il primo presidente eletto democraticamente con 13,23 milioni di voti (il 51,7%), è stato destituito dai militari. [1] Non si tratta però di un golpe tradizionale ma di un golpe popolare «auspicato dalla maggioranza del più grande Paese arabo». [2] Scrive Robert Fisk sull’Independent: «Per la prima volta nella storia, un colpo di stato non è un colpo di stato. L’esercito ha deposto il presidente eletto democraticamente, ha sospeso la costituzione, chiuso la televisione, schierato i carriarmati in strada. Ma la parola “colpo di stato” non può comparire sulla bocca di Obama» [3].

I primi scontri iniziano il 26 giugno ma il 30 quindici milioni di persone scendono in piazza per protestare contro Morsi e la sua «catastrofica politica economica». È la più grande manifestazione nella storia dell’umanità. [4] Il popolo chiede le sue dimissioni. Dopo la sua destituzione, però, i sostenitori dei Fratelli musulmani, fedelissimi di Morsi, sono scesi in strada per chiederne la liberazione. Risultato: dall’inizio della rivolta, nelle strade, si contano almeno una settantina di morti e quasi mezzo milione di feriti. [1]

Le manifestazioni dei ribelli sono organizzate dal gruppo dei Tamarrod (in arabo «ribellione»). Il movimento sostiene di aver raccolto 22 milioni di firme per la destituzione di Morsi. [1] Il politologo francese Gilles Kepel spiega che si tratta di «un movimento molto eterogeneo, senza un leader e senza un programma, con al suo interno sia dei salafiti (estremisti islamici - ndr) sia degli uomini di sinistra. Questo strano matrimonio tra esercito e popolazione è abbastanza forte da spingere ai margini il potere di Morsi. Come si organizzerà questa nuova unione è ancora un mistero, nonostante il triumvirato sostenuto dai militari». [5]

Il 1° luglio il generale dell’esercito egiziano Abdel Fattah al-Sisi dà a Morsi 48 ore per risolvere la crisi politica che «sta minando la sicurezza e l’integrità del paese». Morsi rispedisce al mittente l’ultimatum: «È meglio morire piuttosto che essere condannato dalla storia». La risposta dell’esercito non si fa attendere: manda i blindati nelle strade, prende il controllo della tv di Stato e oscura le emittenti legate ai Fratelli musulmani. Vengono spiccati quasi 300 mandati di arresto nei confronti degli esponenti dei Fratelli Musulmani. [6] Alle 19 del 3 luglio Morsi viene destituito e rinchiuso in isolamento al ministero della Difesa mentre i leader del partito sono imprigionati nel carcere di Tora, lo stesso dove si trova l’ex presidente Mubarak. [1]

Alle 21 il capo delle forze armate al-Sisi ha annunciato la sospensione della Costituzione. «È finita, alle 21.05, la prima prova di democrazia nella storia millenaria dell’Egitto. Le Forze armate hanno capito le richieste del popolo egiziano. Per questo la Costituzione è sospesa, presto saranno indette le elezioni presidenziali, il capo dell’Alta corte costituzionale Aldi Mansour reggerà il Paese fino a quel momento, verranno formati un governo di coalizione e una commissione per emendare la Costituzione, i giovani saranno inclusi nel processo decisionale» (così a reti unificate il capo dei militari, generale Abdel Fattah al-Sisi, garantendo che «l’esercito non vuole poteri politici»). [6] Decine di migliaia di persone in piazza hanno accolto l’annuncio con fuochi d’artificio e festeggiamenti, ma nella notte tra 3 e 4 luglio ci sono stati scontri tra sostenitori e oppositori di Morsi che hanno causato la morte di almeno 14 persone. [7]

La rivolta è stata causata dalla crisi economica, dalla caduta verticale del turismo, dalla disoccupazione. Morsi non è stato capace di ristabilire l’ordine dopo la rivoluzione e ha la responsabilità di non essersi liberato di troppo personale dei tempi di Mubarak. Secondo Bernard Guetta, giornalista francese, i Fratelli Musulmani avrebbero commesso tre errori: il primo è stato non capire la fragilità del loro potere: «A loro giustificazione va detto che erano l’unica organizzazione d’opposizione presente su tutto il territorio, incarnavano un’alternativa ideologicamente coerente alla dittatura [...]. Grazie a questi punti di forza hanno vinto le elezioni, ma il trionfo li ha portati a dimenticare che un’altra metà del paese detestava il loro integralismo religioso. Avrebbero dovuto trovare alleati e costruire una coalizione più forte. E invece, secondo errore, si sono accontentati di offrire posti da figuranti ministeriali alimentando così la sensazione che nel paese stesse nascendo una nuova dittatura. Inoltre, terzo errore, non si sono preoccupati di definire una politica economica soddisfacente. Già indebolita, l’economia egiziana è crollata nel giro di pochi mesi, e i Fratelli hanno aggiunto un forte malcontento sociale al rifiuto politico di cui erano già vittime. Per loro è stata come una sentenza di morte». [3]

Aggiunge inoltre il politologo Gilles Kepel: «Morsi obbediva soltanto alla guida suprema, Mohammed Badie. E inoltre, ci sono le uccisioni nei villaggi che hanno fatto traboccare il vaso». [5]

Antonio Ferrari: «Morsi presuntuosamente ha pensato solo a sopravvivere, senza comprendere di essere al timone del primo Paese arabo, che è proprietario dei diritti che collega due mondi – il canale di Suez –, che confina con Israele, che è la patria di una cultura millenaria a cui tutti noi dobbiamo qualcosa». [2]

La crisi egiziana potrebbe avere conseguenze sul prezzo del petrolio. Dell’Arti su Gazzetta: «Il timore è che a un certo punto, per affamare Morsi e i Fratelli, i militari chiudano il canale di Suez, con effetti dirompenti sul costo dei trasporti e, quindi, sul prezzo finale del barile. [4]
Il 4 luglio Mansour ha giurato come presidente ad interim, promettendo la «riconciliazione tra le forze politiche». [8]

Adly al-Mansour, 67 anni, nato al Cairo, laureato in Giurisprudenza. Ha studiato anche all’Ecole Nationale de l’Administration in Francia. Per vent’anni vicepresidente della Corte Costituzionale (dai tempi di Mubarak). A maggio Morsi lo scelse per prendere il posto del presidente dell’Alta corte El-Beheiri, dato che quest’ultimo avrebbe raggiunto l’età pensionabile il 30 giugno. Ha giurato il 2 luglio mattina. [7]

Mansour è praticamente sconosciuto al grande pubblico, descrittto dai più come un «uomo misterioso». Il Post: «Questo ha probabilmente favorito la sua scelta da parte dei militari, alla ricerca di una figura la più neutrale possibile agli occhi dell’opinione pubblica». [7]

Mansour ha ricordato che i Fratelli Musulmani fanno parte del popolo e che sono «invitati a partecipare alla costruzione della nazione. [8] Intanto su Twitter il movimento annuncia il suo rifiuto di avere contatti con «un regime usurpatore». [9]

Il 5 luglio per i sostenitori dei Fratelli musulmani è stato il «venerdì del rifiuto» per la destituzione. I pro-Morsi hanno riempito le piazze di diverse città egiziane come Alessandria, Beheira, Minya, Giza e altri centri nel sud del Paese. Numerosi gli scontri, almeno 50 i morti. [8]

«In nome di Dio, io li maledico... e a voi giuro che il vostro sangue non sarà versato invano» (l’imam della moschea di Gaza Square). [10]

«Non conoscete la fede dei musulmani, non abbiamo paura di nessun esercito, uscendo di casa questa mattina abbiamo giurato che torneremo vittoriosi oppure moriremo. L’economia? Morsi l’avrebbe aggiustata se le forze del vecchio regime e l’esercito non avessero azzoppato qualsiasi sua iniziativa con l’avallo degli americani» (Mahmoud Sheimeshn detto Mimmo, elettricista, tornato al Cairo da Milano per manifestare). [11]

Mentre nelle strade si riversavano i manifestanti pro-Morsi, con un decreto Adly Mansour ha sciolto il Parlamento «di fatto solo il Consiglio della Shura, la Camera alta, l’unico ramo rimasto attivo dopo lo scioglimento della Camera bassa ad opera della giunta militare e ha nominato il nuovo capo dei servizi segreti Mohamed Ahmed Farid». [12]

«Mancano ancora molti tasselli alla “roadmap” dei generali. Il primo è il nome del nuovo premier ad interim; dopo il cortese diniego El Baradei – che pensa a una candidatura presidenziale – circolano molti nomi ma nessun fatto concreto». [10]

In tutto questo gli Usa non si sbilanciano. Marco Platero: «Il presidente Morsi non era gradito a Washington. Nel viaggio in Medioriente, Obama ha ascoltato le lamentele del re di Giordania contro Morsi, considerato “un imbarazzo” per la sua “ignoranza”. Obama manifesta la sua preoccupazione, ma non “condanna” e mostra cautela nel descrivere l’accaduto come un colpo di Stato. Questo perché gli aiuti Usa per 1,3 miliardi di dollari in forniture militari e 250 milioni per l’economia dovrebbero essere sospesi. Ma, come ha detto il generale Al Sisi, la democrazia in Egitto è solo “sospesa”. Se la democrazia è sospesa si troverà il modo per mantenere gli aiuti». [13]

L’Onu ha chiesto il più rapido ritorno a un governo civile. La Germania crede che la destituzione di Morsi costituisca «un grave fallimento per la democrazia». Tunisia e Turchia l’hanno condannata esplicitamente. Al contrario la Gran Bretagna si è detta invece «pronta a riconoscere la nuova amministrazione e a collaborare». E i Paesi del Golfo hanno salutato con entusiasmo la fine dell’era Morsi, insieme alla Siria contro cui l’ex raìs aveva chiamato perfino alla jihad. [6; 14; 15]

Il presidente siriano Bashar Assad ha infatti lodato le proteste di massa («un colpo di stato che segna la fine dell’islam politico»). Riguardo alla sua situazione, invece, ha assicurato che l’opposizione «ha ormai esaurito i mezzi». [6] Dell’Arti su Gazzetta: «In Siria la guerra civile nasconde un conflitto internazionale di proporzioni sempre più vaste. Da un lato l’Iran e gli Hezbollah libanesi decisi a difendere Assad. Questo è il lato sciita. Dall’altro l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati, schierati con i ribelli, cioè con la parte sunnita. Due settimane fa, al Cairo, c’è stata una grande manifestazione sunnita, promossa dai salafiti e a cui ha partecipato anche il presidente Morsi. Si dice che proprio questa mossa abbia allarmato la casta militare, decisa a tenersi fuori dal mattatoio siriano. Ricordiamo che al vertice di al Qaeda siede un egiziano, Ayman al Zawahiri». [4]

Guolo su Repubblica spiega che «la deposizione di Morsi si riverbera anche sulla Tunisia, dove Ennhada rischia di essere travolta dall’accusa di incapacità di guidare una società plasmata dal nazionalismo laico. E su Hamas, costola palestinese del movimento, che timoroso di veder nuovamente chiudersi la gabbia di Gaza al confine occidentale, potrebbe riprendere i rapporti con l’Iran, sopiti dopo l’ascesa di Morsi. [...] Ma l’esito più drammatico del paesaggio dopo la battaglia egiziana, rinvia alla questione della democrazia e del jihad. I Fratelli che avevano accettato dopo un lungo dibattito l’idea del consenso elettorale come via per governare: dovranno fare ora i conti con il canto delle sirene salafite e le loro tesi sull’impossibilità per forze islamiste di credere nella democrazia». [16]

Oltre ai problemi politici ed economici arriva dall’Etiopia anche il problema dell’acqua. Ugo Tramballi sul Sole: «Il casus belli sono le acque del Nilo Blu, il tratto che nasce in Etiopia e si congiunge con il Nilo Bianco a Khartoum, in Sudan. Qualche settimana fa l’Etiopia ha deciso unilateralmente di deviare il corso del fiume. Stanno costruendo la prima di quattro dighe. Entro cinque anni, quando il bacino sarà pieno conterrà 74 milioni di metri cubi d’acqua. È la Grande Diga Etiopica della Rinascita. Rinascita per l’Etiopia, non per l’Egitto i cui esperti hanno stabilito che nei quattro anni durante i quali l’invaso verrà riempito, il Paese riceverà solo la metà dei 55,5 miliardi di metri cubi d’acqua stabiliti dai trattati internazionali. Sembra impossibile una guerra fra Egitto ed Etiopia. Ma prima della globalizzazione, nel vecchio mondo delle ideologie le cifre appena ricordate sarebbero state più che sufficienti per farne una. Non è tuttavia garantito che nella nuova geopolitica le guerre fra poveri non si combattano più». [17]

(a cura di Jessica D’Ercole)

Note: [1] tutti giornali del 4/7; [2] Antonio Ferrari, Cds 4/7; [3] Internazionale.it 5/7; [4] Giorgio Dell’Arti, Gazzetta 4/7; [5] Pietro del Re, la Repubblica 6/7/; [6] C. Ze., Cds 5/7; [7] Ilpost.it 4/7; [8] Tutti i giornali del 6/7; [9] GrRai 4/7; [10] Fabio Scuto, la Repubblica 6/7; [11] La Stampa 6/7; [12] Corriere.it 6/7; [13] Marco Platero, Il Sole 24 Ore 5/7; [14] Corriere.it 6/7 [15] Il Fatto Quotidiano.it, 5/7; [16] Renzo Guolo Repubblica 6/7; [17] Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 6/6.