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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

«LA MIA CALCIOPOLI: NESSUNA TRUFFA E TANTI ERRORI»

L’ex designatore arbitrale Paolo Bergamo dirigeva 11 agenzie assicurative nelle province di Livorno e Grosseto, e 60 collaboratori. «Nel luglio 2006 - ri­corda l’ex fischietto livornese, 70 an­ni - le polemiche per Calciopoli era­no state così violente che in una set­timana il colosso assicurativo mi die­de il benservito. Da allora ho fatto qualcosa come broker, vecchi clien­ti mi hanno ridato fiducia per le lo­ro pratiche...».

Ma chissà quanto aveva guadagna­to, con il calcio...
«Da arbitro, solo il rimborso spese. Da dirigente o designatore, il com­penso era pari a quello degli arbitri».

Lei ha sempre sostenuto che il com­pianto Giacinto Facchetti le telefo­nasse quanto Moggi...
«Persino più spesso. Peraltro da pre­sidente dell’Inter non esercitava al­tre pressioni, mentre Moggi intrat­teneva rapporti con il mondo del calcio tramite l’incalcolabile po­tenza della Gea: all’interno c’era­no suo figlio, il figlio del presiden­te federale Carraro, del ct Lippi, di un politico come De Mita e del ban­chiere Geronzi, in una struttura le­galmente inattacabile».

Facchetti la contattava per difen­dersi dal “Moggismo”?
«Emerge dalle intercettazioni. L’In­ter non vinceva pur spendendo più di tutte, perciò le chiamate erano fre­quenti: si lamentava dopo un arbitraggio o prima di u­na designazione, sostenen­do che il tal fischietto non fosse gradito allo spoglia­toio, perchè innervosiva i giocatori. Per Giacinto ave­vo un rispetto speciale».

Molto diverso, insomma, rispetto al metodo Moggi...
«Lui aveva altri tipi di amicizie, per­sino con ministri, e quella Gea era micidiale».

Voi però pilotavate gli arbitri a suo gradimento...
«No, ma il palazzo non voleva che i direttori di gara avessero troppe cri­tiche, così assieme a Pairetto, l’altro designatore, facevo da parafulmine. Di recente Rai3 a “Un giorno in pre­tura” ha trasmesso la telefonata em­blematica di Carraro a me: era preoc­cupato per l’andamento di un Lazio-Brescia».

In teoria nessuna so­cietà poteva ave­re rapporti con i designatori...
«Già, solo l’Udi­nese in quesi sei anni non l’ho mai sentita. Per­sino il Chievo si lamentava».

Ma lei non si rimprovera nulla?
«Tanto sul piano tecnico, perchè ho commesso errori, ma nulla come onestà, nei 25 anni di campo e nei successivi 15 alla scriva­nia ».

Ne ammetta u­no, allora, di quegli sbagli.
«Avevo sopravvalutato Rosetti. Nonostante le partecipazioni ai Mondiali del 2006 e 2010, non era adeguato a un im­pegno di tale livello, non ha dato ri­velanza tecnica alle sue direzioni».

Lei per quanto è stato squalificato?
«Mi dimisi già nel 2006, perciò sul piano sportivo non sono stato giu­dicato. Mi resta questa spada di Da­mocle del processo a Napoli».

Dove è stato condannato a 3 anni e 8 mesi, all’interdizione dai pubbli­ci uffici per 5 anni, per promozione dell’associazione a delinquere. I­noltre deve risarcire la Federcalcio con un milione, per danno all’immagi­ne.
«Il processo d’ap­pello è ripreso il 3 lu­glio, chiedo l’assolu­zione perchè non ho commesso illeciti. Secondo l’accu­sa mi inchioda il gran numero di te­lefonate, così sono stato condanna­to per ’consumazione anticipata’, cioè le conversazioni precedenti il sorteggio arbitrale sarebbero una prova di responsabilità».

È vero che le palline per gli accop­piamenti erano divise fra calde e fredde?
«Falso, com’è stato dimostrato in tri­bunale: il sorteggio veniva effettua­to da voi giornalisti. Era regolare, i risultati non sono stati falsati da il­leciti ».

L’arbitro De Santis pe­raltro è stato condan­nato a 4 anni sul piano sportivo e a un anno e 11 mesi nell’inchiesta penale.
«Soprattutto per il 3-3 di Lecce-Parma. Basta a­scoltare l’interrogatorio di Zeman: il mister non accenna mai a un pari combinato, semplice­mente dopo un’ora le squadre avevano smes­so di giocare e lui girò le spalle al campo, senza più guardare la partita».

Con Pairetto vi sentite ancora?
«Suo figlio Luca arbitra in Serie B, mentre Pier­luigi evita di parlare di calcio. So che a Torino ha una società di servizi pubblicitari, non c’è oc­casione perchè tornia­mo in rapporti».

Lei ha mai rifiutato soldi?
«No. Il calcio non è così brutto».

Risale al 1984-’85 l’unico campio­nato dal sorteggio integrale: non a caso forse vinse il Verona...
«Arbitrai io i veneti nel successo chiave, a Torino per 2-1, sui granata. Vorrei che si smettesse di criticare i designatori. E, soprattutto, che le grandi squadre fossero arbitrate di nuovo anche da chi le danneggia gravemente: oggi anche direttori di gara di prima fascia restano per mol­ti mesi fuori dalle griglie se penaliz­zano un club importante. Va levato questo limite, unico in Europa, al­trimenti l’arbitro pensa che, deci­dendo contro una grande, non la in­contrerà più».

Lei fu designatore dal 1999 al 2005, perchè diede le dimissioni prima che Calciopoli scoppiasse?
«Non ce la facevo più ad accettare le critiche».

Chi è stato rovinato dall’ansia di giu­stizialismo di 7 anni fa?
«Paparesta, Bertini, Dondarini e Pie­ri, contro il quale non ci sono inter­cettazioni: fu condannato per un u­nico episodio, la punizione fischia­ta a Nedved in Bologna-Juve, im­portante per lo scudetto biancone­ro del 2005. E poi il giovane Dattilo».

Lei segue ancora il calcio?
«Per passione. Avevo simpatia per Livorno e Fiorentina, e ho anche gio­cato in Serie C: Pietrasanta, Carrare­se e Vis Pesaro».

Ma nessuno si fa più vivo, fra tutti quei dirigenti che la chiamavano per ottenere favori?
«Non ho più ruoli, è normale. Sento il presidente del Livorno, Spinelli, e il vice del Milan Galliani per le festi­vità, poi tanti osservatori arbitrali».

Intanto si è dedicato alla pittura...
«Con Mario Madiai, amico di gio­ventù. A maggio agli Archivi di sta­to, a Milano, abbiamo organizzato una mostra con Mario Mazzoleni, ex arbitro pure lui».

Oggi chi sono i più bravi a dirigere?
«Nel mondo l’ungherese Cassai e l’inglese Webb. In Italia il fiorentino Rocchi: arbitra senza fronzoli, si prende responsabilità, è criticato perchè ha il coraggio di decidere».

Vorrebbe la moviola in campo?
«Solo per stabilire quando la palla entra. Nel gioco non avrebbe senso, altrimenti ci si ferma di continuo. Inoltre le leggi vengono approvate dalla Fifa e dall’International board, non è possibile applicarle in tutto il mondo: come farebbero in Asia e Africa, dove mancano persino i campi?».