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 2013  luglio 08 Lunedì calendario

DRAGHI SI MUOVE, L’EUROPA NO. E LA CRESCITA SOFFRE

Nelle scorse settimane, le scelte iper-espansive e gli obiettivi di inflazione delle autorità monetarie giapponesi non erano riusciti a limitare i rialzi dei tassi di interesse a lungo termine sul relativo debito pubblico. La pressione sui titoli a lungo termine si era, poi, accentuata quando la Federal Reserve statunitense aveva preannunciato una graduale riduzione dei suoi interventi di «quantitative easing» a partire dall’inizio del 2014. Tali tensioni si erano estese all’area dell’euro, determinando rialzi nei bassi tassi di interesse dei titoli pubblici tedeschi e accentuando i differenziali fra questi ultimi e quelli di alcuni Paesi «periferici» (Italia inclusa). L’Unione economica e monetaria europea (Uem) ha, così, rischiato di importare nuovi squilibri nella gestione del debito sovrano e nel finanziamento delle economie «reali», proprio nel momento in cui stava avviando timide iniziative di policy per uscire dalla recessione e agganciare la prossima ripresa internazionale. Il rischio è stato di rinfocolare il circolo vizioso fra crisi dei bilanci pubblici e crisi del settore bancario e di aggravare i già problematici squilibri fra Paesi «centrali» e Paesi «periferici». Come spesso è accaduto negli ultimi anni, l’intervento della Banca centrale europea (Bce) ha evitato che tali nubi minacciose si trasformassero in quell’uragano che aveva funestato l’estate e l’autunno del 2011 e che si era riaffacciato all’orizzonte nel luglio del 2012. Inserendosi sul «rimbalzo» dei mercati finanziari volto a correggere gli eccessi di reazione alle parole di Bernanke, e sfruttando le preoccupazioni tedesche per le loro problematiche prospettive congiunturali, giovedì scorso Mario Draghi ha annunciato che la Bce perseguirà una politica monetaria espansiva e manterrà il tasso a un livello massimo dello 0,5% per un lungo periodo, ossia per tutto il tempo necessario al riavvio della crescita europea, in assenza di tensioni inflazionistiche.
Anche grazie al concomitante impegno del nuovo governatore della Banca d’Inghilterra, l’effetto immediato dell’annuncio è stato di modificare le aspettative negative dei mercati e di ridare fiducia alle economie europee.
Sarebbe davvero improprio sottovalutare la portata innovativa di questa decisione unanime: per la prima volta nella sua storia, la Bce ha assunto un impegno riguardo alle sue future scelte di policy e ha, così, accettato di «guidare il mercato» in forma esplicita. Va però anche sottolineato che, sul piano fattuale, poco è cambiato. Non si sono compiuti passi avanti rispetto ai problemi di trasmissione della politica monetaria espansiva a favore delle imprese produttive di tutti i Paesi dell’Uem, rispetto alle scelte di deleveraging degli intermediari finanziari, rispetto all’attenuazione dei monopoli bancari nel finanziamento delle piccolo-medie imprese e — dunque — al superamento del credit crunch. Per giunta anche le recenti decisioni, assunte dal Consiglio europeo, dall’Eurogruppo e dalla Commissione europea, sono state, per molti versi, deludenti. Quanto al processo di unione bancaria, l’atteso disegno nazionale dei meccanismi di risoluzione delle crisi non ha avvicinato la creazione di una soluzione europea e di una connessa autorità centrale. Quanto al dramma della disoccupazione (specie giovanile), i vincoli di bilancio hanno spinto a mirare agli alberi (segmenti del mercato del lavoro) anziché alla foresta (incentivi per la crescita); quanto all’allentamento delle regole di bilancio, la scelta di consentire sforamenti al quasi-equilibrio strutturale (0,5% nel rapporto deficit/Pil) per gli investimenti con cofinanziamento europeo ha rappresentato la soluzione più restrittiva rispetto alle possibili forme già discusse in vari Consigli europei (a partire da quello di giugno 2012).
Come nel caso degli interventi dell’estate scorsa, la Banca centrale europea ha dunque offerto una nuova opportunità alle altre istituzioni comunitarie e ai responsabili dei singoli Stati membri perché creino le condizioni per una crescita equilibrata nell’area dell’euro. Speriamo che la risposta sia meno deludente che nel recente passato.
MARCELLO MESSORI