Ernesto Assante, la Repubblica 8/7/2013, 8 luglio 2013
NUOVA TV PARADISO
La tv non è più quella di una volta. Un pensiero ricorrente da qualche tempo di fronte a immagini non esattamente caste, o persino spinte, dialoghi dal linguaggio piuttosto rude, e vicende intricate dai risvolti psicologici complessi. È vero, la tv non è più quella di una volta, è cambiata, ha iniziato a raccontare storie diverse, ad essere meno bonaria, ha aperto le sue stanze polverose a storie complesse, a personaggi più problematici, a tematiche scabrose. E lo ha fatto con il formato delle serie tv che negli ultimi dieci anni hanno profondamente rivoluzionato lo scenario della narrazione televisiva. E stanno “rubando” al cinema registi, sceneggiatori, attori. Perché Hollywood ha smesso di sperimentare trame e linguaggi, e si limita a riproporre prequel e sequel, numeri 2 e 3 di filmoni di cassetta. Mentre soprattutto le tv via cavo, e in particolare Hbo, hanno iniziato a proporre serie di altissima qualità cinematografica raggiungendo livelli straordinari negli ultimi anni, a cominciare dai Soprano, che poco più di una decina di anni fa ha rivoluzionato il modo di raccontare la mafia italo-americana.
Da allora in poi i migliori nomi di Hollywood si sono trasferiti armi e bagagli sul piccolo schermo in cerca di maggiore libertà. Ecco nascere serie come Band of brothers prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks che ha ampliato il racconto della seconda guerra mondiale aperto da Salvate il soldato Ryan. Oppure la straordinaria e premiatissima miniserie Mildred Pierce, tratta da James Cain, con Kate Winslet e diretta da Todd Haynes. Martin Scorsese si è misurato con un “film in dieci ore” come Boardwalk Empire con Steve Buscemi. Ma ci sono anche il Sam Raimi di Spartacus o l’Oliver Stone di “Untold history of the UnitedStates”. Per non parlare del fenomeno Il trono di spade, kolossal da sessanta milioni di dollari per dieci puntate, giunto alla terza stagione, la quarta in preparazione, trionfale approdo della serialità televisiva alla convergenza fra gradimento del pubblico e consensi unanimi della critica. Da noi Sky prova a seguirne le orme e dopo Romanzo Criminale, In treatment e Faccia d’angelo, eccellenti esempi di serialità di qualità tutta italiana, sta per proporre Gomorra, serie che vedrà dietro la macchina da presa Stefano Sollima, ma anche Francesca Comencini.
Sono tutti prodotti televisivi che hanno poca parentela con i “telefilm” di un tempo. Come sottolinea Martin Scorsese che con la sua serie Boardwalk Empire ha raccontato la mafia di Atlantic City: «È davvero interessante quello che sta accadendo e soprattutto con Hbo, quello che avevamo sperato alla metà degli anni 60 quando i film venivano fatti per la televisione. Avevamo sperato che ci fosse questo tipo di libertà, l’abilità di creare un altro mondo e sviluppare personaggi in una forma narrativa lunga, ma non accadde con la tv degli anni Settanta e Ottanta» ricorda Scorsese, «Sono stato tentato nel corso degli anni di farmi coinvolgere in questi progetti proprio per la possibilità che offrono di approfondire le storie e i personaggi. E’ una nuova opportunità che rende la televisione molto diversa da quella del passato».
Stiamo assistendo, insomma, alla rivincita del “piccolo schermo”, la tv, che prova (e in molti casi ci riesce) a conquistare un pubblico più colto ed esigente. Più Hollywood punta le sue carte su produzioni ad alto tasso tecnologicospettacolare, supereroi, 3D e animazione, catturando il pubblico più giovane, più si crea spazio per una tv d’autore che sta chiamando a raccolta registi, sceneggiatori, attori del cinema, tesi a realizzare serie tv adulte, ben scritte, adatte a un pubblico che chiede un intrattenimento dispessore.«Isoldicontano poco, a me piace lavorare per la televisione », dice Oliver Stone, «proprio perché ti lascia la possibilità di realizzare progetti interessanti che oggi il cinema spesso rifiuta, hai possibilità di sperimentare linguaggi nuovi e di affrontare temi importanti. Hollywood non ama più nessuna di queste cose».
Pian piano la televisione sta cambiando anche da noi, con le produzioni messe in campo da Sky, che reggono bene il confronto con le più grandi serie americane. «E’ un’avventura che ci coinvolge molto», dice Nils Hartmann, direttore di Sky Cinema e responsabile della produzione di fiction della piattaforma satellitare «Il nostro modello è stato ovviamente quello Hbo, che ha avuto la capacità di attirare grandi autori, scrittori e attori. E’ quello che facciamo anche noi, ci siamo guadagnati credibilità con prodotti di qualità, dalla scrittura alla realizzazione».
Ma di chi è la responsabilità di questa migrazione di talenti dal cinema alla tv? «Innanzitutto negli Usa è cambiato il pubblico delle sale cinematografiche», sottolinea Paolo Virzì, «che è sempre di più composto da teenager, mentre per le tv, soprattutto quelle via cavo, c’è un pubblico selezionato che ama seguire storie magari meno spettacolari ma più controverse, temi che erano patrimonio della “new Hollywood” degli anni Sessanta e Settanta e che ora trovano nuova vita in tv grazie al lavoro di sceneggiatori e registi che arrivano da quel cinema. Da noi siamo solo agli inizi, la tv via satellite sostiene queste nuove produzioni, mentre le tv “mainstream” continuano a fare fiction per anziani e famiglie». Proprio questi cambiamenti hanno annullato la divisione di ruoli «che penalizzava chi faceva tv e viceversa », ricorda lo sceneggiatore Stefano Rulli «prima c’era una grande diffidenza verso il piccolo schermo da parte di chi faceva cinema, oggi le cose sono cambiate proprio in virtù della qualità delle serie tv americane, modelli alti che hanno indicato la strada da percorrere». Serie come Sex and the city, Californication, The walking dead, Dexter, Csi, Grey’s Anatomy, o l’ormai leggendario Lost, hanno cambiato le regole della serialità televisiva, ottenendo anche un clamoroso successo di pubblico e diventando in alcuni casi veri fenomeni di costume.
Che la qualità della produzione televisiva si sia molto alzata lo conferma Gideon Raff, produttore di serie popolari come X-Files o 24 e trionfatore della scorsa stagione con il thriller spionistico Homeland: «Negli ultimi cinque o sei anni il pubblico si è abituato a vedere produzioni televisive di grandissima qualità. Certo, non tutta la tv è così, ma neanche il cinema produce solo qualità». «E’ vero», dice Saverio Costanzo, passato al piccolo schermo per dirigere la versione italiana di In treatment «C’è molto cinema nel mondo ma i film bellissimi sono sempre stati rari. Allo stesso tempo l’intrattenimento della tv è cresciuto in termini di qualità. Ma è sempre il cinema che apre la strada».
Sky gioca un ruolo importante in questo cambiamento: «La natura del nostro mercato, per forza di cose, ci costringe a doverci distinguere da Rai e Mediaset», sottolinea Hartmann, «Senza togliere nulla alla qualità delle loro fiction, noi puntiamo a un pubblico diverso ma anche a un livello qualitativo differente. Abbiamo una sola regola: se non riusciamo a raggiungere un certo livello qualitativo è meglio che non produciamo nulla. E poi è diverso il nostro modo di lavorare, senza compartimenti stagni».
Anche le tv generaliste comunque trovano sempre più spazi per riproporre i prodotti migliori andati in onda sulle pay, come è accaduto con le serie americane di maggior successo trasmesse da RaiDue o Italia 1, e come accadrà con la politica Scandal che sarà trasmessa da RaiTre da settembre o In treatment che arriverà su La 7. «La serialità di qualità abitua il pubblico a una narrazione drammaturgica sensata, e a una recitazione misurata e realistica» sottolinea ancora Costanzo «Dare al pubblico una cosa fatta con cura fa bene. Se non hai fiducia nello spettatore e gli dai il nulla, lui non avrà più fiducia in te e in quello che fai».
Proprio la considerazione che la qualità paghi in termini di ascolti apre spazi sempre maggiori anche in Italia a chi viene da un cinema sempre più in affanno. Virzì: «Si è aperta una strada che potrà portare dei frutti importanti, qui ci sono attori, registi, sceneggiatori di grandissimo livello. La tv, ma anche le piattaforme digitali per smartphone e tablet, apriranno altre porte. Ma il cinema di qualità non scomparirà...».