Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 6/7/2013, 6 luglio 2013
GLI ESAMI DI MEDICI, TEOLOGI E CARDINALI COSÌ SI RICONOSCE UN MIRACOLO
CITTÀ DEL VATICANO — La sala delle riunioni al terzo piano è austera quanto il palazzo che ospita la Congregazione delle cause dei santi e si affaccia su piazza Pio XII e il Colonnato di San Pietro. Nient’altro che un grande tavolo rettangolare e, alle pareti, i ritratti dei Pontefici che hanno scandito la storia della cosiddetta «fabbrica dei santi», da Sisto V che nel 1588 la istituì, ai Pontefici che nel Novecento ne hanno aggiornato le regole. Severe, le regole. Tanto da rendere eccezionale — ma non unica — la scelta di far «saltare» a Giovanni XXIII il secondo miracolo, dopo quello già riconosciuto per la beatificazione, e proclamarlo direttamente santo.
Si fa presto a dire che «è stato riconosciuto il miracolo». E basterebbe il volto affilato di Papa Pacelli nella sala della Congregazione a ricordare il passaggio più delicato, da lui definito nel 1948. È qui che la «consulta medica» sottopone a esame la presunta guarigione miracolosa ottenuta per «intercessione» del candidato a diventare beato o santo, selezionata tra varie segnalazioni dal «postulatore» della causa. Attenzione: non tocca ai medici stabilire se ci sia o meno un miracolo, né potrebbe essere altrimenti. La cosa interessante, piuttosto, è che la Chiesa riconosca alla scienza una sorta di potere di veto. «Alla commissione medica spetta unicamente affermare se, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, un evento di guarigione si presenti come inspiegabile», riassume il cardinale Angelo Amato, teologo salesiano e prefetto a capo della Congregazione.
Uno scienziato non può escludere che in futuro si troverà una spiegazione, ma può dire che al momento non c’è. Tra l’altro, prima di arrivare alla consulta medica, la documentazione sanitaria è sottoposta a un esame preventivo: «Due medici specialisti — oncologi, neurologi eccetera, secondo la malattia — e due esami indipendenti: ciascuno non sa chi sia l’altro». Superato il primo passaggio, tocca ai sette specialisti, «selezionati di volta in volta», della consulta: «Danno il loro parere con assoluta libertà, "secondo scienza e coscienza". Non necessariamente gli scienziati sono cattolici», chiarisce il cardinale. «Proprio per lasciare libertà assoluta nella discussione si richiede ci siano almeno cinque voti favorevoli».
La discussione è lunga. C’è da studiare la documentazione — esami medici, testimonianze —, da definire diagnosi e prognosi della malattia. E da valutare la guarigione. Che dev’essere rapida, completa e duratura. E soprattutto inspiegabile, «allo stato attuale delle conoscenze scientifiche». Altrimenti il postulatore dovrà cercarsi un altro caso. Il via libera arriva quando i medici si trovano di fronte a quella che il professor Patrizio Polisca, «archiatra» del Papa e presidente della consulta, definisce una «guarigione che non appare più compatibile con le leggi scientifiche conosciute». Solo allora la Chiesa passa a valutare il «miracolo» ancora presunto. E la parola passa a un «congresso» di nove teologi. Ma come fanno a stabilirlo? «Il criterio consiste nella verifica accurata che, prima della guarigione, ci sia stata l’invocazione del Servo di Dio o del beato», spiega ancora il cardinale Amato. «La commissione teologica verifica cioè la consequenzialità temporale e causale tra l’invocazione e il subitaneo e irreversibile viraggio positivo di una malattia». Il tutto «in base a un’accurata verifica della documentazione testimoniale». Che certo non manca. Le cause durano anni e si dividono in due fasi: prima nella diocesi del candidato, poi in Vaticano. Da una parte il «postulatore» che «difende» il candidato e dall’altra quello che una volta era l’«avvocato» del diavolo» e in realtà esiste tuttora: ma si chiama promotor fidei, «promotore della fede». Come in un processo si interrogano testimoni, si raccolgono scritti e setacciano migliaia di carte che colmano gli archivi sotterranei. Del resto la «fama di santità», la vox populi, è alla base di ogni causa: nel caso di Roncalli, così consolidata nei decenni da non aver bisogno d’altre prove.
Ma non è finita con i teologi, c’è un altro esame: alla fine l’intero dossier scientifico-teologico passa ai cardinali e vescovi della Congregazione che valutano il tutto. Se pure il terzo voto è positivo, l’ultima parola spetta al Pontefice. Non una passeggiata, insomma. Ma l’acribia è d’obbligo, sorride il cardinale Amato: «Per quanto è umanamente possibile, si cerca di procedere per raggiungere la più grande certezza morale».