Osvaldo De Paolini, Il Messaggero 7/8/2013, 7 agosto 2013
INTESA, UNA STORIA TUTTA ITALIANA
Ciò che più impressiona nella storia di Intesa Sanpaolo, oggi prima banca del Paese, non sono tanto i valori assoluti, bensì i moltiplicatori: in 25 anni, dal 1982 al 2006, la cenerentola del sistema bancario nazionale, risorta in un week end d’agosto come l’araba fenice, ha visto crescere di 60 volte la rete di sportelli, di 33 volte il numero dei dipendenti, di 228 volte la raccolta diretta, di 327 volte i crediti alla clientela, di 300 volte il totale dell’attivo e di 186 volte il patrimonio netto. Non v’è dubbio che negli ultimi trent’anni in Europa vi siano state altre storie di crescita dimensionale di grande spessore. Ma probabilmente nessuna, perlomeno nel settore del credito, può vantare un balzo degli attivi e del patrimonio netto rispettivamente di cinque e tre volte in più rispetto agli sportelli. Ciò significa che la qualità delle banche che sono state via via acquisite o aggregate è sempre stata di buon livello; significa che il gruppo di uomini che si è avvicendato alla guida della banca ha saputo giocare con professionalità e intelligenza le proprie carte su tavoli dove la competizione è più feroce e non sempre prevale la nobiltà d’animo.
IL PERCORSO
Ma la storia di Intesa Sanpaolo, «Una storia italiana» titola la sua monografia Carlo Bellavite Pellegrini, una storia che l’economista Jean-Paul Fitoussi non esita a definire «libro affascinante», che provoca «una certa nostalgia nel richiuderlo», non sarebbe mai stata raccontata senza la caparbia tenacia dell’uomo che questa banca l’ha tenuta a battesimo. Che l’ha difesa strenuamente quando divenne preda di appetiti estranei ai suoi valori. E che ancora oggi, unico rimasto del gruppo di fondatori, ne indirizza il percorso pronto a stemperare, con il suo carisma, le tensioni che fatalmente sorgono quando l’ambizione di manager pur validissimi prende il sopravvento: è Giovanni Bazoli, banchiere per caso (lo ha detto spesso di sé), presidente e custode severo di Intesa Sanpaolo nelle sue differenti età.
IL PROTAGONISTA
Insieme alla banca, Bazoli è l’indubbio protagonista del racconto di Bellavite Pellegrini, visto che non vi è momento cruciale della vita dell’istituto che non ruoti attorno ai suoi incontri (o scontri) con i più alti esponenti dell’establishment economico e politico. Ma commetterebbe un errore chi pensasse che «Una storia Italiana», fortemente voluta dal banchiere bresciano, sia un monumento alla sua persona. Vero è che, l’uomo non è privo di ambizioni, ma chi tempo fa lo definì «agnello mannaro» ben poco conosceva delle sue vere attitudini e della sua etica profonda. E vero è che, anch’egli si è fatto tentare dalla politica e probabilmente, se le condizioni fossero state favorevoli, avrebbe anche ceduto al suo richiamo. Vero, infine, che dopo aver predicato l’abbandono di ruoli di responsabilità «a una certa età», ha scelto di non farsi da parte pur avendo raggiunto quell’età veneranda. Tutto ciò è vero. E tuttavia, l’aver scelto uno studioso e non invece un giornalista per raccontare la storia, un accademico che ha passato anni a documentarsi nei caveau della banca concedendo ben poco alle cronache giornalistiche o alle testimonianze pelose, è prova convincente che lo scopo primo di Bazoli era fissare nel tempo una storia di successo aziendale, più che offrire uno spaccato dei giochi di potere con i quali fatalmente incrocia una banca che cresce fino a diventare il campione nazionale.
Naturalmente la monografia è costellata di fatti di cronaca - peraltro straordinariamente documentati - nei quali viene via via coinvolta, o si fa coinvolgere, Intesa Sanpaolo e le sue precedenti vite. Dalla vendita del Corriere della sera ereditato dallo smembramento del vecchio Banco Ambrosiano e finito in mano a Giovanni Agnelli in guerra con Carlo De Benedetti, alle sette fatiche per convincere gli imprenditori veneti della necessità di fondere la Banca Cattolica nel Nuovo Banco e costruire così il primo nucleo aggregante. Dalle barricate erette a metà degli anni Novanta per sventare l’assalto di Gemina-Generali al controllo del Nuovo Banco (registi Agnelli e la Mediobanca di Enrico Cuccia) alla fusione con Cariplo - che darà vita a Banca Intesa - dopo uno scontro cruento con un’agguerrita Comit che aveva analogo obiettivo. E poi ancora, dalla pace tra Bazoli e Cuccia, che darà luogo all’aggregazione della Comit medesima, ormai sconfitta e priva di futuro, alla più grande operazione di fusione mai pensata in Italia tra Banca Intesa e San Paolo di Torino dalla quale nascerà l’attuale Intesa Sanpaolo e che segnerà la fine dell’alleanza con il gigante francese Credit Agricole.
L’EPOPEA
In mezzo a questa rivoluzione, descritta in 497 pagine di storia del sistema bancario nazionale - perché di questo si tratta, non solo dell’epopea di una singola banca - ecco allineate decine di figure manageriali che a fianco del Professore (quasi nessuno chiama Bazoli presidente) hanno costruito la loro fortuna, il più delle volte meritatamente, in un incubatore aziendale difficile da replicare. Impossibile, invece, elencare gli innumerevoli incontri raccontati da Bellavite Pellegrini tra il banchiere Bazoli e i vari presidenti della Repubblica, presidenti del Consiglio, ministri del Tesoro, governatori di Bankitalia, esponenti della finanza globale, grandi imprenditori nazionali: dopo un po’ si perde il conto. Ma tutti hanno un tema comune: la banca, la sua crescita, la sua solidità, la sua difesa.
C’è però una domanda che la documentatissima monografia di Bellavite Pellegrini non può soddisfare. Vero è che la storia non si fa con i se, nondimeno vale domandarsi: oggi esisterebbe l’Intesa che conosciamo se Bazoli non avesse fatto pace, a metà degli anni Novanta, con il fondatore di Mediobanca? A pagina 280 del libro vi è la conferma di quella che per anni è rimasta solo un’indiscrezione giornalistica, e cioè che nel 1997 Cuccia accarezzò l’idea di riunire in un solo soggetto Comit, Banca di Roma, Credito Italiano e Mediobanca: ne sarebbe scaturito il campione nazionale fortemente voluto dall’allora governatore Antonio Fazio, che avrebbe probabilmente cambiato il corso della storia bancaria italiana. Se ciò fosse accaduto, avrebbe avuto Bazoli le straordinarie chanche che invece gli sono state offerte? Chissà. Di sicuro Mediobanca, ricca delle risorse profuse dai tre istituti incorporati, avrebbe seguito un percorso assai diverso da quello prospettato di recente dall’amministratore Alberto Nagel: non avremmo cioè assistito a una così rapida capitolazione del modello Cuccia. E allora, forse è meglio che le cose siano andate come sono andate.