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 2013  luglio 08 Lunedì calendario

COCA E CORANO NEL SAHEL DEL TERRORE


1. NEL NOVEMBRE 2009, UN BOEING 727 proveniente dall’America Latina con a bordo diverse tonnellate di cocaina (il suo carico utile era stimato in 10 tonnellate) si schianta nel deserto dell’estremo Nord del Mali [1]. Il traffico di droga diretto dal Sudamerica verso l’Europa via Africa occidentale sub-sahariana era, come osserva Serge Daniel, un fenomeno già noto da diversi anni, ma quell’incidente dimostrava uno sviluppo quantitativo e qualitativo molto rilevante. Un documento dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), datato aprile 2011, riferiva che la quantità totale di cocaina sequestrata in Europa nel 2009 era pari a circa 53 tonnellate, e stimava che quella di origine sudamericana, esportata nel Vecchio Continente attraverso l’Africa occidentale, dopo aver raggiunto un picco di 47 tonnellate nel 2007, si aggirava intorno alle 21 tonnellate [2].
La droga arriva dall’America Latina su navi e aerei, che la scaricano nella Guinea-Bissau o a Dakar, nel Senegal. Una volta in Africa viene trasportata verso il Sahel, la vasta regione di passaggio tra il Sahara, a nord, e i paesi dell’Africa sub-sahariana, a sud. Una «zona grigia» sulla quale i cosiddetti Stati deboli della regione, Mauritania, Mali e Niger, non esercitano quasi alcun controllo; cosa che, assieme all’estrema povertà delle popolazioni locali, ha reso la regione un paradiso per ogni genere di trafficanti.
Tra i vari gruppi armati presenti nel Sahel, quello di Aqim (al-Qā’ida nel Maghreb islamico) è senza dubbio il più influente. Di origine algerina, si è insediato qui fin dagli inizi degli anni Duemila e per finanziare le sue attività eversive ha subito preso parte ai traffici che vi si svolgevano (droga, rapimenti eccetera), divenendo il gruppo terroristico più ricco. Secondo molti osservatori, Aqim si autofinanzia prevalentemente attraverso due attività: i sequestri di ostaggi occidentali, che gli hanno fruttato in riscatti più di 100 milioni di euro, e il traffico di droga, soprattutto di cocaina.
Il coinvolgimento nel narcotraffico di un gruppo terroristico non è cosa nuova. Il caso del Sahel però solleva vari interrogativi. Innanzitutto, come si spiega il trapianto di narcotrafficanti dall’America Latina in una regione africana che rappresenta non tanto una rotta alternativa quanto un nuovo nodo nella loro rete, in una zona finora risparmiata da questo tipo di attività almeno su una scala così vasta? Come spiegare, inoltre, il legame fra Aqim, che si ispira al salafismo jihadista, e il traffico di droga formalmente vietato in base ai suoi precetti religiosi?

2. La particolarità del Sahel è quella di essere una zona arida semidesertica, dove sono presenti molti Stati deboli, la cui vulnerabilità favorisce l’insediamento di gruppi armati nonché la proliferazione di traffici d’ogni sorta, compreso quello della droga. «Uno Stato debole è caratterizzato da istituzioni che non possiedono la volontà e/o la capacità di svolgere le funzioni essenziali necessarie per contrastare la povertà, promuovere lo sviluppo e garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani dei propri cittadini» [3].
Questi paesi sono molto spesso composti da etnie e religioni diverse con rapporti conflittuali che possono sfociare in violenza aperta e farli precipitare in una situazione ancor più grave, quella di «Stati falliti». La loro totale incapacità di rispondere ai bisogni dei cittadini ne spiega l’estrema miseria spesso aggravata da un livello di corruzione molto elevato [4]. Quest’immagine di Stato debole corrisponde perfettamente alla situazione del Sahel, e in particolare del Mali, dove la popolazione settentrionale è composta da vari gruppi etnici, fra cui arabi e tuareg, i quali rivendicano, da decenni, l’indipendenza dal governo centrale di Bamako.
Il Mali resta nondimeno uno Stato che ha rappresentato a lungo una sorta di paradosso: è riuscito a mantenere dal 1992 al 2012 una relativa stabilità democratica, sia pure sotto tutela. Ma la grande debolezza delle sue istituzioni, che nel Nord del paese sono quasi inesistenti, ha fatto sì che oggi sia uno Stato quasi fallito. Come spiega Alain Antil: «Il governo centrale ha scarsa presa su gran parte delle regioni settentrionali che a prima vista sembrano scollegate dal paese e afflitte da un susseguirsi di crisi, dal continuo risorgere dell’irredentismo tuareg e dall’insediamento di un santuario jihadista che minaccia non solo gli interessi degli Stati della regione, ma anche quelli dei paesi occidentali» [5].
Inoltre, stando alla testimonianza resa verso la fine del 2011 da uno dei rari responsabili di un’organizzazione non governativa ancora presente nel Nord del Mali, «le popolazioni vivono in uno stato di privazione totale. (...) Le derrate alimentari provengono dall’Algeria o dalla Libia, poiché il governo non ha preso alcun provvedimento per rifornire le regioni del Nord» [6]. Secondo un esperto occidentale questa situazione riflette la politica condotta dall’ex presidente Amadou Toumani Touré, il quale distingueva tra il «Mali utile» e quello «che invece non lo era»: una regione lasciata in abbandono, che corrisponde a quella parte del paese che si estende nel Sahel [7].
Qui, l’organizzazione e lo sviluppo del narcotraffico hanno preso piede in un contesto economico particolarmente drammatico per le popolazioni. L’alternanza fra le stagioni piovose e i periodi di siccità ricorrenti ha comportato infatti un collasso generale dell’economia locale, reso ancor più tragico dalla rapida crescita demografica, con le tensioni fra nomadi e pastori che si moltiplicavano [8]: Lo sgretolarsi dello Stato e l’ostracismo di cui le popolazioni locali sono state a lungo oggetto hanno fatto il resto. Con la conseguenza che, privi di prospettive di occupazione al di fuori del settore agricolo, i giovani sono stati spinti nelle braccia delle mafie locali per trovare lavoro e sopravvivere. Secondo il responsabile della Ong sopra menzionato «non è stato preso quasi alcun provvedimento per l’integrazione dei giovani nel Nord. A parte alcune attività commerciali, non c’è niente, nessuna industria. Così, non resta altra scelta per sopravvivere se non quella di inserirsi nel narcotraffico» [9].

3. Il traffico di droga in arrivo dal Sudamerica e destinato all’Europa si è sviluppato a partire dalla metà dello scorso decennio.
La scelta di passare attraverso il Sahel anziché inviare direttamente la droga ai destinatari finali europei, Olanda e Gran Bretagna in primo luogo, è abbastanza nuova. A partire dal 2005-6 i carichi, soprattutto di cocaina, provenienti per lo più dal Venezuela arrivano via mare in Guinea, Capo Verde, Guinea-Bissau, Senegal e Gambia, oltre agli sbocchi tradizionali in Benin, Ghana e Nigeria. Gli africani coinvolti nel traffico ricevono come compenso un terzo del carico consegnato, con il quale alimentano sia il mercato locale sia le loro reti europee [10].
La spedizione per via aerea, detta «Air Cocaine», cui finora i trafficanti hanno fatto meno ricorso, tende ad aumentare sempre più. Ciò si spiega col fatto che la maggior parte dei paesi africani non ha i mezzi per sorvegliare i rispettivi spazi aerei, con ampi territori, essenzialmente desertici e poco popolati, che sfuggono al controllo, come è per il Mali e la Mauritania. «Nessuno Stato della regione», sostiene un funzionario governativo mauritano, «controlla veramente il Sahel, Potete rimanerci per anni senza scorgere anima viva. Le frontiere sono difficili da sorvegliare e la debolezza dell’aviazione limita le capacità di controllo del territorio» [11]. «Senza l’aiuto dei paesi occidentali», conferma un suo collega, «che dispongono di mezzi tecnologici di ricognizione aerea molto avanzati, è difficile per paesi come la Mauritania o il Mali controllare territori spesso costituiti da vaste estensioni desertiche» [12].
Sono infatti molti gli atterraggi segnalati all’Unodc in Mauritania, Guinea-Bissau e nel Nord del Mali di aerei leggeri modificati per effettuare voli transatlantici e provenienti dal Venezuela [13]. Nel gennaio 2010, un velivolo del tipo Beach 300 è atterrato nel Mali, vicino al confine con la Mauritania, e ha scaricato una partita di cocaina distribuita subito a dei fuoristrada di cui si è persa ogni traccia a Timbuctù [14]. In precedenza, nel novembre del 2009, un Boeing 727 si era schiantato nel Nord del Mali con a bordo circa 10 tonnellate di cocaina. Secondo un osservatore occidentale incontrato a Bamako e che ben conosce le attività di Aqim, «il Mali settentrionale è diventato una tal zona di transito per il commercio della cocaina proveniente dall’America Latina da poterlo definire un narco-Stato».
Una volta arrivati in Africa, i carichi di cocaina vengono portati in Europa per via aerea (58%) e marittima (35%), per lo più dal Marocco verso la Spagna, con un 5-7% che transita per il Sahel [15]. Come sostiene Serge Daniel nella sua inchiesta su Aqim, la droga che arriva nei paesi africani viene generalmente ricevuta da intermediari europei che dispongono di proprie reti sul posto, solitamente formate da trafficanti di origine sudamericana trapiantati in Africa, molto spesso in Marocco, che inviano la droga attraverso il Mali o la Mauritania verso il porto di Tangeri [16] o altri scali marittimi della costa settentrionale marocchina, dai quali poi raggiunge la Spagna e altre parti d’Europa [17]. Si è stimato che fra il marzo e l’agosto 2010 ben 522 chili di cocaina siano stati inviati e ceduti a grossisti rivenditori a prezzi compresi fra i 20 e i 30 mila euro al chilo, fino a 32 mila durante la «stagione buona» [18]. Nell’ottobre 2010, 34 persone sono state arrestate a Tangeri per un traffico stimato in 600 chilogrammi di coca provenienti dalla Colombia e dal Venezuela e destinati all’Europa.
Lungo il Sahel transitano dunque consistenti quantità di droga, e in «questo contesto di inoperosità e desolazione totale, i tuareg vengono coinvolti nel narcotraffico al pari delle autorità, che lo favoriscono per la corruzione che sa generare» [19]. In un analogo contesto nel Sud-Est dell’Algeria avviene, nel febbraio-marzo 2003, il rapimento di 32 turisti stranieri ad opera del Gspc (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), un’organizzazione armata locale che in seguito darà vita ad Aqim. Mentre 17 ostaggi, in mano a una parte del commando, vengono liberati a maggio dall’esercito algerino, gli altri, rimasti prigionieri della fazione capeggiata da ’Amāri Sayfī (alias ’Abd al-Razzāq, anche noto come El Para) e dal suo braccio destro Abū Zayd, vengono liberati nel Nord del Mali dietro il pagamento di un riscatto stimato in 5 milioni di euro.
Il gruppo armato responsabile del rapimento si è poi unito a una falange del Gspc insediata fin dagli anni Novanta nel Sahel sotto la guida di Muḥtār Belmuḥtār, alias Bal’awar. Inizialmente, il denaro del riscatto doveva servire all’acquisto di armi per alimentare la guerriglia del Gspc nell’Algeria settentrionale. Ma nell’impossibilità di varcare la frontiere è rimasto bloccato nel Nord del Mali. Una parte di questo commando è stata in seguito eliminata nel Ciad, dove El Para è stato catturato e consegnato alla Libia, che lo ha poi estradato in Algeria. Il suo posto è stato preso da Abū Zayd, alla guida della brigata Ibn Ziyyād [20]. Bloccati così nel Nord del Mali, questi combattenti ex Gspc hanno dovuto adattarsi all’ambiente e farsi accettare dalle popolazioni locali, «comprando» il loro sostegno. E uno dei mezzi per pagare, benché vietato dalla religione, è quello di lasciarli entrare nel narcotraffico.

4. L’utilizzo dei proventi della droga per il jihād ha provocato un vivace dibattito all’interno delle organizzazioni che vi partecipano ma che negano, ufficialmente, qualsiasi partecipazione a qualunque traffico di stupefacenti, soprattutto in virtù dei loro precetti religiosi. Come sostiene un vecchio ideologo un tempo vicino ad al-Qā’ida «il traffico di droga è formalmente proibito. (...) Il Corano è un elenco di prescrizioni immutabili che derivano da alcuni dogmi» [21]. E il narcotraffico, a suo giudizio, rientra nella sfera delle attività che esso vieta.
Il dibattito ha coinvolto anche la direzione centrale di al-Qā’ida, come dimostrano alcuni documenti sequestrati dai militari americani durante il raid di Abbottabad contro bin Laden. Fra questi, uno scambio di lettere, reso pubblico all’inizio del 2012, fra il gruppo fondamentalista Ğayš al-Islām, con base a Gaza, e un certo ’Aṭiyya, un’importante autorità religiosa di al-Qā’ida. Secondo costui «il denaro illecito rientra in due categorie: la prima comprende quello proveniente dal commercio del vino, del maiale, di animali sgozzati in modo non corretto. (...) La seconda riguarda i proventi considerati illeciti a causa delle situazioni particolari in cui sono stati raccolti. Ma su questo vi è un dibattito in corso con divergenze persistenti fra gli specialisti della materia» [22].
Ciò nondimeno, ’Aṭiyya, che dice di temere la corruzione derivante da tali attività, ritiene che «se potete appropriarvi di questo denaro senza il rischio di favorire una corruzione più grande, allora prendetelo e dispensatelo in nome del jihād e di Allah. (...) Trattandosi di trafficanti di droga, se uno dei loro convogli cade nelle vostre mani potete prendere i soldi ma non la droga. (...) Non dovete accettare regali dai trafficanti, né mangiare il loro cibo poiché il loro denaro proviene da attività proibite» [23]. Ma poi modera le sue parole precisando che «secondo alcuni esperti, i peccati dei trafficanti ricadono su di essi e non su colui che s’impossessa dei loro convogli. (...) Tuttavia, se questi trafficanti, che operano in modo illecito sfruttando il mercato della droga, offrono il loro denaro come elemosina per il jihād, allora è lecito utilizzarlo, in questo caso nel nome di Dio» [24]. Come hanno fatto del resto i taliban in Afghanistan. È dunque chiaro che la quantità di denaro generato dal traffico di droga ha fatto vacillare le barriere ideologiche della religione [25]. A questo proposito, ’Abd al-Rashid, un ex dirigente della squadra di polizia antidroga talibana, ha confermato che «è consentito vendere oppio, poiché esso viene consumato in Occidente, dai kāflr e non dai musulmani o dagli afghani» [26].
Aqim, confinata nel Sahel e già attiva sul fronte dei rapimenti, è così entrata progressivamente nel traffico di droga fra gravi ambiguità. Come spiega un ricercatore mauritano, oggi Aqim «trae dai sequestri di persona e dal commercio di stupefacenti le sue principali risorse finanziarie» [27], ma seguendo le raccomandazioni di ’Aṭiyya non prende parte direttamente al narcotraffico né allo spaccio di droga, limitandosi a percepire una tassa sul passaggio attraverso il proprio territorio. Quanto al supporto logistico, dati i ricorrenti scontri fra contrabbandieri, ha deciso di limitarsi ad offrire protezione alle loro carovane dietro compenso.
Nel marzo del 2010, l’esercito della Mauritania sosteneva di aver intercettato un convoglio di narcotrafficanti composto, oltre che da contrabbandieri, da molti membri di Aqim incaricati di garantirne la sicurezza [28]. A questo riguardo, il direttore dell’Unodc, Antonio Maria Costa, ha confermato che «nel Sahel, i terroristi traggono dal traffico di droga le risorse per finanziare gli acquisti di equipaggiamenti militari e pagare le truppe» [29]. Un funzionario mauritano che segue le attività di Aqim ha riferito che quest’organizzazione «fornisce se necessario ai trafficanti denaro e cibo, ottenendo in cambio mezzi logistici e armi» [30]. Ed ha anche confermato che spesso Aqim garantisce la sicurezza dei convogli dietro il pagamento di una tassa e che ha potuto rafforzarsi in questa zona grazie al degrado sociale e alla povertà in cui versa, aggiungendo che «la maggior parte dei giovani che militano nelle file di Aqim vive ai margini della società».
Secondo Muḥammad Fāl Wuld ’Umayr, un giornalista mauritano esperto di al-Qā’ida, i giovani che entrano a far parte di quest’organizzazione e sognano di andare a combattere gli infedeli in Afghanistan e in Iraq sono spesso quelli che hanno abbandonato la scuola e hanno difficoltà d’inserimento nel sistema sociale [31]. Possiamo dire pertanto che il denaro ricavato dalla droga permette ad Aqim di rafforzare il reclutamento di questi ragazzi e di guadagnarsi il sostegno delle popolazioni locali fornendo denaro sotto forma di prestiti «di cui spesso dimentica volutamente di esigere il rimborso», ma anche acquistando dai commercianti, senza mai esitare né negoziare, derrate alimentari a prezzo doppio o triplo rispetto al valore effettivo [32].
Aqim dispensa, inoltre, regali nei giorni di festa, il che la fa apparire come una sorta di organizzazione di assistenza sociale. Ma, come spiega Fāl Wuld ’Umayr, i proventi della droga servono soprattutto per l’acquisto di armi e per finanziare le attività del gruppo in Algeria, confinate nella Cabilia. E l’intercettazione da parte dell’esercito algerino di molti convogli carichi di armi provenienti dal Mali e diretti verso il Nord del paese tende a confermare questa tesi.
Ovviamente, il coinvolgimento dell’organizzazione nel traffico di droga non trova unanimità fra i capi brigata di Aqim, e ancor meno fra i suoi combattenti. Possiamo citare, ad esempio, il caso di Muḫtār Belmuḫtār che, insediatesi nel Sahel fin dagli anni Novanta, è entrato in tutti i traffici che si svolgono nella regione. Per lungo tempo è stato soprannominato «mister Marlboro» a causa delle sue presunte attività di contrabbando e dei suoi legami con le mafie locali. Secondo i responsabili dei servizi di sicurezza regionali, Belmuḫtār sarebbe diventato una sorta di patriarca del jihād e di «padrino», e sempre meno un fanatico religioso oltranzista. Molti osservatori sono convinti che all’interno di Aqim la sua falange sia quella più coinvolta nel traffico di droga e meno nella lotta islamista, anche se egli resta formalmente un membro dell’organizzazione.
Sembrerebbe infatti che, verso la fine dello scorso decennio, abbia concordato una tregua con le autorità algerine [33], senza riferirlo al suo superiore, l’emiro Abd al-Malik Drukdel, leader algerino di Aqim. Al contrario, Abū Zayd, noto come suo grande rivale, è considerato il più ortodosso dei capi dell’organizzazione in questa regione. A lui si debbono i rapimenti di molti ostaggi occidentali e l’esecuzione diretta di due di essi, ma minor coinvolgimento nel narcotraffico.
Per quanto riguarda invece i semplici combattenti di Aqim, in prevalenza giovani, la loro speranza era quella di affrontare gli americani in Iraq o in Afghanistan e di tornare, eventualmente, a lottare contro i regimi al potere nella regione. Ma, come spiega Fāl Wuld ’Umayr, quando sono arrivati nei campi di addestramento del Mali in molti sono stati costretti a prender parte al traffico di droga. Questo spiega perché non pochi di loro, amareggiati per le evidenti complicità fra l’organizzazione e le corrotte autorità locali, abbiano preferito disertare e rientrare nei loro paesi [34].
Il narcotraffico, inoltre, offre ai combattenti la possibilità di acquistare le armi che in parte vengono dirottate agli algerini in lotta contro i loro governanti. Come spiega Mawlāy Zaynī [35], esperto di traffici d’armi nel Sahel, l’organizzazione islamista e i narcotrafficanti collaborano fra di loro: la prima offre protezione ai convogli della droga e i secondi trasportano in cambio armi destinate alla resistenza algerina battendo le stesse piste.
Tuttavia, anche se il coinvolgimento in questi traffici permette ad Aqim di ricavare ingenti somme di denaro, i rapimenti di ostaggi e i relativi riscatti mantengono per l’organizzazione una maggiore importanza strategica: possono infatti essere sfruttati per ottenere una risonanza mediatica internazionale. A partire dal 2008, Aqim avrebbe incassato dai vari riscatti più di 100 milioni di euro, divenendo così l’organizzazione più ricca oggi attiva nel Sahel.
I guadagni dei trafficanti di stupefacenti nella regione sono stimati approssimativamente in decine di milioni di dollari. Proventi che in parte vanno nelle casse di Aqim e in parte ai locali capi tuareg, e che, riciclati in loco, contribuiscono ad alimentare l’economia di questa popolazione.
(traduzione di Mario Baccianini)


Note:
[1] Per ulteriori dettagli vedi S. DANIEL, Aqmi: l’industrie de l’enlèvement, Paris 2012, Fayard, pp. 161-173.
[2] «The Transatlantic Cocaine Market», United Nations Office on Drugs and Crimes (Unodc), Research Paper, aprile 2011, p. 2.
[3] F. GAULME, «"États Faillis", "États Fragiles"; concepts jumelés d’une nouvelle réflexion mondiale», Politique étrangère, 2011, p. 24.
[4] Ibidem.
[5] A. ANTIL, S. TOUATI, «Mali et Maurétanie: pays sahéliens fragiles et États résilients», Politique étrangère, primavera 2011, p. 60.
[6] Intervista anonima condotta a Bamako, nel Mali, nel dicembre 2011.
[7] Intervista con un esperto occidentale, condotta a Bamako nel dicembre 2011.
[8] Cfr. S. MICHAILOF, «Révolution verte et équilibres géopolitiques au Sahel», La Revue internationale et stratégique, 80, inverno 2010, p. 145.
[9] Intervista anonima condotta a Bamako nel dicembre 2011.
[10] Ivi, p. 28.
[11] Intervista anonima con un ufficiale dell’esercito mauritano, condotta a Nouakchott, in Mauritania, nel novembre 2011.
[12] Intervista anonima con un funzionario governativo mauritano condotta a Nouakchott nel novembre 2011.
[13] Cfr. «The Transatlantic Cocaine Market», op. cit., p. 32.
[14] Ibidem.
[15] Ivi, p. 33.
[16] Partendo dal Sahel, Tangeri e i porti del Nord del Marocco possono essere evitati, nel qual caso il trasferimento della droga verso l’Europa può prendere due direzioni: verso la Libia o verso i Balcani.
[17] S. DANIEL, op. cit., pp. 161-172.
[18] Ivi, p. 173.
[19] Intervista condotta a Bamako nel dicembre 2011.
[20] Per quanto riguarda Abū Zayd, vedi M. MOKEDDEM, Al Qaïda au Maghreb Islamique: contrebande au nom de l’Islam, Algeri 2010, Casbah Éditions, pp. 11-24.
[21] Intervista anonima con un pentito già vicino ad al-Qā’ida, condotta a Nouakchott nel novembre 2011.
[22] Fonte: Lettera «SOCOM-2012-00000008-HT» in Combating Terrorismi Center, «Letters from Abbottabad», consultabile online: www.ctc.usma.edu/posts/letters-from abbottabad-bin-ladin-sidelined
[23] Ibidem.
[24] Ibidem.
[25] Cfr. a questo riguardo, F. SCHMIDT, «From Islamic Warriors to Drug Lords: The Evolution of the Taliban Insurgency», Mediterranean Quarterly, 21/2/2010.
[26] Cit. in G. PETERS, Seeds of Terror: How Heroin Is Bankrolling the Taliban and Al Qaeda, New York 2009, Thomas Dunne Books, p. 113.
[27] Intervista anonima, condotta a Nouakchott nel novembre 2011.
[28] Cit. in M. MOKEDDEM, op. cit., p. 119.
[29] Cit. in TH. OBERLÉ, «Al Qaïda au Maghreb taxe les trafiquants de drogue», Le Figaro, 19/3/2010.
[30] Intervista con un esperto mauritano, condotta a Nouakchott nel novembre 2011.
[31] Intervista con M. FAL OULD OUMEIR, direttore del settimanale La Tribune, condotta a Nouakchott nel novembre 2011.
[32] Intervista con un ex responsabile per gli affari del Nord del Mali, condotta a Bamako nel dicembre 2011.
[33] F. TLEMÇANI, «Après des mois de tractations, le terroriste Belmokhtar prêt a se rendre-, al-Waṭan, 16/6/2007.
[34] M. FAL OULD OUMEIR, «Le monde révélé d’un projet (avorté) terroriste», La Tribune, Nouackchott, ottobre 2011.
[35] Intervista con M. ZEINI condotta a Bamako nel dicembre 2011.