Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera 6/7/2013, 6 luglio 2013
E IL FONDO PROVA A RIMEDIARE AI TANTI ERRORI NEGLI ULTIMI ANNI I TECNICI DELL’FMI HANNO RICONOSCIUTO GLI SFORZI DI ROMA MENO CRITICHE NELL’ULTIMA RELAZIONE
MILANO — Chi avesse la voglia e la pazienza di leggere integralmente (www.Imf.org) scoprirà che il resoconto sulla missione a Roma compilato dagli esperti del Fondo monetario internazionale (Fmi) non è poi così sfavorevole all’opera degli ultimi governi italiani, appoggiati anche dal centrodestra.
«Le autorità hanno compiuto passi coraggiosi dalla fine del 2011 per rafforzare i conti pubblici e trasformare l’economia». Però non c’è niente da fare: l’Fmi è il bersaglio polemico più facile sulla scena internazionale. La reazione di due giorni fa del Pdl («Il Fmi si faccia gli affari suoi, sull’Imu decide il governo italiano») ha un po’ spiazzato gli osservatori.
Di solito gli attacchi più duri arrivano dall’ala radical degli economisti capeggiati dall’americano Joseph Stiglitz: il suo libro «La Globalizzazione e i suoi oppositori», anche se pubblicato nel 2002 (in Italia da Giulio Einaudi editore), resta la summa migliore dei misfatti compiuti dal Fmi negli anni Ottanta e Novanta.
Per lungo tempo l’organismo fondato nel 1994 è stato raffigurato come l’equivalente della Cia in campo economico. Manovre oscure, abusi di potere, soperchierie. Una scia micidiale di disastri finanziari. Si comincia con la Thailandia, con la crisi del 1997. Schema oggi familiare: un’economia cresciuta troppo in fretta ed esposta alla volubilità dei capitali internazionali. La speculazione che punta la moneta locale (il baht) e la abbatte del 25% in una sola giornata (2 luglio 1997, data ancora oggi soggetta a scongiuri scaramantici da quelle parti).
Dopo un breve negoziato ecco arrivare il Fondo monetario con il suo kit di pronto soccorso: 20 miliardi di dollari cash e l’imposizione di una serie di misure «strutturali», come l’aumento dei tassi di interesse, il taglio della spesa pubblica, l’aggravio delle imposte. Risultato: capitali thailandesi prontamente riconvertiti in dollari e spariti all’estero; Paese a terra.
Ma il caso più tetro è quello dell’Argentina. Qui il Fmi sbagliò tutte le mosse, una dietro l’altra, come lo sciatore che, inforcato il primo paletto, butta giù tutta la fila fino a valle. Prima offrì sostegno al governo guidato da Alfonsin, poi gli ritirò i prestiti pensando che fosse in grado di reggere da solo. Di nuovo pretese di difendere un’assurda parità di cambio tra peso e dollaro, quindi rimase impotente quando l’esecutivo di Buenos Aires sconfessò il debito estero; infine fu costretto a subire le perdite inflitte a tutti i creditori (compresi tanti piccoli risparmiatori nel mondo, Italia inclusa). Il giro dell’orrore può terminare con la tappa in Russia che intorno al 1992 vide crollare il reddito nazionale dopo aver provato ad applicare una politica spinta di liberalizzazioni e privatizzazioni allo sbrindellato sistema post-sovietico.
Negli ultimi tempi i dirigenti del Fondo monetario hanno provato a cambiare. Nel 2011, prima di venire travolto dallo scandalo sessuale, il socialista francese Dominique Strauss-Kahn aveva capovolto l’approccio dell’organismo di Washington: basta con le imposizioni liberiste, spazio alla concertazione con i governi in difficoltà. Il nuovo direttore generale Christine Lagarde, francese liberaldemocratica molto vicina a Nicolas Sarkozy, segue la stessa traccia. In Europa si muove in stretto coordinamento con la Banca centrale di Francoforte e la Commissione di Bruxelles (la cosiddetta «troika»). Un mese fa gli esperti della Lagarde sono arrivati al punto da introdurre nel vocabolario del Fmi la parola-tabù: autocritica, riconoscendo che la politica del rigore aveva raso al suolo la capacità produttiva e sconvolto l’equilibrio sociale della Grecia.
Adesso l’incidente con un il Pdl in Italia. In realtà un paradosso, perché negli ultimi quattro-cinque anni, non c’è stato organismo internazionale più ottimista del Fmi sul Paese guidato dal centrodestra di Silvio Berlusconi. Basta rileggere l’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 17 luglio 2011 da Arrigo Sadun, direttore esecutivo per l’Italia: la manovra messa a punto dall’allora ministro Giulio Tremonti sarebbe stata sufficiente per sottrarre la Penisola all’attacco della speculazione finanziaria. Nessuno protestò, evidentemente. Ma purtroppo, anche quella volta, le previsioni erano sbagliate.