VARIE 8/7/2013, 8 luglio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - IL PAPA A LAMPEDUSA
Prima di scendere sul molo di Lampedusa, ha deposto in mare una corona di fiori per ricordare i migranti morti in mare. Papa Francesco ha inaugurato così la sua prima visita nell’isola, dove lo attendeva una folla di 10mila persone. E’ stata proprio la notizia degli «immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte» ad averlo spinto a scegliere Lampedusa come meta della sua prima visita. Lo scopo, come ha ricordato durante la messa, è «risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta». Si calcola che nei viaggi della speranza dall’Africa all’Europa abbiano perso la vita almeno 25mila persone negli ultimi 20 anni.
L’omelia di papa Francesco
LA MESSA - Il Papa è arrivato a Lampedusa nella tarda mattinata di lunedì. Il programma è stato sobrio, su espressa richiesta del Pontefice che da un lato non ha voluto spese straordinarie e dall’altro ha chiesto di non stravolgere la vita quotidiana della popolazione. Alla visita non erano presenti autorità, tranne il sindaco di Lampedusa Giuseppina Nicolini e l’arcivescovo di Agrigento Franco Montenegro (che è anche presidente di Migrantes, la fondazione della Cei per i migranti). Al suo arrivo a Lampedusa, a Punta Favaloro, Papa Bergoglio ha stretto la mano ad un gruppo di migranti, ricordando di pregare «anche per quelli che non sono qui». Un gesto inaspettato, che non è previsto in nessun protocollo. Mentre durante la messa, che si è tenuta nello stadio dell’isola, il Pontefice si è scagliato contro «la globalizzazione dell’indifferenza» e la società «che ha dimenticato l’esperienza del piangere». Si è poi rivolto agli immigrati musulmani, salutandoli con l’espressione dialettale lampedusana « o’ scià» (che significa «o fiato») e assicurando che «la Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie».
Il lancio della corona di fiori in mare
LA VISITA - Dopo la messa, Papa Francesco ha raggiunto la parrocchia di San Gerlando, dove ha incontrato alcuni migranti, un gruppo di cittadini di Lampedusa e il sindaco Nicolini. Presente all’incontro anche don Stefano, il parrocco che nel maggio scorso lo aveva invitato nell’isola. Uscendo dalla chiesa, il Pontefice ha salutato i lampedusani chiedendo loro di «proseguire in questo atteggiamento tanto umano quanto cristiano». Un invito che ha ripetuto anche via Twitter: «Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi" ha twittato durante la mattinata dall’account @Pontifex_it. Il Papa è poi ripartito per Roma, dove è atterrato nel primo pomeriggio.
LE REAZIONI - «Ora Lampedusa non è più l’ultima frontiera d’Italia ma la prima tappa del primo viaggio del Papa, mi auguro che la sua visita aiuti tutti a prendere consapevolezza della responsabilità e della necessità di accogliere» ha commentato il sindaco Nicolini il giorno prima della visita. Mentre Laurent Jolles, rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) per l’Italia e il sud Europa ha definito la scelta del Papa «un gesto di grande valore umano e simbolico, che contribuirà a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla causa di 45 milioni di persone che in tutto il mondo sono state costrette a lasciare le loro abitazioni».
8 luglio 2013 | 15:57
GIANGUIDO VECCHI
LAMPEDUSA - Francesco era un po’ preoccupato, quando a Cala pisana si è imbarcato verso le nove sulla motovedetta “cp 282” della capitaneria di porto che lo avrebbe portato al molo di Punta Favarolo, là dove arrivano i naufraghi. Lo ha confidato a chi gli stava vicino, «spero proprio che si capisca il significato di questo mio gesto».
Perché il Papa è arrivato qui a Lampedusa per piangere i morti, i ventimila senza nome affogati negli ultimi 25 anni nel Mediterraneo. Ha spiegato che abbiamo perso – tutti – la capacità di piangere, di soffrire per l’altro, di com-patire. «Chi di noi ha pianto?». È inevitabile e giusto che ci sia un clima di festa, all’arrivo del Papa. Ma Francesco ha disposto ogni gesto e parola per richiamare all’essenziale del viaggio. La corona di crisantemi gialli e bianchi gettata fra le onde. Lo sbarco sul molo dove anche due ore prima erano scesi gli ultimi immigrati, recuperati alle due di notte a 60 miglia dall’isola su un barcone ormai sfondato. La messa a carattere penitenziale, con il Papa e i celebranti a indossare paramenti viola. Le letture: Caino e Abele («dov’è tuo fratello?»), la strage degli innocenti (e la fuga dal proprio paese di Maria e Giuseppe con il piccolo Gesù) e il salmo Miserere, scandito da quattro parole: «Perdonaci, Signore, abbiamo peccato». E ancora i testi sacri pronunciati da un ambone fatto con due pale scrostate e una ruota da timone recuperati da un naufragio. Il pastorale del pontefice e il calice dell’Eucaristia intagliati nel legno dei relitti che si mostrano ancora accanto al campo sportivo dove si è celebrata la messa, pescherecci contorti, scafi a pezzi, scritte in arabo semincancellate dalla salsedine e dal sole. La gente di qui, citata da Francesco a esempio di solidarietà per tutta l’Europa e l’Occidente, ha capito. Il Papa alla fine era commosso per l’accoglienza. Prima di andare, rivolto ai lampedusani, ha detto: «Vi ringrazio per la vostra tenerezza».
Gian Guido Vecchi
ALFIO SCIACCA
«Caro Papa ti scrivo e siccome sei troppo lontano più forte ti scriverò...» Si potrebbe parafrasare la famosa canzone di Lucio Dalla per raccontare l’impresa di don Dario e don Stefano che a furia di scrivere sono riusciti a convivere Papa Francesco a venire a Lampedusa. Che sia stata la lettera del parroco don Stefano Nastasi a convincere il Papa si sapeva già, quel che non si sapeva è che lui è il suo vice ci avevano provato già con Benedetto XVI, ma senza riuscirci. A svelarlo è don Dario che per anni e stato vice parroco a Lampedusa prima del trasferimento a Sciacca.
«ACQUA FRESCA PER UN’ISOLA ASSETATA» - «Per anni con don Stefano abbiamo fronteggiato, spesso in solitudine, l’emergenza sbarchi. Ad un certo abbiamo pensato che era arrivato il momenti di chieder aiuto a qualcuno dall’alto che per noi è il Santo Padre - racconta-. Ricordo le notti, io a scrivere e don Stefano a dettare, ma non ce l’abbiamo fatta con Benedetto. Sicuramente i tempi non erano ancora maturi. Ora invece arriva il Papa ed è una grande gioia. Tanta acqua fresca per un’isola assetata». Alla cerimonia col Papa don Dario si è limitato a guidare il cori dei bambini, ma il suo viso non riesce a contenere la gioia. Come incontenibili sono state le lacrime di don Stefano al molo di punta Favarolo, dove per troppi anni ha raccolto la sofferenza e la disperazione di troppi migranti. Nel momento in cui il Papa ha messo piede sul molo ha cominciato a piangere come un bambino, non credendo ai suoi occhi.
IL PAPA DEGLI ULTIMI - Ha un sorriso grande come la sua isola invece il sindaco Giusi Nicolini, unica autorità ammessa alla cerimonia del Papa. Per anni è stata definita una pasionaria, che spesso vuol dire una persona che lotta per delle battaglie impossibili, come la salvaguardia totale della costa e del mare attorno all’isola. E invece anche lei, si è prima guadagnata la fascia di primo cittadino, ora ha accolto il Papa per la sua prima visita pastorale. Opportunità negata a tanti ministri e potenti di Sicilia che avrebbero fatto l’impossibile per una foto accanto al Santo Padre. Che dire? Il Papa degli ultimi è riuscito già in un piccolo miracolo: riscattare gli ultimi. Quelli che si battono per le piccole, ma spesso grandissime, cose concrete. Ha riscattato i sognatori e i testardi che non hanno imbarazzo a scrivere al Papa. E quando questo non risponde scrivere ancora più forte.
L’altare su cui Bergoglio ha celebrato la messa a Lampedusa. E’ una delle barche usata dai migranti per attraversare il Mediterraneo
Look informale per il prefetto di Agrigento, Francesca Ferrandino che attende il Papa in jeans (Sciacca)
È una Fiat «campagnola» decappottabile coi sedili posteriori modificati l’auto su cui Jorge Mario Bergoglio attraverserà Lampedusa. La «papamobile temporanea» è stata messa a disposizione da un abitante di Milano che vent’anni è «di casa» a Lampedusa (Ansa)
Un pastorale e un calice di legno ricavati dalle imbarcazioni dei migranti. Così Lampedusa si prepara ad accogliere Papa Francesco. Nella foto Franco Tuccio, falegname che ha realizzato gli oggetti (Ansa)
Muri ridipinti e manifesti: così Lampedusa si prepara ad accogliere papa Francesco (Ansa)
C’era anche Baglioni
VECCHI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO
LAMPEDUSA — «Perdonaci, Signore, abbiamo peccato». Difficile trovare un precedente. Verso il tramonto monsignor Guido Marini sta spiegando a un gruppo di bimbi cosa dovranno fare stamattina, i ragazzini lo ascoltano seri e intenti, servire messa con Francesco è una bella responsabilità, chissà se sanno che quel sacerdote magro e paziente è il «maestro delle celebrazioni liturgiche», ovvero il cerimoniere del Papa. Pure lui allarga le braccia e sorride: «Non saprei, di certo da quando ci sono io non è mai successo». Stamattina Francesco e tutti i sacerdoti avranno i paramenti liturgici viola, il Papa ha voluto una messa a carattere «penitenziale» e per la «remissione dei peccati» di chi riconosce davanti a Dio le proprie «iniquità», e ha scelto personalmente le letture: Caino e Abele, la strage degli innocenti — la fuga di Maria e Giuseppe col piccolo Gesù come immagine di tante famiglie costrette ad abbandonare il proprio Paese — e il salmo Miserere, scandito da quella richiesta di perdono.
Il segnale è forte come i gesti del Papa e le parole che dirà oggi. Un «mea culpa» disposto da Francesco per richiamare l’Europa e l’Occidente alle proprie responsabilità nei confronti «di questi nostri fratelli e sorelle in estremo bisogno», per piangere le vittime e denunciare l’indifferenza del Nord ricco e invecchiato del mondo davanti ai ventimila morti senza nome inghiottiti dal Mediterraneo in 25 anni, per lo più ragazzi, donne e bambini, con la gente di Lampedusa lasciata spesso sola.
Gli abitanti dell’isola ricordano benissimo le notti del 9, 10 e 11 febbraio 2011, quando arrivavano più di mille tunisini a notte e nessuno li voleva, «né l’Italia né l’Europa», e loro li sistemarono nel campo sportivo. È il campo dove stamattina i fedeli assisteranno alla messa delle 10. Il Papa e i celebranti staranno dall’altra parte della strada, sulla terrazza della sede dell’area marina protetta. Tutti i lampedusani sono al lavoro e niente è lasciato al caso. L’ambone per le letture è fatto con due pale scrostate e una ruota da timone recuperati da un naufragio. L’altare è montato su una piccola lancia da pescatori, scafo tricolore e fondo azzurro. Il calice dell’Eucarestia e il pastorale a croce sono stati intagliati da un artigiano nel legno dei relitti che si mostrano contorti in uno sterrato accanto al campo, vecchi barconi pescherecci sfondati, sponde rugginose, scritte in arabo semicancellate dal sole.
Poco oltre la strada scende al porto nuovo, in fondo c’è il molo di punta Favarolo dove il Papa sbarcherà stamattina, nient’altro che cemento e bitte, lo stesso dove arrivano i superstiti. Dall’aeroporto, alle 9,15, Francesco salirà a Cala Pisana sulla motovedetta «Cp 282» della Capitaneria di porto che è pensata per dieci uomini d’equipaggio ed è arrivata a raccogliere 200 persone alla volta, si calcola che dal 2005 abbia portato a terra trentamila naufraghi. Scortato dalle imbarcazioni delle forze dell’ordine, centoventi pescherecci e una quantità di barche private (nel porto si organizzano gite a prenotazione), il Papa sosterà in mare, davanti al monumento Porta d’Europa di punta Maluk, per pregare e lanciare tra le onde una corona di crisantemi gialli e bianchi in memoria dei morti. Sul molo Favarolo incontrerà una cinquantina di quelli che ce l’hanno fatta, in buona parte ragazzi: i minorenni sono 75 dei 114 che stanno ora nel centro di accoglienza. Alla fine li vedrà tutti: una cinquantina di eritrei cristiani sarà alla messa ed è possibile un fuori programma al centro, come una preghiera rivolta al cimitero dei senza nome di Cala Pisana, una teoria di lapidi che riportano solo numeri e date.
Francesco sa che la situazione «è grave», per questo compie il suo primo viaggio qui. Niente autorità, se non locali. Al massimo quindicimila tra abitanti, turisti e fedeli. Discrezione e sobrietà. «Non c’è tempo da perdere in chiacchiere, bisogna andare e annunciare il Vangelo», diceva ieri: «La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene».
Gian Guido Vecchi
PEZZO DI GIAN GUIDO VECCHI DI IERI
CITTÀ DEL VATICANO — Caino e Abele, la strage degli innocenti, il Miserere. La scelta delle letture nella messa che domattina il Papa celebrerà a Lampedusa dice tutto come il calice dell’Eucaristia e il pastorale a croce intagliati nel legno dei barconi dei naufraghi, un artigiano locale vi ha inciso pani e pesci. Francesco ha deciso di compiere il suo primo viaggio «per piangere i morti», i ventimila senza nome affogati in 25 anni nel Mediterraneo, tutti quelli che «dal Sud del mondo» rischiano la pelle per tentare la fortuna a Nord, «dove ci sono i ricchi che sprecano», riassumeva il segretario Afred Xuereb.
Così la caratteristica «penitenziale» della messa pervade l’intera visita. Discrezione, sobrietà. «Chiediamo la grazia di non temere la novità del Vangelo, di non aver paura di lasciar cadere le strutture caduche che ci imprigionano...». C’è una coerenza rigorosa, in Francesco. Tutto si tiene, richiamo all’essenzialità evangelica, alla rettitudine dei comportamenti, alla riforma di una Curia da snellire perché sia al servizio della «Chiesa povera e per i poveri». Come ha scandito ieri a Santa Marta: «Anche nella vita della Chiesa ci sono strutture antiche, caduche: è necessario rinnovarle! Non bisogna averne paura!». Nel pomeriggio ha parlato a braccio per un’ora a seminaristi e novizie, senza giri di parole: «Giustamente a voi giovani fa schifo quando vedete un prete o una suora che non sono coerenti!». Potere, ricchezza, vanità. «A me fa male quando vedo una suora o un prete con la macchina ultimo modello...».
Ecco, il Papa che ha rinunciato all’Appartamento pontificio è il primo a dare l’esempio. A Lampedusa, per dire, non porterà la «papamobile»: userà una Fiat «campagnola» decappottabile prestata da un turista milanese. Magari avrebbe voluto un volo di linea — anche se in Vaticano negano lo abbia chiesto, e poi «sarebbe impossibile per ragioni di sicurezza» —, ma certo non si è mai visto un volo di Stato come quello che partirà da Ciampino alle 8 di domani. Nessun cerimoniale, niente tappeti rossi. Non ci sarà l’ambasciatore italiano, non sono previste accoglienze governative o istituzionali né alla partenza né al ritorno né durante la mattinata nell’isola, la Santa Sede ha spiegato che Francesco «non desidera» la presenza di autorità, politici o istituzioni varie, se non quelle locali: l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, il parroco don Stefano Nastasi che a marzo scrisse al Papa «figlio dell’emigrazione» per invitarlo.
Il seguito papale è ridotto all’osso, sei persone: il Sostituto della Segreteria di Stato, prefetto e reggente della Casa pontificia, segretario e aiutante, medico. Altri venticinque tra gendarmi, cerimonieri e media vaticani partono oggi. Il Papa arriva domani e resta quattro ore: appena atterrato, alle 9,15 Francesco si imbarcherà da Cala Pisana su una delle motovedette della Capitaneria impegnate nei salvataggi come i pescherecci che lo affiancheranno. Lancerà in mare una corona di fiori e pregherà per le vittime. Poi sbarcherà al Molo Favarolo e lì, dove arrivano i superstiti, e ne incontrerà una cinquantina, Francesco si è convito quando ha saputo di quelli che hanno trovato aggrappati in mare alla gabbie dei tonni. Alle 10 la messa nel campo sportivo, a pochi passi dallo sterrato con i relitti dei naufragi, quindi la visita alla parrocchia di San Gerlando: prima della partenza, intorno all’una, è possibile vada anche al centro di prima accoglienza. «Intendo incoraggiare gli abitanti e fare appello alla responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e sorelle in estremo bisogno».
Gian Guido Vecchi
Immagini dimenticate mentre da giorni riprendono gli sbarchi sfiorando già gli ottomila arrivi dai primi dell’anno, come dice Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, l’organizzazione internazionale per le migrazioni. Istantanee che richiamano le promesse non mantenute di Berlusconi, l’acquisto della villa a Cala Francese dove non è mai arrivato, le cento visite di ministri, capipartito e commissari europei al Centro accoglienza di contrada Imbriacola chiuso, riaperto, incendiato, ristrutturato, ristretto «secondo logiche ballerine legate al cambio di guardia di governanti e sindaci». È lo sfogo di Giovanna Licciardi che ha scritto di suo pugno il lenzuolo da oggi steso vicino alla parrocchia, sul corso: «Papa Francesco, sei l’unica speranza concreta».
Anche se si contano i danni della cricca di politici e ingegneri inseguiti da arresti e processi, spazzati via l’anno scorso dal Comune dove s’è imposta come nuovo sindaco la pasionaria di Legambiente, Giusy Nicolini. Eccola mentre corre a controllare l’area dei barconi sequestrati agli scafisti, monumento all’orrore e ai lutti del Mediterraneo: «Il gesto di Papa Francesco cambierà la storia. E l’Europa non potrà più far finta di non vedere, non potrà girarsi dall’alta parte perché lui rende visibili gli invisibili...».
(dal pezzo di sabato di Felice Cavallaro)