Francesco Semprini, La Stampa 8/7/2013, 8 luglio 2013
QUEI TRENI LUNGHI UN MIGLIO SPINTI DAL BOOM PETROLIFERO
Giganteschi serpentoni in lamiera e acciaio attraversano ogni giorno l’America settentrionale, trasportando migliaia di barili di greggio, dalle sabbie bituminose del Canada ai deserti del Texas, dalle steppe di British Columbia alla coste dell’Oceano Atlantico. Bastimenti ferrati lunghi centinaia di metri, decine e decine di vagoni trainati da potentissime locomotive che, a passo lento e inesorabile, macinano decine di migliaia di chilometri. È la ferrovia uno dei volti della rinascita energetica degli Stati Uniti, fortemente voluta da Barack Obama per l’indipendenza nazionale, che sta mutando la geografia e l’economia dei trasporti nel Paese. Treni come il bestione su rotaia con ben 73 carrozze che due giorni fa è deragliato ed esploso a Lac Mégantic, causando un’apocalisse nella cittadina del Québec. Un incidente che ha rilanciato il dibattito sull’opportunità di affidare al trasporto su rotaia il trasferimento di oro nero nel continente, piuttosto che optare per un potenziamento della rete di gasdotti. Specie di fronte alla grande opportunità dallo «shale», ovvero dell’eldorado di greggio proveniente dalle sabbie bituminose del Canada, o del Dakota del Nord, ottenuto attraverso la tecnica del «fracking».
Cosa abbia causato l’incidente sarà accertato nei prossimi giorni, ma per ora si può cercare di capire quale sia l’impatto del «oil-by-rail». Guardando alle perdite di greggio registrate durante il trasporto, il treno rimane senza dubbio il più sicuro. Nel 2012 le fuoriuscite complessive dai treni sono state pari a 95 mila galloni, rispetto ai 20 milioni di galloni (un gallone è pari 3,89 litri), delle «pipeline». Il punto è che le ferrovie attraversano zone ben più popolate rispetto ai percorsi seguiti dagli oleodotti, e questo amplifica l’impatto di eventuali incidenti. Allo stesso tempo però il trasporto su rotaia è più flessibile e ha costi più bassi in caso di cambiamenti di rotta, e una regolamentazione leggera. Questo ha fatto si che nel 2012 sui treni americani siano stati trasferiti, 150 milioni di barili di «crude». Un ammontare destinato a crescere.
Dal 2009, ovvero con l’avvento dell’era Obama, non solo è aumentata in generale la quantità di oro nero trasportato in Usa, ma la quota fatta viaggiare su ferrovia è passata da 30 mila barili al giorno a oltre 600 mila dell’inizio di quest’anno. Non si è mai avuto tanto greggio sui treni dai tempi della Standard Oil di John D. Rockefeller, ovvero all’alba dell’era petrolifera, ancor prima della costruzione della prima condotta, nel 1879 in Pennsylvania.
«Si tratta di un cambiamento logistico rivoluzionario», spiega Julius Walker, guru energetico di Ubs Securities. Secondo la Association of American Railroads, nel primo trimestre del 2013 sono stati 97.135 i vagoni carichi di greggio che hanno attraversato l’America, il 166% in più del 2012, e il 922% in più di tutto il 2008. Union Pacific, il più grande operatore di treni degli Usa, ha triplicato la quantità di petrolio trasportata lo scorso anno, permettendo di incassare profitti per 3,9 miliardi di dollari. Bnsf, la compagnia di cui Warren Buffett è azionista, oggi trasporta 650 mila barili al giorni rispetto ai quasi zero di cinque anni fa. Canadian Pacific è passata dai 70 mila vagoni del 2013 (stimati) ai 500 del 2009.
L’alternativa delle «pipeline», del resto, trova giustificazione economica solo in un ammortamento di molti anni, una scommessa che, in tempi di crisi, in pochi hanno voglia di fare. Ciò, unito alla pressioni degli ambientalisti, allontana sempre di più le speranze di affidare al Keystone XL la gran parte del petrolio delle sabbie bituminose di Canada e Usa. Così, come una volta il treno aveva il monopolio del trasporto di lingotti verso Fort Knox, ai nostri giorni lo ha per quello dell’oro nero ai confini del nuovo mondo.