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 2013  luglio 06 Sabato calendario

QUINZI, LA DURA VITA DELL’ASPIRANTE MESSIA DEL TENNIS

DAL NOSTRO INVIATO

LONDRA — È difficile capire se abbia la faccia del Messia (del tennis italiano). Di sicuro non ne ha né gli atteggiamenti (ganassa il giusto), né il tono di voce, così meravigliosamente provinciale: l’inflessione marchigiana sfuma, talvolta, verso il castigliano degli argentini. Gianluigi Quinzi, 17 anni, nato a Cittadella per via della mamma, Carlotta Baggio, campionessa di pallamano e nazionale giovanile di sci, ma con famiglia a Porto San Giorgio, per via del padre, Luca Quinzi, tennista C2, ingegnere edile (cantieri nelle Marche, in Croazia, in Ungheria), è l’ultimo predestinato di una lunga serie. Domani affronterà Hyeon Chung, coreano occhialuto non testa di serie (quindi pericolosissimo), nella finale del torneo junior di Wimbledon. Per arrivare dove solo Diego Nargiso, mancino come lui, riuscì, nel 1987 (poi il napoletano conquistò il titolo battendo Jason Stoltenberg), Gianluigi ha superato l’inglese Kyle Edmund 6-4, 6-4, diventando il quindicesimo italiano ad arrivare in fondo in uno Slam giovanile (poi 9 hanno vinto). Nicola Pietrangeli, asserragliato con un manipolo di patrioti sull’assolato campo numero 3, giura: «Questo ha il sacro fuoco».

Quanti ne abbiamo braccati, di ragazzotti che dovevano essere il nuovo Panatta? Tanti. Quanti si sono smarriti? Tutti. Però Gianluigi è l’unico a essere stato benedetto da due totem come Nicolino e Adriano. Qualche anno fa, alla fine di un lungo pomeriggio di gioco con i bambini in piazza a Macerata, Panatta intimò a uno degli ultimi, un biondino mancino e risoluto: «Solo tre palle». A furia di bordate, il giovane Quinzi si conquistò un supplemento di due minuti di palleggio con il vincitore di Parigi ‘76. Ora Gianluigi è commosso. «È la prima volta che piango per una partita, ma sono troppo contento. Sentivo che stavo giocando bene, che crescevo. I sacrifici di una vita finalmente pagano». Ascoltare ciò da un giovanotto di 17 anni, può far trasalire. Ma «il nuovo Nadal» (magari) diventa cittadino del mondo a 8 anni. In precedenza prova lo sci, a Brunico dove la famiglia ha una casa, e se la cava bene. Come con il go-kart. Ammalato di auto, moto, velocità (possiede tutte le tute e i caschi di Schumacher e un cinquantino modificato), guida aggressivo, tampona i rivali che un giorno gliela fanno pagare coalizzandosi per distruggergli il kart. La racchetta la impugna nel circolo fondato dal nonno e ora presieduto dal padre che ce l’ha con la scuola italiana, poco sensibile con gli sportivi. Difficile seguire un corso di studi, ma anche un’esistenza regolare per chi a 8 anni sta già a Bradenton, Florida, all’Academy di Nick Bollettieri con una borsa di studio per meriti tennistici e a 17 è domiciliato a Buenos Aires dove si allena con l’argentino Eduardo Medica (a Wimbledon lo segue anche Mosè Navarra per la Federtennis).

Quindi è vero: la strada della predestinazione è lastricata di sacrifici (personali e familiari) e di rinunce, soprattutto a un’adolescenza rock and roll. Un sabato sera a letto presto a Wimbledon prima di una finale, vale una corsa con il cinquantino (modificato) verso l’Adriatico sabbioso con una ragazza sul sellino? «Ora il torneo voglio vincerlo, mi sento in perfette condizioni, fisiche e mentali. Posso giocare alla pari con tutti». Ecco la risposta. «Questo è il mio secondo Slam, preferisco gli US Open per atmosfera, colori e superficie». Ama il veloce, ma i suoi successi più importanti li ha raccolti sulla terra: Bonfiglio nel 2012, il Futures di Casablanca a giugno 2013. Ha cambiato gioco negli ultimi mesi, lavorando sul servizio («cerco di più le righe») e sul diritto («entrando in campo»). «Devo migliorare testa e mobilità». I suoi genitori non lo seguono. «A mio padre prende l’ansia se mi vede e anch’io non sono sereno».

Gianluigi Quinzi, 17 anni, aspirante Messia (del tennis) diventato adulto in fretta. Pressioni? «Ci devi convivere, altrimenti non puoi fare nessuno sport. E comunque io non leggo i giornali». Male. Se si rivela quello che speriamo, gli regaliamo un abbonamento.