Marco Ferrante, Il Messaggero 9/7/2013, 9 luglio 2013
QUELLA SOLITUDINE DEI SUPERMINISTRI
Prendersela con il ministro dell’Economia è un fattore costitutivo della politica italiana degli ultimi vent’anni. Piero Barucci, ministro del Tesoro con Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, scrisse un libro – “L’isola italiana del Tesoro” – per raccontare la condizione solitaria e insulare di via XX settembre in quei due anni a cavallo tra il 1992 e il 1994 decisivi per risistemare i conti italiani e avviare le privatizzazioni.
150MILA METRI QUADRI
Negli anni successivi, dopo la Riforma Bassanini che accorpò i ministeri economici, l’effetto insularità crebbe. Più potere, più tensione, più solitudine. Certo, da sempre c’è anche la suggestione. La geografia del luogo, un palazzo di oltre 150.000 metri quadri con un fronte di 300 metri. La cittadella umbertina in mezzo alla Roma delle ville patrizie entro le mura distrutte dall’urbanizzazione Savoia. La grande stanza ministeriale con la scrivania di Quintino Sella, una specie di inefficace monito, da cui i ministri provano a tenere 800 miliardi di bilancio pubblico. L’uomo che c’è stato seduto più a lungo negli ultimi 13 anni, dalla riforma del 2001 a oggi, è stato Giulio Tremonti, che è stato anche un emblema della solitudine ministeriale. Ministro di origine tecnica, ma con grandi ambizioni politiche, fu protagonista di uno scontro memorabile con una parte della sua maggioranza che lo portò nel 2004 alle dimissioni. Uno scontro con Gianfranco Fini e con gli uomini di An che lo accusarono di aver truccato i conti. La vicenda ebbe un epilogo romanzesco. Tremonti fu sostituito da un suo grande amico personale, che lui stesso aveva chiamato alla direzione generale del superministero, Domenico Siniscalco. Circostanza che rese ancora più solitaria quella storia, con il ministro uscente e i suoi collaboratori, i quali dopo un drammatico vertice di maggioranza che segna la fine dei primi tre anni di Tremonti all’Economia si ritrovano di notte sotto casa Siniscalco a ragionare sull’accaduto.
Ma anche a Siniscalco le cose non andarono meglio. Dissenso su «quasi» tutto, scrivevano le cronache del 2005, con l’Udc, con la Lega, con lo stesso Berlusconi. Sulla finanziaria, sulla Rai, ma soprattutto su Antonio Fazio che dopo la cruenta estate delle Opa bancarie resiste a palazzo Koch. E Siniscalco si dimette alla vigilia di un viaggio a Washington per una riunione del Fondo Monetario, restituendo la poltrona a Giulio Tremonti che prepara rivincite.
BATTAGLIE TECNICHE
Ma nel 2006, tocca a Tommaso Padoa-Schioppa. Anche lui ministro tecnico, anche lui alle prese con i partiti della sua maggioranza: la battaglia sulla trasformazione dello scalone pensionistico ereditato da Maroni in un sentiero di scalini, scelta osteggiata dalla Cgil, dall’ala comunista della coalizione e da pezzi dei Ds che volevano l’abolizione totale della riforma (sono più o meno gli stessi che oggi vorrebbero cancellare la riforma Fornero). Stessa battaglia sulla finanziaria 2007 e sulla destinazione del cosiddetto tesoretto. Battaglia anche sul dossier Alitalia, dove dentro la maggioranza di governo si fronteggiavano tre diversi partiti. Quelli contrari alla privatizzazione che volevano la ricapitalizzazione dello Stato. Quelli che erano pro-privatizzazione direzione AirOne e quelli direzione Air France (come voleva anche il ministro). Alla fine il governo cadde e la partita Alitalia la vinse Berlusconi in campagna elettorale, promovendo la cordata italianista. Una volta in un colloquio a registratore spento (di solito appuntamenti di prima mattina), un giornalista pose al ministro Padoa-Schioppa la classica questione che tocca ai ministri dell’Economia: ci sono voci di dimissioni. Rispose: per farmi dimettere mi devono portare fuori di qua a pezzi.
Tornò Tremonti. E con lui la solitudine del Tecnico che aspira alla leadership Politica. Cominciò con una conferenza stampa coordinata con i ministri di spesa nella sala della Maggioranza di via XX settembre. Concluse solitario come sette anni prima, sconfitto dai suoi avversari dentro la maggioranza, da un rapporto esageratemente dialettico con Silvio Berlusconi e da una lettera della Bce, che considerava troppo rigida. Tornarono i tecnici (anche loro, come Tremonti, con aspirazioni politiche). Di nuovo come nel caso Siniscalco, un direttore generale diventò ministro, Vittorio Grilli. La sua solitudine ministeriale faceva parte del curriculum – in un certo senso. Poco comunicativo, amministrativamente parlando introverso, molto fragile di fronte agli attacchi esterni, a partire dalla vicenda dell’acquisto di una casa, oggetto di un intenso battage giornalistico.
Adesso con le larghe intese il ruolo di collegare l’isola del Tesoro al resto del sistema delle decisioni, tocca a Fabrizio Saccomanni. Ma come spiegano gli esperti di questioni ministeriali nel suo caso c’è un elemento in più da considerare, accanto alla dose fisiologica di solitudine. Ci sono vertici nuovi (il ragioniere generale, Daniele Franco, il capo di gabinetto del ministro, Daniele Cabras e il direttore generale, Vincenzo La Via che è lì solo da un anno) che a loro volta devono misurarsi con una struttura per sua natura riottosa.